11.10.18

ecco perchè da laico credente toglierei il crocifisso dagli uffici e dalle scuole pubbliche italiane

   Niente   d'aggiungere  a   quanto dice   ,  non si tratta  di un semplice  copia  \  incolla  o  cute\paste ,ma  di condivisione (   completa  la  prima  parte   ,  un po'  meno  la  seconda   parte  )   con un una persona  incontrata   nella  strada internettiana  , Luisa Bolleri autrice  di questo intervento  


IL CROCIFISSO: LO SCONTRO È APERTO

Se ci chiediamo perché troviamo il crocifisso esposto in luoghi pubblici, quali tribunali, scuole, ospedali, la risposta è che durante l’epoca fascista (tra il 1924 e il 1928) furono emanate specifiche disposizioni che in seguito non sono mai state abrogate. Nonostante la successiva stesura della Carta Costituzionale nel 1948, attestante l’uguaglianza delle religioni e non solo, resta oggettivamente difficile rimuovere tali simboli, con la motivazione supplementare che sono ormai considerati parte del patrimonio storico-culturale italiano.
Gli articoli 7 e 8 della nostra Costituzione riconoscono lo Stato italiano come una Repubblica democratica laica e aconfessionale. L’art. 7 dispone che “lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. L’art.8 stabilisce che “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”.




