Sarà pure un personaggio mediatico e permaoso ma Robertàa Bruzzone stavolta ha ragione
La condanna a 30 anni di Salvatore Montefusco per il brutale duplice omicidio della moglie e della figliastra, Gabriella e Renata Trafandir, ha innescato una scia di polemiche condivisibili. A sconcertare è il punto di vista che sembra essere stato accolto dai giudici,cioè quello dell'assassino, che permea l'intero impianto motivazionale. Manca in maniera sorprendente una lettura critica dellaevidente asimmetria di
potere, soprattutto economico, tra l'assassino e le due vittime. Madre e figlia dipendevano economicamente dall'uomo che le ha uccise. L'omicida ha utilizzato quella dipendenza in una logica ritorsiva e rica!atoria, con intimidazioni continue, impedendo loro di lasciare la casa in tempo per salvarsi. E allora una domanda sorge spontanea: qual è il concetto di libertà femminile che trova applicazione nei Tribunali italiani ? Dove viene posto il confine tra controllo e violenza?
Infatti secondo l'analisi di Marilisa D’Amico Ordinaria di diritto costituzionale all’Università Statale di Milano
IL MOVENTE DELLA VIOLENZA NON È MAI UNA GIUSTIFICAZIONE
Nella recente sentenza per il duplice femminicidio di Gabriela Trafandir, e della figlia Renata si è parlato della ‘comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il reato’. Occorre però sottolineare che il movente di un delitto non può essere mai considerato ‘comprensibile’. La giustificazione di un omicidio è una visione pericolosa e inaccettabile che dà solo adito alla
vittimizzazione secondaria, che si verifica quando la persona offesa viene ulteriormente danneggiata
dal sistema giudiziario, dai media o dalla società, attraverso atteggiamenti che minimizzano la gravità del crimine o giustificano l’azione di chi ha commesso il reato. Le cause che portano a un femminicidio,
come la gelosia o il desiderio di controllo, sono spesso presentate come ‘motivi comprensibili’, ma queste non devono essere considerate delle giusti!cazioni per un qualsiasi atto di violenza (tanto meno per quelli che portano alla morte). Tali giustificazioni rischiano di normalizzare la violenza di genere e di creare un ambiente in cui le donne sono ulteriormente vulnerabili ad altre violenze”.