2.9.09

CAMMINAVO IN UNA NUVOLA DI DUBBI MORTI.

Poesia   di ALESSANDRO IDISIUM mandatami  dall'utente verreaux  autore del catarchico  blog  http://poesiaegeometria.splinder.com/





Dove tu vita, senso, giorno,destino,


luna sotto le fiamme di un eterna chimera.


Mille morti,sotto la luna che anima rincorse d'eterno,


rincorsa a spettri;


e io e te correvamo,


spettri che si prostrano già morti


sotto le nostre vene intrecciate da un riflesso di santità della terra,


allucinazione di Cristo,


rincorriamo la spiaggia, rincorriamo il chiaro di luna,


luna che lasci le stelle di sera,la notte,


il crepuscolo di rosse stelle libere di sparpagliarsi per il cielo


e ognuna tiene fantasmi d’argento che girano sotto le sue linee di seta,


distruzioni d’amore,omicidi di vene, stragi e amori universali


che stravolgono ogni riferimento mortale,


lasciandoti in balia di una resurrezione concepita,


geometrica ma immortale, monsonica,


lasciandoti in balia della incalcolabilità della floreale placenta casuale,


creazione innumerevole di risurrezione di umiltà,


lasciandoti in balia di uno spiazzato


 grandezze di aperture alari più spietate degli asteroidi


asteroidi a cui apparteniamo per ogni ragione,ogni ragione?!


Dritti a fremiti del cielo che non esistono strade altrimenti,


camminavamo su una pietra franata, una costruzione in macerie,


era un filo già sfibrato;


semplice assassino della paura e dell’imbarazzo d’immenso,


una pace che è rubata


per spettri troppo semplici da mettere di fronte


agli angeli di clorofilla nelle vene e artigli nei pensieri,


filo sfibrato ribelle a se alla certezza della sua sfibratezza e di Dio.


Terra; angelo fra ala atlantica e pacifica,


fiore senza stelo nell'universo dell'era inventata dell'acquario,


paradiso lampante, giurato, furibondo, disarmante,


solo frasi mai dette, un faro rotto è come una stella.


Quando la carestia avvolge gli specchi che vivevano di luna,


mentre noi eravamo su quelle corse insieme;


e io e lei ne mia e ne suo che ci rende solo gioielli,


c’è una vicinanza con un creatore che legge nel pensiero millenario,


che ti rende un piccolo gioiello nelle sue mani,”il suo mondo; sospiravamo”.


E  l’eterno si assorbe di un fazzoletto e basta.


La cecità corregge il tiro delle allucinazioni,


piume delle nostri frasi mai dette volano nella steppa,


come pilastri delle aurore,come sabotazioni di confini,


sazietà di leviatani,volano nella tundra,disparate,


riempiendo il nulla inimmaginato;


come se fossimo usciti brucianti da un sogno, noi due amore,


nel silenzio di questa luna di nivea teatralità e espressività al sole,


dove si perde vita, inferno, purgatorio e paradiso,


dove le fini accudiscono desideri,


e il rumore del mare ti mette a tu per tu con le tue morti e resurrezioni


e promesse e parole,urlate al giro del pianeta,ma poi è morta la notte,


abbiamo molti morsi da darci, eccoci morte,


solo insieme ci conosci, abbiamo rincorso la cenere per ucciderla,


abbiamo tradito l’universo


perché noi due eravamo per sempre prima che uscisse la lacrima del piacere,


senza pietà abbiamo bruciato il silenzio elettrico,


abbiamo rincorso solo la creazione per morirci sopra


e lasciare la nostra di cenere tatuata di frasi d’amore,


e morte che sei cenere sai che abbiamo vinto,


morsi amore,morsi e sposami,per sempre insieme, sposiamoci.


Lei disse nella fuga da un giglio, con le mani dalla fuga da una preghiera


e i piedi di alabastro invisibili;sangue,


ti taglio, sangue di purezza,fiori nemmeno da campo,sposiamoci urla lei; ti ammazzo urla lei


mondo che rinnega,gli apparve qualcosa,oh un miracolo vero disse lei,


guardò tutte le stelle tranne la luna non la guardò,anche sembrava che mille angeli evitasse per andare al sole riflesso. Non la guardò,guardò in un attimo


la claustrofobia impossibile,


un miracolo vero disse; oh chiamate tutte


le acropoli del tempo dell’era dell’acquario


con armate dei dittatori senza ombra,


che non la trovano mai sotto il sol leone le sue forze d’ordine con urgenza,


andiamo sulla luna a urlarlo ci arrestano altrimenti,


come se devo chiederne un altro.


Siamo piramidi sporche in maschera vestite di morte ,siamo la costellazione che ultima conosciuta da un computer di pompano nel cervello siamo la cecità a tutto dei satelliti pompata nel cervello siamo la morte diceva. Urlava e diceva la vostra paura è la notte di Dio per gli amanti.


Sposiamoci che tutti chiedono perdono di rendere


un fulmine un buco che uccide l’atmosfera che riflette le ide ovattate degli angeli,


la mente non ha il coraggio di rispondersi mai, mai, mai;


ti ammazzo urlava mondo che rinnega ma sa solo di masturbarsi.


Rincorriamo il chiaro di luna urlava lei con i nostri


peccati bardati sotto il cielo coperto con le borchie dei nostri errori in perdono a cavalcare,


che qui la fine è un concetto egoistico, che qualcuno ha paura della resurrezione qui.


Sposiamoci urlava lei sangue di purezza sulle mani e ciocche mosse nel giglio,nel giglio,il mio giglio.


Per sempre insieme che noi uniti sotto la pelle delle unghie,


radicati come piante nelle rispettive coscienze,


sposiamoci sotto la luna ubriachi che la fine è un concetto egoistico,


Il mondo ha paura della resurrezione.

                        ALESSANDRO IDISIUM   LUPOEDITORE


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