È evidente che la presenza capillare del simbolo cristiano, il crocifisso, in ogni forma di vita territoriale pubblica del Paese rappresenti un privilegio inammissibile per gli atei, gli agnostici e gli appartenenti ad altre religioni. Non potendo affiggere tutti i simboli religiosi, non rimane che la rimozione del crocifisso. Se negli ospedali, comuni, scuole, uffici vari la cosa è irritante, immaginiamo quanto lo sia nell’aula di un tribunale per chi, non cristiano, debba essere giudicato. La scritta La legge è uguale per tutti si trova sovente affissa a fianco del crocifisso…
Se la consuetudine non ci far rendere conto di quanto sia iniquo il perpetrarsi di una simile preferenza di carattere religioso, immaginiamo per un attimo che la bandiera di una sola squadra di calcio venga affissa in tutti i luoghi pubblici: gli avversari di quella squadra vivrebbero la cosa come un affronto, ritenendo di essere trattati da cittadini di serie B.
Alcuni negli anni si sono opposti, presentando interrogazioni parlamentari e ricorsi al TAR, fino al ricorso alla Corte Costituzionale. Il problema è stato valutato dalla Consulta e anche dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo, ma se nessuna sentenza obbliga al momento lo Stato italiano all’affissione del crocifisso, specularmente nessuna lo obbliga a rimuoverlo. Il tema è stato portato avanti, con cautela, da alcuni partiti di sinistra, mentre alcuni partiti di destra caldeggiavano l’estensione dell’obbligo.
Si tratta di una questione di principio, che mette in pratica una necessità egualitaria sottolineata a livello costituzionale, che però nella pratica si scontra con l’identità religiosa della maggior parte degli italiani, compresi molti tra coloro che si sono sempre ritenuti di sinistra. L’argomentazione legale si confonde con la consuetudine (non spiegandosi per molti la necessità di un cambiamento) e la fede personale, rischiando di trasformarsi in un boomerang politico. Ricordiamo che in democrazia vince chi ha più voti e non chi ha ragione, sebbene in molti non siano d’accordo, come René Guénon che dichiarò: “Il parere della maggioranza non può essere che l’ espressione dell’incompetenza”, oppure Henrik Johan Ibsen che affermò: “La maggioranza non ha mai ragione”.
L’Italia per motivi storici ha visto da sempre la convivenza a stretto contatto tra potere dello Stato e potere della Chiesa, per la presenza del Vaticano all’interno dei propri confini, sia prima che dopo i Patti Lateranensi del 1929. È stata inoltre enormemente condizionata dall’impostazione del più rilevante partito del dopoguerra, la Democrazia Cristiana, il cui simbolo era rappresentato da uno scudo crociato e il cui nome ribadiva con estrema chiarezza l’appartenenza alla religione cristiana. In nessuno stato al mondo è presente una tale intreccio socio-economico, oltre che religioso, come in Italia tra Stato e Vaticano. Sembra che il Vaticano sia lo stato più ricco del mondo e che in Italia il 20% del patrimonio immobiliare sia in mano alla Chiesa. Da noi sono funzionanti oltre 25 mila parrocchie e una rete capillare di scuole parificate: la religione è parte del tessuto sociale italiano. Non è a caso che in molti film e telefilm italiani la presenza di preti e suore sia sempre stata folta, da Don Camillo e Peppone di Guareschi in poi.
Togliere i crocifissi non sarebbe, però, un’abiura delle nostre tradizioni o della nostra fede, ma un ristabilire i giusti confini del diritto, affidando i simboli religiosi e la preghiera ai rispettivi luoghi di culto. Non con un intento punitivo, ma perché siano valorizzati e apprezzati da chi li cerca consapevolmente.
La società muta nel tempo la propria visione etica, morale, etc., esprimendo i cambiamenti attraverso l’emanazione di nuove leggi. Il rispetto della legge deve essere considerato imprescindibile in una società evoluta. Se sono serviti millenni per raggiungere una comunanza di regole per la civile convivenza, da settant’anni confluite nella Carta Costituzionale, non possono essere le intemperanze di pochi a vanificare tali regole.
L’Enciclopedia Treccani specifica, alla voce Pluralismo: “Dottrina che riconosce la legittimità giuridica e politica nello Stato a una pluralità di gruppi sociali e ne sollecita la partecipazione alla vita pubblica.” […] “Si contrappone sia allo statalismo, sia all’individualismo, che considera due facce della stessa medaglia.” Dunque si ribadisce che solo anteponendo il bene comune (di tutti), all’individualismo, metteremo in pratica i dettami democratici. Quando a una comunità ben definita (politica, religiosa, etnica, etc.), ristretta o meno, si conferiscono dei privilegi la libertà di tutti viene indebolita. Il passo verso la soppressione dei diritti delle minoranze è spesso breve, la storia lo insegna in ogni pagina. Non abbiamo bisogno di regimi autoritari né tantomeno teocratici, per averli già visti in azione.
All’indomani delle ultime elezioni politiche italiane, il 26 marzo 2018, è stata depositata una proposta di legge per “disciplinare l’esposizione del crocifisso in tutti gli uffici della pubblica amministrazione e nelle aule delle scuole di ogni ordine e grado e delle università e accademie del sistema pubblico integrato d’istruzione”. Sono contemplate sanzioni per chi lo rimuova dalla sua postazione, che dovrà essere elevata e ben visibile. La richiesta si richiama a un pronunciamento del Consiglio di Stato del 1988 secondo cui “il crocifisso è simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendentemente da una specifica confessione religiosa”.
Lo scontro è aperto e appare come il frutto di una provocazione politica che rimarchi i confini a livello etnico-religioso tra italiani e immigrati, cercando la divisione e non l’integrazione. Nel giro di pochi mesi il sistema di accoglienza dei migranti e dei profughi è stato sabotato, mettendo sotto accusa le ONG che salvavano naufraghi nel Mediterraneo, di occuparsene per motivi affaristico-economici poco chiari e di essere in combutta con gli scafisti. Salvare vite è diventato vietato e i migranti ora vengono chiamati clandestini. Nell’evoluzione tragica di una decadenza di portata epocale dell’Occidente europeo, travolto da una stagnazione economica e dai rigurgiti di nuovi sovranismi, nazionalismi ed egoismi, si alzano nuovi muri e divisioni. Un bel passo avanti nella soluzione dei problemi sembra essere, per il nuovo governo 5Stelle-Lega, depennare il costo per l’immigrazione dal conto Profitti e Perdite di Bilancio.
