La mattina del lunedì 29 agosto 2005, mentre l’uragano Katrina devastava la già martoriata New Orleans, Warren Riley, il vice-capo della polizia, rispose al telefono. Era un suo uomo, Chris Abbott: “L’acqua è salita in un attimo. Sono corso in soffitta, ma ora sono intrappolato e il livello continua a salire. Mi sta arrivando al mento”. Riley gli disse di mirare ad un punto nel tetto di legno e di sparare tutte le munizioni che aveva addosso e poi di cercare di sfondarlo a pugni e arrampicarsi fuori. Abbott chiamò 40 minuti dopo. Era salvo. Per molti altri non andò così. 1836 morti, 2830 feriti, 703 dispersi ancora dopo un anno, gli ultimi cadaveri trovati nell’agosto appena trascorso. Questo il bilancio ufficiale dell’uragano più devastante e costoso nella storia degli Stati Uniti (65 miliardi di euro di danni). C’è poi un’altra vittima, non uccisa ma forse ferita a morte: New Orleans. La città aveva 480mila abitanti, oggi sono 200mila. Si prevede uno svuotamento completo. Quelli che se ne sono andati e che probabilmente non torneranno, sono le persone che facevano di New Orleans uno dei luoghi più magici del pianeta: i neri, i diseredati, il popolo del jazz, la cultura Creola, il misticismo religioso. Erano loro ad abitare quell’80 per cento della città adagiato sotto il livello del mare sul fondo di un catino che solo i fragili argini proteggevano da un lato dalle acque di Lake Pontcharrtrain, dall’altro da quelle del Mississippi.
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