SONO SEMPRE I MIGLIORI E I GIUSTI QUELLI CHE SE NE VANNO
Il 28 luglio, nella valle di Orsigna, in Toscana, è serenamente scomparso o, come preferiva dire lui, ha lasciato il suo corpo, Tiziano Terzani, giornalista e scrittore.Esso era una delel più grandi figure della non violenza nel nostro paese dopo Aldo Captini creatore della marcia Perugia-Assisi ( per choi volesdse saperne di più su Aldo capitini http://www.aldocapitini.it/ ) Grazie ai suoi scritti in particolare a Lettere contro la guerra 2002 il cui libro è una raccolta di sette lettere, alcune delle quali sono state pubblicate sul “Corriere della sera”, in forma di corrispondenze da varie zone del mondo, in particolare quello orientale, da dove l'autore ha riferito numerosi fatti in veste di cronista.Dopo la tragedia dell’ 11 settembre, Terzani è uscito del suo rifugio dell’Himalaya, cercando di trasmettere concetti già espressi prima dell’attacco alle torri gemelle; le sue riflessioni etico-morali erano quindi già approfondite, prima che gli eventi storici le rendessero necessarie. Le lettere mirano ad approfondire la conoscenza del mondo musulmano, della sua cultura in rapporto al mondo occidentale (di particolare interesse la lettera rivolta alla Fallaci) , invitando tutti gli uomini ad un simbolico pellegrinaggio verso la pace, unica via di salvezza contro l'odio, la discriminazione, il dolore. E per seguire questa strada bisogna far appello alle leggi del cuore, ai buoni sentimenti, al rispetto e all’amore verso il prossimo ; che sono arrivato , e i sito eco-pacifisti e buddisti presenti nei miei link e la citazione degli scritti di don lorenzo Milani presenti nei post ne sono testimonianza , che sono arrivato a maturazione di quel proceso psico-antropologico che mi ha portato da una cultura bellicista \ guerra fondaia ispirata da mio nonno fascista , a una cultura pacifista che ripudia la guerra come soluzione delel controversie internazionali
Riporto questa 'intervista di Alessandra Garusi a Tiziano Terzani, pubblicata su Carta n.20/2002(www.carta.org) ripoprtata dall'ottima ML della rivista online solaria ecco il sito http://www.parolestorte/solaria/ .
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La forza degli Usa è la loro debolezza.
E a Kabul è ricominciato il "grande gioco"
intervista a Tiziano Terzani raccolta da Alessandra Garusi
"NON STARÒ AL MIO IMPEGNO di tenermi fuori dal mondo.Da quando 'Osama bin Laden smoked me out of my cave', mi sono rimesso da 'pensionato', con una press card falsa fatta a Bangkok, on the road, prima lunga la frontiera pak-afghana e poi a Kabul.Sono ora nel mio rifugio fra le montagne per ricaricare le batterie ed affrontare l'Italia".Così scriveva Tiziano Terzani in una e mail inviata agli amici, il 18 gennaio, dall'Himalaya indiana.Gli abbiamo parlato a margine di uno dei tantissimi incontri del suo "pellegrinaggio di pace" in tutta Italia.
Qual è l'Italia che ha ritrovato?
Manco da questo paese da più di trent'anni. Non ci sono mai stato a lavorare. Ho lasciato l'Italia nel 1971, per andare a Singapore, e ci sono tornato sempre e solo per visitare la famiglia. Per cui è un paese che non conosco e che riscopro ora. Lei conosce la storia: ho scritto questo libro, "Lettere contro la guerra", che non era previsto. Cioè avevo chiuso con il mondo del giornalismo. A sessant'anni, avevo preso una decisione euro-indiana, quella di andare in pensione, ma di fare come gli indiani: di partire per un viaggio più dentro che fuori. Davvero, non mi interessava più il mondo, dover andare ad inseguire le guerre... Tuttavia l'11 settembre era una di quelle vicende davanti alle quali non potevo continuare a guardarmi l'ombelico in cima ad una montagna. Dovevo rimettermi in cammino. E così ho fatto: due mesi alla frontiera pakistano-afghana, poi tre settimane a Kabul.
