Foto di Agnese Romanò |
...e comunque, la casa è un nido. Anche quando si riduce a
livido alveare, anche quando racchiude i suoi abitanti in un bozzolo velenoso d'amianto
e ha pareti lisce come una prigione. Dove la vita è imbavagliata, sotterranea,
marginale e maligna. La casa è l'abito logoro concesso al povero in nome d'una
malintesa pietà. E a quella patetica divisa il povero s'aggrappa, come il
nomade ai suoi cartoni. Vuol conservare, con essa, un residuo d'umanità.
Via Preneste, a Milano, non la conosce nessuno. E' lì che, ieri, sono
cominciati gli sgomberi. E resta inciso nella mente l'espressionismo di
quella donna usurata, che minaccia di lanciarsi nel vuoto se sfratteranno lei e
i suoi tre bambini. Sbuca come un minatore dalle viscere del mostro di cemento.
Reclama una brulicante e insospettata vitalità dal gelido e impassibile gigante
che la inghiotte e al quale, tuttavia, si affida. "Dentro" è
l'inferno ma, fuori, è pure peggio: perché c'è chi l'ha confinata lì, e ora
vuole gettarla chissà dove, in qualche incomprensibile landa desolata, senza
parola e senza fiato. Mondo vuoto, mondo siderale: vortice di mondi. Non
chiediamo di lasciarla in quel nido matrigno. Chiediamo le sia concesso un nido
autentico, un calore vero, chiediamo le sia offerto un fiore, magari un geranio
rosso su cui il sole possa abbandonare una discreta carezza in un'alba
cilestrina. Su un balcone ingenuo, con un parapetto solcato da brevi onde.
Aperto su un piccolo cortile, con qualche albero verde. Chiediamo venga
accompagnata laggiù, lei e i suoi bambini, e non cacciata dall'alveare grigio a
colpi di spranga. Chiediamo le venga restituito ciò che le spetta di diritto. Chiediamo
possa alzarsi, una mattina, ed esclamare "Bella giornata". Allora
tornerà radiosa e variopinta, spanderà gioia intatta, profonderà amore. Sarà
persona, finalmente.
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