Così sembra che uno dei simboli più diffusi nel mondo sia svuotato proprio in Italia da coloro che si sono auto-accreditati come i più accesi fautori. Perché paradossalmente tale segno di riconoscimento si è spogliato, scollato, distanziato, come in una decontaminazione dal rischio mortale, non solo dai valori cristiani ma dai valori umani (altruismo, solidarietà, tolleranza, empatia, etc.) che lo avevano prodotto.
Recentemente, a
eccitare gli animi pronti alla divisione, sta andando in scena sulle reti RAI, negli spazi dediti all’informazione, vale a dire durante il telegiornale (in perpetuumterritorio di lottizzazione politica), qualcosa che potremmo definire un puerile teatrino. Ad attrarre l’attenzione è Marina Nalesso. Ma chi è costei? È una giornalista della RAI, che aveva già fatto parlare di sé in passato per gli stessi motivi e che torna (lupus in fabula) proprio in questo periodo, alla conduzione del TG1, dopo due anni di assenza. La Nalesso indossa ogni volta un crocifisso appeso a un rosario, spesso diverso, ma sempre un crocifisso. Qui l’oggetto non è casuale, come non lo è l’evidente ostentazione. Il crocifisso, simbolo iconico che incarna il segno di riconoscimento per eccellenza della fede cristiana, non si presenta occasionalmente come intima credenza religiosa, nascosto sotto gli abiti, né tantomeno è pura esibizione anticonformista e modaiola come nel caso di alcune star internazionali, quali fu a suo tempo la giovane cantante Madonna. La giornalista in questione esterna la propria fede, in un’intervista afferma di credere in Gesù e di aver piacere che se ne parli all over the world. Mentre lavora al servizio dell’informazione pubblica, ergo di tutti, lei fa propaganda religiosa, come e più di una suora o di un prete. Sa di essere vista da milioni di telespettatori e ne approfitta. È una volontaria della parola di Gesù. Nel suo contratto di giornalista considera inclusa la sua insinuante pervicacia di missionaria. Così ci propina a costo zero – bontà sua – una propaganda latente, scivolosa, vischiosa, visiva, ammiccante, quanto muta. Come una pubblicità subliminale, seducente, quasi sensuale, in cui l’erotismo di quel ciondolo insinuante e oscillante si rivela e si risolve nel vedo/non vedo di volants, arricciature, plissettature di camicette setose dalle fantasie e dai colori più diversi. Qualcuno ascolta a fatica le notizie, rimanendo ipnotizzato, irritato o ammaliato… L’approntamento è con ogni evidenza accurato nella sua globalità, dalla sua progettazione alla realizzazione: è pura maestria performativa. Ci si chiede se ci sia dietro un regista cinematografico, oltreché politico. Come nella specifica circostanza in cui il crocifisso fu visibile a inizio trasmissione, poi scomparve dopo un servizio esterno, per riapparire di nuovo dopo il servizio successivo. Cosa era accaduto? L’oggetto del contendere era rimasto casualmente celato nella grossa piega verticale della blusa. Ah! Un vero Coup de théâtre! Applausi fino allo spellamento delle mani e standing ovation, per la genialità. Qualcosa di intenzionale, ovviamente da negare sempre, all’infinito (in saecula saeculorum), secondo la più bieca tradizione di tradimento coniugale. Negare sempre e comunque…
Povero crocifisso! Da frugale oggetto igneo, appeso a un cordino fermato con un nodo, consegnato per la prima comunione, la croce diviene qui monile, collana di metallo e zirconi, gioiello, oggetto con una diversa valenza simbolica, in uno sfoggio che odora di esibizione maliziosa, di forzatura, di fermata appena a un passo dal proibito. Un quasi-illecito. Il crocifisso brilla, tra una notizia di politica e una di cronaca, evidenziato dall’increspatura maliziosa di un angolo della bocca, sfuggita anche quella per caso, come da copione, che sa tanto di sfottò. Una sfida, in realtà. Marina non pensa che ognuno possa avere idee religiose diverse e si senta urtato dal suo simbolo in bella vista al TG1? Ma sì, lo sa benissimo, ma se ne infischia! Attirare l’attenzione con il crocifisso e il rosario che lo sorregge – con un sorrisetto impertinente che lei definirebbe di letizia – è il suo fine. Lei vuole attenzione, lei vuole il nostro interesse. Ma, se da un certo punto di vista, la libertà di scegliere i ciondoli da indossare parrebbe ineccepibile, dato che la stessa Costituzione sancisce piena libertà di culto, oltreché di orientamento sessuale, idee politiche, etc., dall’altra ci si chiede con inquietudine se la cosa sarebbe altrettanto accettata da un giornalista di idee religiose totalmente diverse.
I diritti sociali, come le libertà personali, appartengono a tutti, non a un singolo o a un gruppo. Specie se non si vuole concedere reciprocità, è bene non adottare comportamenti preferenziali. Mai. Questo si chiama rispetto, non cancellazione dei propri valori, come qualcuno adombra. Una società tollerante e aperta alle minoranze, nella quale sia vigente il rispetto per tutti i cittadini, vedrà meno ghettizzazione e più integrazione, di conseguenza anche meno criminalità. Solo aprendo la mente favoriremo il benessere generale, che è anche il nostro. Le divisioni sono utili soltanto a chi impera e ha interesse a fomentare la paura e l’odio verso il diverso, solo perché incapace di risolvere i veri problemi. Dovremmo evitare di cadere nella facile trappola della contrapposizione noi/loro a ogni circostanza, costruendo barriere e muri alla lunga inutili, dimenticando che la storia umana è un continuo divenire e che le ondate migratorie hanno sempre avuto una causa scatenante. Al contrario, troppo spesso preferiamo non informarci abbastanza, rimanendo all’oscuro delle nefandezze storiche e attuali dell’Occidente verso l’Africa e il terzo mondo. Ma è implicito che solo se non conosciamo possiamo dirci innocenti.
Inoltre mi colpisce una contraddizione su tutte: era o no Gesù, che fu ucciso sulla croce, il cui sacrificio viene ricordato attraverso il crocifisso, che predicava ama il prossimo tuo?

Luisa Bolleri

3 commenti:

Anonimo ha detto...

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