16.2.15

La storia di Uno Stagista e di Una Checercadilavorare Manoncelafa


da http://it.paperblog.com/
Creato il 14 ottobre 2014 da Giovanecarinaedisoccupata

Primo fra tutti può fingere davvero di non avere certe capacità e di volersele coltivare, di voler imparare cose nuove e bla bla. Non si sentirà sminuito nelle proprie competenze e non vedrà come buttati nel cesso le manciate di anni passate inutilmente ad accumulare esperienze con cui in ogni caso non potrà rivendersi sul mercato del lavoro.
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Questa riflessione (semiseria solo nell’affibbiare nomi fittizi a quelli che potrebbero essere – anzi SONO – i prototipi di ciascuno di noi) nasce da recenti esperienze, mie e di alcuni cari amici disoccupati, conosciuti durante la mia gavetta nel magico mondo della disoccupazione. Gavetta che, per come stanno le cose, temo non finirà mai.
Per quanto le situazioni possano sembrare esasperate, lo sono forse nella forma, ma di certo non nella sostanza, e questo lo potete testimoniare anche voi, che sicuramente almeno 1 volta nella vita vi siete sentiti recitare le tipiche frasi che si dicono a chi è in cerca di un lavoro (oltre a “le faremo sapere”):
“Mi dispiace ma…” (iniziano tutti con un bel mi dispiace lavacoscienza)
    Fencesitter
  1. Per questo lavoro non ho budget, (e se c’è l’ho sono quei quattro soldi che ti faccio il favore di darti)
  2. Per questo lavoro non ho posizioni aperte in azienda = non ti posso assumere, nemmeno con un contratto a progetto
  3. Si, tu hai fatto un ottimo lavoro Una (di nome ) Checercadilavorare (di cognome), ma non possiamo rinnovarti l’ennesima collaborazione occasionale dopo più di (tot) mesi (persino noi ci arriviamo a capire che la definizione “occasionale” non ti si può più affibbiare)
  4. Assumerti mi costerebbe troppo in contributi da versarti, questa azienda non si può assumere anche questo costo, ci arrangeremo con i dipendenti che abbiamo (e faremo fare loro lavori che non li competono, oppure forniremo un servizio da schifo ma tanto i clienti capiranno: sono nella stessa situazione, dobbiamo tirare tutti la cinghia, e in fondo in fondo, nemmeno a noi ce ne frega più di tanto.)
  5. Ci arrangeremo con i dipendenti che abbiamo, tanto in settimana ci arriva Uno Stagista che ci aiuta (il salvatore della patria, anzi dell’azienda in difficoltà).
Di solito, chi ti fa questo discorso è pagato per farlo. Ovvero è un dipendente assunto a tempo indeterminato illo tempore, eoni ed eoni fa, da quella azienda, che:
  1. Non capisce la tua situazione perché non ci si è mai trovato
  2. Pensa che le difficoltà in cui versa l’azienda e di cui si fa scudo per dirti che non ti assumerà non lo toccheranno minimamente, lui e il suo posto fisso.
Il più delle volte, ha ragione.
Le difficoltà valgono solo per noi disoccupati, come scudo o giustificazione dietro cui andare a pararsi.
Finora, però, ho sentito dire solo “poveri stagisti”. E la cosa mi fa incazzare.
Badate bene, non è che Uno Stagista non sia un poveraccio tanto quanto me, Una Disoccupata alias Una Checercadilavorare, anzi: nuotiamo nella stessa m..marea, abbiamo a che fare con gli stessi interlocutori, ci affibbiano gli stessi lavori (non ditemi di no perché state dicendo una cazzata) e ci pagano pure la stessa miseria, ma… Uno Stagista ha un paio di marce in più. Quali?
E in secondo luogo, cosa più importante: l’azienda guarda al portafoglio, e Uno Stagista “costa” effettivamente di meno.
Ebbene si: Uno Stagista se la passa anche bene a conti fatti, grazie alla legislazione italiana che regola il mercato del lavoro! Il compenso che gli viene versato, netto, arriva nelle tasche sue ed è finita lì. Basso si, e non commisurato a quello che poi si ritrova a fare – ovvero il lavoro che dovrebbe svolgere una risorsa umana completamente formata ma che però non si può o non si vuole assumere – ma pur sempre esentasse, esente dichiarazioni varie, esente da iscrizione alla Gestione Separata INPS e ai relativi importi contributivi, esente dalla (diolastramaledica) apertura di partita IVA e relativo regime contributivo strozza cristiani. Anzi all’azienda danno pure degli incentivi per farlo lavorare, cioè… vegnono pagati per dargli un lavoro!
Non ci sono limiti a quanti “stage” può accettare uno stagista, non ci sono limiti di tempo, e se ci sono possono essere facilmente mascherati, così come le descrizioni delle mansioni e del percorso formativo possono essere abilmente reinterpretate in infiniti modi, tutti volti a dichiarare “ehi, gli sto insegnando un lavoro e lo sto arricchendo” invece che “ehi, lo sto facendo sgobbare come un mulo su mansioni da risorsa umana fatta e finita e MI sto arricchendo”.
Eddai come fai a non preferire il caro vecchio Uno Stagista?
Quanto alla nostra amica Una Checercadilavorare, il suo passato è nero come l’onta che subisce ogni giorno, e nemmeno il suo futuro è tanto roseo: è passata da un lavoro sicuro e retribuito con tutti i contro crismi ad una situazione di “flessibilità” che non le dà alcuna garanzia, nemmeno il pane in tavola oggi. Figuriamoci domani.

