“Mi sono ripromesso di non sparire, naturalmente di non morire e di non fare arretrare neanche di un millimetro le mie buone ragioni”. Carmine Tursi, 81 anni, pensionato di Sperlonga, il borgo marino adagiato sullo sperone che avanza nel Tirreno e lo divide da Gaeta e sul quale Tiberio fece costruire l’imperiale villa, fornisce la prova di quanto la realtà, se messa alle strette, possa superare la fantasia.
Il sindaco di oggi, Armando Cusani,( slide a destra ) fortissimo cursore del centrodestra pontino (Latina e dintorni), con un fiuto pazzesco per il comando e un amore indiscutibile per la fascia tricolore che indossa oramai da decenni, è infatti chiamato ad abbattere l’albergone, totalmente abusivo, che lui stesso ha realizzato e che nove anni fa, forse anche per mettere a tacere le malelingue, ha ceduto per 2528 euro (duemilacinquecentoventotto euro) ai suoi ex soci: Aldo e Luciana, cioè i coniugi Chinappi e Bonavita, cioè il suocero e la suocera.
A FEBBRAIO
il Consiglio di Stato ha infatti emesso la sentenza definitiva, chiuso il faldone lungo quanto un autoarticolato, bocciato l’ultimo disperante rosario di eccezioni e messo in testa a questo sindaco la crudele decisione di chiamare le ruspe e rovinare sui 4279 metri quadrati di integrale abuso lungo vent’anni e due concessioni e altri due permessi di costruire totalmente irragionevoli visto che il territorio, il dolce pendio che dalla via Flacca sporge verso il mare e gode della carezza dei venti e di un panorama impareggiabile, luogo eletto per relax, massaggi, tuffi in piscina se non fosse che il legislatore l’ha considerato “di inedificabilità assoluta”. Ma qui a Sperlonga con ogni evidenza la fantasia ha piegato la realtà, il comando ha avuto la meglio sulla logica e il rovescio si è fatto pienamente diritto. Cosicché i lavori di trasformazione, allargamento, ammodernamento, sopraelevazione costati alla famiglia allargata (sindaco più suoceri) oltre due milioni e mezzo di euro, sono rimasti incastrati dentro una ragnatela di abusi, a volte con la faccia di veri e propri soprusi, e di una serie incredibile di omissioni. E adesso, puff, la ruspa!Merito di Carmine, dunque: “Non sono felice, sono stato trascinato in questa querelle e costretto a difendermi. Il sindaco voleva abbattermi la casa perchè dava fastidio al suo albergo, rendeva problematico l’accesso alla sua dimora. Dapprima permette la costruzione di una strada che praticamente guarda nella mia camera da letto, piega intorno alla sala da pranzo e si dirige, sfiorando il mio tetto, nell’albergo Grotta di Tiberio. O difendevo i miei diritti, e dunque casa mia, oppure me la buttava giù”.
Venti anni di denunce e ricorsi: “Troppo tempo e troppo lento l’esame dei fatti, in provincia di Latina sembra tutto procedere al ralenty”, accusa Tursi. In effetti ogni denuncia avanzava tra sbadigli, a volte traccheggi. “Vent’anni per far valere i propri diritti danno il senso di possa torcere la legge, reinterpretarla,
L’hotel Grotta di Tiberio sulla costa di Sperlonga, è dei suoceri del sindaco rimodularla spesso a proprio favore”, spiega Francesco Di Ciollo, il legale che ha seguito, con una discreta dose di tigna, le vicende di Tursi. “Era il 2002 e tutto iniziò con l’ordine del sindaco di non parcheggiare più dove io abitualmente lasciavo l’auto. Avevo sessant’anni, mi sentivo ancora giovane e forte. E decisi di non subìre quel che mi pareva un sopruso”.
Il sindaco Cusani, che ha Sperlonga
nelle sue tasche e trascorre – ormai sono trentadue anni di presenza politica – nel municipio, suo domicilio abituale, le ore più belle. Tranne il decennio 2004-2014 in cui è stato costretto a trasferirsi a Latina per fare il presidente della Provincia e i mesi, nel 2017 in cui è stato costretto agli arresti, ha sempre concessoa Sperlonga di godere del suo dominio.
Sperlonga, tremila abitanti d’inverno, migliaia in più d’estate, documenta quanto la giustizia possa infine essere ingiusta, quanto
ANTONIO CUSANI ha una lunga carriera politica cominciata nella Dc. Con la nascita di Forza Italia è diventato berlusconiano, salvo aderire negli ultimi anno al movimento di Stefano Parisi. Eletto sindaco di Sperlonga per la prima volta nel 1997, rieletto nel 2001 e nel 2016, è al suo quarto mandato. Ha anche guidato la provincia di Latina. Ha subìto due sospensioni per la legge Severino il potere invece soverchiante, quanto le istituzioni connesse alla via del potere e non a quella del diritto.
