Onori e sgarbi Dopo l’8 settembre Ettore Castiglioni portò in salvo un centinaio di persone, tra cui molti ebrei e il futuro capo dello Stato Il no a un monumento

 

Questa storia è ormai di ordinaria meschinità politica. Ha radici lontane. Lo spunto è una data: il 12 marzo 1944. Ogni anno, sui social, in occasione di questa ricorrenza, si ricorda il grande alpinista e partigiano Ettore “Nino” Castiglioni, sottotenente degli Alpini che dopo l’8 settembre 1943 si era unitoai partigiani e che salvò oltre cento ebrei e antifascisti fra i quali il futuro presidente Luigi Einaudi, portandoli al sicuro in Svizzera, nel Cantone dei Grigioni, e queste imprese lo hanno eletto “Giusto tra le Nazioni”. Castiglioni, infatti, morì assiderato la notte del 12 marzo 1944 mentre fuggiva dalla Svizzera, dove era stato arrestato per la sua attività di passeur  . Indossava un lenzuolo e un plaid: i gendarmi elvetici gli avevano sequestrato gli scarponi, gli sci, la giacca a vento, persino i pantaloni. Se assurda e ingiusta è stata la morte di Castiglioni, ancor più assurda e ignobile è invece stata la decisione di Donato Seppi, sindaco di Ruffré-mendola che ha negato la posa di un monumento dedicato all’eroico alpinista nella piazza del paese, in provincia di Trento, dove Ettore era nato il 28 agosto 1908. Successe cinque anni fa, ma da allora, ogni 12 marzo, 

un’ondata di indignazione si abbatte sul settantenne Seppi. Ancor prima di diventare partigiano, Castiglioni era stato tra le due guerre uno dei più forti scalatori europei (affrontò le Dolomiti a soli 15 anni), tanto da essere premiato con la medaglia d’oro al merito alpinistico. Autore di bellissime guide escursionistiche sulle Pale di San Martino, le Odle, il Sella, la Marmolada, le Dolomiti di Brenta, con il trentino Bruno Detassis aprì oltre 200 vie. Conosceva a menadito le montagne della Valtellina: accompagnava i fuggiaschi lungo sicuri percorsi in alta quota, sfruttando ogni valico, ogni passo, ogni scorciatoia. Una volta entrato in Svizzera, cercava di rabbonire le guardie con forme di formaggio. Ma non bastò. Arrestato per spionaggio e contrabbando, rimase in cella due settimane. Al rilascio, lo minacciarono: se rientri, ti sbattiamo in galera e gettiamo via la chiave della cella. Ettore non si spaventò. Continuò nei suoi percorsi clandestini, sfidando i nazisti e i loro alleati repubblichini. Un giorno, i gendarmi svizzeri lo intercettano. Addosso ha documenti falsi. Un’aggravante. Finisce rinchiuso in un hotel. Riesce a scappare lo stesso, calandosi dalla finestra con un lenzuolo, avvolto in una coperta. Troppo poco per proteggersi dal freddo. C’era la luna piena, quella notte. C’erano anche 20 gradi sottozero, mentre raggiunge il Passo del Forno. Il ghiacciaio non fece sconti. Stremato, Ettore si accostò a un masso. Forse voleva riposarsi, prima di riprendere il cammino verso il fondovalle. Non si rialza più. Il gelo lo uccide. Lo ritrovarono il 6 giugno. Appena oltre il Passo del Forno (quota 2770), sul versante italiano c’è un piccolo piano, formato dal letto di un ghiacciaio scomparso. Al centro, quel masso. Un po’ più grande degli altri che stanno attorno. E una piccola targa arrugginita: “Ettore Castiglioni – 12 marzo 1944 – alpinista patriota”. Ufficialmente, il sindaco di Ruffré ha motivato il rifiuto di concedere lo spazio pubblico al monumento perché “non aveva nulla a che fare con Ruffré, era uno di Milano”, scusa risibile, visto che Castiglioni era nato lì, dunque un legame tutt’altro che casuale (come il rapporto che Castiglioni aveva col Trentino). Era il 2018, il gesto del sindaco suscitò indignazione e proteste, alle quali Seppi replicò: se ci tenete tanto, potete erigere il monumento in un terreno privato. Lo fecero, in un bosco appena fuori Ruffré. Ma nessuno dimenticò l’affronto. Gli alpinisti sono come i marinai. Aiutano, soccorrono. Comprendono. Ma non perdonano gli inumani: “Stando a contatto coi profughi si può toccare con mano la gioia che si dà. Li si vede con la faccia stravolta dalla paura e poi, al confine, sereni e felici salutarti come un salvatore”, aveva appuntato Castiglioni nei giorni in cui salvava ebrei e antifascisti, “dare la libertà alla gente, aiutarli a fuggire per me adesso è un motivo di vita”. Disperatamente attuale.

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