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È una precaria, che di mese in mese si è fatta, casse integrazioni, mobilità, indennità di disoccupazione (che poi è finita e su cui ha dovuto o dovrà pagare tasse), è in cerca di lavoro ma ne trova solo di saltuari e “occasionali”, e dopo un po’ li deve mollare perché non trova aziende disposte ad accollarsi i suoi “costi”, a corrisponderle quanto per legge dovrebbe esserle corrisposto (contributi e varie, oltre ad  uno stipendio commisurato a capacità e mansioni svolte). Lei deve continuare ad accollarsi “costi” come tasse e contribuzioni varie (dall’Irpef a parte dei della Gestione Separata INPS – se supera una certa soglia annuale di compensi – o i costi della Partita Iva) oltre al costo della vita giornaliero che nessuno la aiuta a pagare e su cui nessuno le fa credito.

Deve lavorare attrezzandosi di tasca sua,  ed ha poco o nullo margine di contrattazione in sede di discussioni contrattuali: il più delle volte si sente rispondere “se ti va bene è così, dopotutto anche questi pochi spiccioli sono meglio di niente no?” come se stesse facendo quella dalle pretese milionarie.
Qualche volta si sente dire che bisogna ridurre anche quegli spiccioli perché si rende necessario versarle contributi “che poi vanno a vantaggio suo” (e che quindi vanno detratti dal suo compenso netto già risicatissimo). Come se i contributi avesse insistito lei per versarli, cascasse il mondo, cacchio.
Come se a ciascun dipendente fisso l’azienda fosse andata a dire: caro mio, tu mi costi troppo di contributi, adesso ti riduco un po’ lo stipendio di base perché in fondo li sto versando a vantaggio tuo. Magari lo facessero! Qualcuno comincerebbe a capire cosa si prova a stare da questa parte della barricata!
E infine, ultimo ma non ultimo, la nostra precaria amica Una Checercadilavorare Manoncelafa (il secondo cognome è preso da questo matrimonio che non s’aveva da fare con la disoccupazione), si deve arrendere all’evidenza che tutto sommato e prima o poi a lei l’azienda tornerà a preferire Uno Stagista, che gli costa di meno.
Meglio ancora se Uno Uomo Stagista (che queste donne sono lagnose e pretendono la luna ohi!)
E io che posso dirvi se non che a 35 anni suonati sto seriamente considerando l’idea di presentarmi sul mercato del lavoro senza passato e senza  capacità (colta da amnesia retrograda postraumatica? Rapita dagli alieni e appena riconsegnata?), ma soprattutto senza dignità e con l’unica velleità di accettare solamente contratti da stagista?
Ebbene si, oramai sogno di essere Una Stagista.

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