GROTTA DI TIBERIO
è il nome dell’albergo che comunque, malgrado le ordinanze e le intimazioni e la denuncia definitiva, accoglie le prenotazioni per la prossima stagione di mare. “I novanta giorni concessi alla società proprietaria per abbatterlo sono scaduti, il municipio dovrebbe confiscare i beni e sostituirsi all’inerzia del proprietario”. Il municipio presumibilmente non avrà i soldi per abbattere lo stabile ma non avrà più la forza per tenerlo in piedi. La vittoria del signor Carmine, oggi ottantenne, è piena del dolore di aver conosciuto la potenza dei potenti: “Ogni intimazione si trasformava in un consiglio, ogni ordine in una facoltà, ogni ceffone in una carezza. Cosicchè io provavo gli abusi ma nessuna istituzione sentiva improrogabile l’obbligo di agire di conseguenza”.
L’eterno batti e ribatti: tu denunci, io ricorro, tu avanzi io mi oppongo giunge al punto che la soluzione della vicenda è data da una manovra di un inconsapevole harakiri del sindaco di Sperlonga. Decide infatti di nominare nel 2022 una commissione istruttoria con il compito di valutare la complessità della vicenda. La legge glielo permette? Vattelapesca.
Quel che è certo è che il dirigente dell’ufficio tecnico comunale, l’ingegner Pietro D’orazio (oggi trasferitosi in altro municipio), diversamente dai suoi colleghi, ammette che i titoli concessori sono totalmente viziati e ingiunge la demolizione dell’intero corpo di fabbrica.
Ancora una volta la realtà, messa alle strette dagli uomini, si incarica di superare la fantasia. E così l’albergo Grotta di Tiberio, costruito (anche) per mano del sindaco, ora attende degna sepoltura.
Paradossi Il primo cittadino ha ceduto ai suoi suoceri l’hotel sulla costa. Il Consiglio di Stato dice che va abbattuto, ma le prenotazioni per l’estate che arriva sono aperte...
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«Il mio capo mi ha mandato un messaggio fuori dall'orario di lavoro. Ho diritto a riposarmi: l'ho bloccato»
© Social (Facebook etc)
In un'epoca in cui la tecnologia ci tiene costantemente connessi, separare la vita lavorativa da quella personale può diventare una sfida. La storia di Vanessa, una lavoratrice che ha esposto le sue ragioni sui social, è diventata un simbolo della lotta per mantenere questo equilibrio. La sua decisione di bloccare il numero del suo capo, dopo aver ricevuto richieste di lavoro fuori orario, ha suscitato un'ampia risonanza e ha acceso il dibattito sull'importanza del diritto al disconnettersi. Vanessa, una giovane donna canadese che gestisce l'account TikTok @wealthxlab, dedicato a finanze personali e imprenditorialità, ha scelto di condividere un'esperienza personale che si discosta dai suoi soliti contenuti. Racconta di essere stata contattata dal suo capo tramite messaggio sul suo telefono personale, nonostante avesse specificato che questo dispositivo fosse riservato alla comunicazione privata e non lavorativa. Nella clip in questione, pubblicata a fine febbraio, Vanessa spiega: «Sono a casa, stanca dal lavoro, e per qualche motivo ha sentito il bisogno di scrivermi». Il capo le chiedeva di svolgere del lavoro da casa, nonostante non fosse in orario d'ufficio e stesse riposando.
Irritata dall'intrusione, ha optato per una soluzione drastica: bloccare il numero del suo superiore per salvaguardare il suo tempo libero: «Pago 45 dollari al mese per avere un telefono esclusivamente per motivi di lavoro. Il mio capo sapeva che non avrebbe dovuto mandarmi messaggi sul mio smartphone personale». Il gesto di Vanessa ha scatenato un'ondata di solidarietà su TikTok, dove il video in cui racconta l'episodio ha superato il milione di visualizzazioni. La reazione degli utenti varia dall'appoggio alla condivisione di esperienze simili, evidenziando un problema comune a molti lavoratori. Alcuni hanno suggerito di rivolgersi alle risorse umane, mentre altri hanno espresso ammirazione per il coraggio di Vanessa nel porre dei limiti. Questa vicenda evidenzia una questione cruciale nell'ambiente lavorativo moderno: la difficoltà nel mantenere separati lavoro e vita privata nell'era digitale. La pressione di essere sempre disponibili può avere ripercussioni negative sulla salute mentale e sul benessere degli impiegati. In risposta a questa problematica, alcune giurisdizioni, come la provincia dell'Ontario in Canada, hanno introdotto leggi che tutelano il diritto dei lavoratori di disconnettersi al di fuori dell'orario di lavoro, proibendo alle aziende di richiedere la loro disponibilità in tali momenti.
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