Ho sentito di avere un dovere: quello di raccontare una storia che da tanto tempo non raccontavo. Che è la storia della pace. Dopo trent'anni da corrispondente di guerra, dovevo fare qualcosa che era nuovo per me: il corrispondente contro la guerra. L'idea del pellegrinaggio non nasce dal dover "spingere il libro", perché questo cammina comunque con le sue gambe. Ma potevo approfittare di questo per andare a raccontare la storia di una speranza. Ho mandato una e mail in giro per l'Italia, dicendo che sarei andato dovunque fossi stato invitato, tranne ai tv show. Ho ricevuto inviti soprattutto dalle scuole.
Allora, che Italia vedo? Ci sono due Italie: una in doppiopetto, di quelli per bene, che fanno le corna, che dicono una cosa e poi forse ne pensano un'altra. Che dicono all'audience ciò che l'audience vuol sentire. Poi c'è un'Italia di giovani, interessata a qualcosa di diverso: a sentir parlare il cuore. Un'Italia non vuole abituarsi all'ipocrisia della politica. E questo mi sembra interessante. Questa è un'Italia diversa, che si pone problemi, un'Italia sensibile, un'Italia che mi sorprende davvero. Specie fuori dalle grandi città. Vado dai giovani fino ai 17-18 anni. Sono meravigliosi. Non hanno paura del nuovo. Cominciano a cambiare quando vanno all'università. Mi chiedono cose intellettuali. Sfidano le cose che dico, scoprendo le contraddizioni delle parole. Però è un bel paese, pieno di volontà.
Mancano i grandi, ma anche i piccoli maestri. Se uno si presenta con l'aria di un barbone, con delle cose diverse da dire, che parla col cuore, che dice quello che pensa, che non ha una sua agenda che è quella di farsi eleggere, fondare una nuova religione o aprire un negozio di aroma terapia? Ho fatto il primo passo di questo cammino a Firenze, nel Palazzo Vecchio. E ho detto una cosa: "Vorrei essere ricordato alla fine della mia vita per una qualità, la sincerità. Dire quello che sento di dover dire". E la gente scopre presto che dici quello che credi sia vero. Quello che provi. E non quello che ti è utile o quello che pensi gli altri godano a sentire.
Come mai le forze "altre" sono sempre così fragili e così scollegate fra di loro?
È la storia di Bush. Ha reagito nella maniera più banale, più ovvia, più stupida. E la stupidità è più semplice. La nonviolenza è una cosa complicata. Per la guerra ci vuole un esercito e dei generali. Per la pace ci vuole un grande esercito e dei grandi generali. Ci vuole molto di più a rafforzare moralmente un "soldato della pace" che addestrare un paracadutista a sgozzare la gente. La pace è più difficile. Anche perché l'uomo è naturalmente più portato alla violenza. Viviamo in un mondo violento: queste città orribili in cui bisogna sempre correre. Il mercato che ti impone di sopravvivere, uccidendo il tuo vicino. La scuola che ti insegna a tirare gomitate nello stomaco per arrivare primo. Per cui la reazione più normale, è la violenza. Dunque chi si propone di cercare altre vie, ha la strada dura.
Questo vale anche per i riservisti israeliani...
Sì. Ci vuole una grande forza culturale. Lo dico sempre: una vera grande civiltà - e quella ebraica, Dio mio, lo è - dimostra la sua grandezza nell'essere permeabile a valori anche diversi e nel mettersi in discussione. Che è capace di vedere autocriticamente i propri valori. Che si rafforza moralmente, prima ancora che con le armi.
L'America sta perdendo moltissimo, vincendo con le armi. Perché quest'America, che era il sogno per tutti i poveri, gli emigranti, oggi sta diventando un paesaggio cattivo che con le nuove regole nega tutto il sogno: l'american way, democracy, i diritti uguali per tutti? Ora c'è una legge per gli americani e un'altra per i non americani. Gli americani sospettati di essere terroristi possono essere incarcerati senza habeas corpus, senza vedere un giudice, e teoricamente possono essere fucilati perché due in un tribunale militare hanno deciso così. È questa l'America verso la quale sono andati milioni di emigranti, sono fuggiti gli ebrei? No. Eppure è forte, ha le "bombe intelligenti" che entrano nei buchi delle montagne. Ma è una società forte? No, è una società che si indebolisce con la sua forza.
Anche la mia amata India: non è mai stata così debole, con le bombe atomiche, gli eserciti schierati sulla frontiera pachistana.
[...]
Chi sta raccogliendo l'eredità del Mahatma Gandhi in India o altrove?
