Quelli che “tengono tutto” la sindrome dell’accumulo

Per   approfondire
 metodo della sophianalisi

http://www.erickson.it/Libri/Pagine/Scheda-Libro.aspx?ItemId=40191


L'articolo    , che trovate  sotto  , di repubblica  del  6\11\2012 , mi permette  di  spiegare  ( per  il resto  quando riuscirò a   trovare le parole   ed il coraggio  )   uno  dei motivi ( oltre  ad  altri sparsi  nei vari post  del  vecchio e dell'attuale  blog  )    per  cui  ho ripreso ad andare in analisi  e continuare  con il metodo della sophianalisi e  di vedere   sempre  di  più il mio analista   come un compagno  di strada , il merito  è anche di questa  canzone .




Ritornando  a noi  mi sono individuato totalmente in 6 e in una quasi   sui  8  del test  tranne del fatto che mi  vergogno   e lo  faccio di nascosto  che trovate sotto preso  , come l'articolo  sotto   riportato da repubblica  del  6\11\2012 sulla  sindrome  dell'accumulo 



Quelli che “tengono tutto” la sindrome dell’accumulo

da  http://www.erickson.it/Libri/
C’ è un  romanzo scientifico di 270 pagine, si intitola Tengo tutto [ foto  a  sinistra  ] , è stato scritto da due clinici americani,Randy O. Frost e Gail Steketee, e illustra il disturbo del decennio: il bisogno d’accumulo, l’incapacità di buttare via. Giornali, riviste, libri, biglietti dell’autobus. E non solo.Dalle conchiglie ai vecchi fornelli così tenersi tutto diventa una mania L’allarme degli esperti: “Per guarire date meno importanza agli oggetti” .
Poi lattine, ombrelli, tubi,scatole, sacchetti di plasti-
ca, fornelli, vecchie scarpe che non si sa mai, vasetti di yogurt finiti, tovaglioli usati, pezzi di automobili e di passeggini, pietre e conchiglie, set di molle, parti di carrozze, cavalletti per tagliare la legna e tavolozze per la pittura.
C’è chi ha portato dentro casa quattordici pianoforti a coda senza averli mai suonati e pure una Ford modello T. «Tengo tutto è un  racconto per immagini su chi  porta ogni cosa in salotto», spiega  chi l’ha tradotto. Inizia come un  film horror, il capitolo sui fratelli Collyer, e finisce come un manuale consolatorio: si può guarire, anche perché tutti siamo accumulatori. Basta dare meno importanza alle cose e affidarsi alla cultura emergente del riciclo (pubblico, non privato).Lettere d’amore e mail fulminanti, pagelle delle scuole elementari e i primi cento numeri di “Zagor lo spirito con la scure” sono accumuli in bilico tra il sentimento del ricordo e il piccolo collezionismo, alimentati dal timore di perdere memoria e quindi pezzi di sé. Ma quando smettiamo di possedere oggetti e iniziamo a esserne posseduti? Andy Warhol, inventore della pop art, trasformatore del banale in arte, nei Settanta e Ottanta frequentava assiduamente i mercatini delle pulci e conservava ogni cianfrusaglia di cui entrava in possesso: la sua casa newyorkese a cinque piani era  così stipata che lui poteva vivere solo in due stanze. A lato della scrivania Warhol teneva una scatola di cartone e, quando l’impulso lo colpiva, la ripuliva gettando tutto senza distinzione: francobolli di valore, contante, torsoli di mela, una bolletta elettrica. Era la sua “capsula del tempo”, la datava e immagazzinava: dava il senso di ciò che in quell'istante  e  quindi in quella fase storica, era oggetto quotidiano, quindi cultura. Warhol ha realizzato più di seicento capsule del tempo.
Mister Ralph, uno degli uomini incontrati nelle sedute collettive dagli esperti Frost e Steketee, per colpa degli oggetti recuperati nelle discariche la sua unica casa l’ha quasi persa. Si può vivere la sindrome da accumulo da virtuoso miliardario o da vittima degli ufficiali giudiziari. I disturbati, malati di disposofobia per la precisione, il cinque per cento della popolazione mondiale, rinchiudono i propri familiari in spazi sempre più angusti, li fanno spostare dentro corridoi larghi trenta centimetri, sentieri per capre, e poi li  perdono (i familiari). Tutti noi, mediocri accumulatori, nelle regioni subcorticali del cervello teniamo a bada la tendenza ad ammassare con la capacità di programmazione, il disposofobico
impila senza ricevere vantaggi e  pagando costi altissimi. «Sono  persone di intelligenza superiore  alla media», raccontano Frost e  Steketee.
Questa società fino a ieri ossessionata dagli averi (l’ipercrisi sta cambiando nuovamente i riferimenti) ha iniziato a studiare la sindrome d’accumulo focalizzando una storia da Anni Quaranta: i fratelli Collyer, Homer e Langly. Morirono nella loro villa in  arenaria di Harlem sepolti da 170 tonnellate di oggetti che nel tempo erano diventati piloni portanti dell’edificio. La sindrome di Collyer in Russia diventa la malattia di Plyushkin, grazie al racconto di Gogol. Sherlock Holmes era un disposofobico, «incapace di distruggere un documento, li accumulava alle pareti». Già, «senza queste cose non sono nulla».
Metà dei sopravvissuti del World trade center hanno speso tempo per raccogliere i propri averi prima di scappare, anche se le torri tremavano sotto i loro piedi.
Ecco sempre  dallo stesso articolo cosa  dice uno psicologo   Gabriele Melli   autore di una ricerca
“Una patologia che può distruggere una famiglia”“L’accumulo dà una falsa sicurezza che si trasforma in un grave disagio

 ROMA — A differenza degli Stati Uniti, in Europa la disposofobia è un campo della psicologia poco
esplorato. In Italia la prima indagine risale a un anno fa ed è stata curata dall’Istituto di psicologia e
psicoterapia comportamentale e cognitiva (Ipsico) di Firenze, presieduto dallo psicologo Gabriele
Melli. 
Dottor Melli, cosa è emerso dalla ricerca ?
«Su 1200 intervistati nella regione Toscana, soffrono di questo disturbo dal 3,7 al 6 per cento.
Non ci sono differenze significative in base a sesso, età, stato civile, lavoro. Si può solo dire che il rischio aumenta con l’avanzare degli anni e con la disoccupazione».
La sindrome di accumulo si manifesta insieme ad altre forme di disagio?
«È spesso associata allo shopping esasperato, ma sembra avere poco a che vedere con i disturbi compulsivo-ossessivi, il controllo ripetuto di alcune azioni come chiudere il gas o l’automobile. Il disposofobico non si pente mai di mettere da parte oggetti,sebbene lo faccia di nascosto perché se ne vergogna. Infatti evita il più possibile di avere ospiti in casa».
Quale significato hanno gli  oggetti per queste persone?
«Danno la sicurezza e un’identità. Senza oggetti si sentono persi. Guai a buttarli via o spostarli: la loro perdita li manderebbe in crisi. Il disagio di una persona affetta da disturbo da accumulo compromette a tal punto la vita familiare che queste persone possono arrivare ad avere problemi, anche gravi, con il partner e persino con i figli».
(c. d.)

  e da qui  che devo iniziare   per  evitare  che essa degeneri   e peggiori ulteriormente   come pote vedere  da  questo mio video  
girato  qualche  tempo fa  nella mia camera  

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