Di eredi, non ne vedo. Anzi trovo che la pace non sia più di moda. Però questo non vuol dire che non debba essere giusta. E poi la moda cambia: minigonne diventano maxigonne? L'11 settembre deve aver colpito qualcosa nella coscienza dell'umanità. Perché è stato così orribile. E così mediaticamente presente nel cuore di tutti. L'hanno visto tutti: gli eschimesi, i bantù, ecc. Immaginando quel che viene dopo e vedendone un po', uno dovrebbe dire: qui bisogna fermarsi. Questa è la mia speranza.
Lei ha un sogno?
No, li ho realizzati tutti. Forse quello di morire in pace. Ho avuto una vita terribilmente felice. Non ho mai lavorato. Perché tutto quello che ho fatto, lo amavo. L'avrei fatto comunque.
C'è qualcosa che l'Occidente ha dimenticato?
Viviamo delle vite orribili, in Occidente: non ridiamo più; si è dimenticata la morte. Senza la morte, la vita diventa tremenda. Perché non c'è la gioia di ciò che passa, di ciò che è unico, irripetibile. Credo sempre di più che la bellezza della vita sia nel simbolo del tao, che è l'armonia degli opposti. Per questo dico che è sacrilego e innaturale voler eliminare il male. Innanzitutto, chi determina cos'è il male? Forse devono esserci entrambi. Si tratta di trovare un modo per raggiungere un equilibrio. Cosa sarebbe il mondo, se non ci fossero le donne? La vita senza la morte? Il giorno senza la notte? La luce senza le tenebre? L'uomo senza la sua ombra?
Quanta Asia c'è dentro di lei?
Trent'anni di una vita diversa, in un mondo diverso. A pensare pensieri diversi. A leggere giornali diversi. Tutto ciò fa una persona diversa. Però, in fondo, è una vernice. Dentro sono uno che più invecchia e più diventa fiorentino. Nel mio Dna c'è tutta la mia toscanità. E mi scopro non solo a fare gesti, ma anche a pensare come pensava la mi' nonna. In realtà, tutto ciò di cui vengo accusato - che sono asiatico, indiano - è una stupidata.
Perché la psiche, il cuore, è uguale per tutti. Se lei è madre in India o fra gli eschimesi, ama suo figlio alla stessa maniera. È solo il modo di esprimersi, che cambia. L'uomo non ha meno paura di morire o della solitudine qui rispetto a là. È che in alcune parti ha imparato a morire meglio, a stare meglio da solo.
Cosa succederà dopo questa prima fase della guerra in Afghanistan?
L'America è su una brutta china: limitazione delle libertà, arroganza della violenza. La speranza è l'Europa. Ha una grande chance: quella di riscoprire l'unità nella sua diversità. Noi abbiamo una lunga storia di massacri superati, di grandi conflitti digeriti. Per cui possiamo comprendere l'altro molto meglio degli americani, che hanno fatto del melting pot un pissing pot [un vaso da notte, ndr.].
L'Europa ha la possibilità di riscoprire i suoi valori, la sua storia, e di aiutare anche l'America ad uscire da questo vicolo cieco. Il problema è che l'Europa deve trovare una leadership politica più creativa. Quella attuale non è capace di inventare niente. Siccome la situazione è nuova, ci vuole gente capace di pensare il nuovo. Occorre gente che non abbia paura di perdere le elezioni, che abbia il coraggio di esporsi, di dire le cose impopolari. O magari di dire le cose semplici che sono popolari e che poi portano sacrifici.
Oggi, in Occidente, bisogna dire chiaramente che dobbiamo dividere la nostra ricchezza. Dobbiamo cambiare atteggiamento nei confronti del mondo. La Banca mondiale, il debito, l'Organizzazione mondiale del commercio, ecc., tutto ciò va ripensato. Non potremo mai essere in pace, se gli altri sono in guerra. Non potremo mai essere felici, se gli altri non lo sono. Non potremo avere un mondo di serenità, quando c'è una metà del mondo che si preoccupa di ingrassare e l'altra che non ha da mangiare.
Lei, al momento, in Europa vede qualcuno che sia in grado di fare questo?
No. Però la gente c'è. Ad esempio, in questa questione della guerra in Afghanistan i governi hanno tutti preso posizione a fianco degli Stati uniti, ma la gente no. È sempre più scettica sulla risposta militare e sui suoi risultati.
www.tizianoterzani.com/indexman.html http://www.rainews24.rai.it/ran24/speciali/terzani/default.htm ( bibliografia )
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