27.2.14

I termini, i personaggi e gli oggetti per capireil carnevale un universo arcaico ancora vivo Ballos, sonazzos e viseras Tutte le parole di un rito antico e contemporaneo

per  tutti\e queli  che   mi hanno   chiesto leggendo  questi  articoli postati nei  giorni  precedenti 
 ulteriori  news  su  nostri carnevali  trovate  qui sotto , preso dalla nuova  sardegna del  27.2.2014  un mini dizionario  che potrebbe essere il punto di partenza  per  chi vuole  saperne di più insieme a  http://www.leviedellasardegna.eu/il_carnevale_in_sardegna.html



In Sardegna è il tempo delle tradizioni che arrivano da un passato lontano I termini, i personaggi e gli oggetti per capire un universo arcaico ancora vivo  Ballos, sonazzos e viseras Tutte le parole di un rito
antico e contemporaneo

ATTITIDU A Bosa il Carnevale mantiene la caratteristica del festeggiamento spontaneo e improvvisato. Il martedì grasso è dedicato alla sfilata i cui personaggi principali sono Gioldzi e le maschere di “s'attittidu” (lamento funebre). Le Attittadoras, piangono la morte di Gioldzi facendo riecheggiare i loro esagerati lamenti. Gioldzi è raffigurato da un bambolotto, spesso smembrato, portato in braccio o su una carriola. Le Attittadoras chiedono al pubblico “unu tikkirigheddu de latte” (un goccio di latte) per il neonato Gioldzi, abbandonato dalla madre distratta dalla festa. La richiesta di latte (che poi in pratica si trasforma in richiesta di vino o Malvasia di Bosa), permette di allacciare rapporti metaforici giocati a livello di allusioni-sessuali. Al tramonto del sole si assiste ad un cambio di scena: le maschere delle Attittadoras scompaiono per lasciare il posto alle maschere in bianco ovvero le anime del Carnevale che sta finendo. BUNDU Su Bundu è la maschera protagonista del carnevale di Orani. Su Bundu indossa abiti da contadino; la maschera è in sughero tinto di rosso con lunghe corna, un grosso naso e baffi. Durante il rituale, Sos Bundos mimano il rito della semina, impugnando su trivuthu, un forcone di legno, accompagnandosi da grida cupe. Un essere metà uomo e metà bue che, con i suoi spaventosi muggiti, emula i suoni del vento. Ancora oggi, in molti paesi, in giornate particolarmente ventose si usa dire “parete chi vi suni sos bundos”, ossia “pare che fuori ci siano i demoni” accostando il personaggio bundu proprio al demonio. COMPONIDORI Su Componidori è il protagonista assoluto della Sartiglia. La sfida equestre prevede una prova di estrema abilità compiuta appunto da un uomo a cavallo, Su Componidori, e da altri cavalieri che devono tentare di infilzare con lo stocco una stella di metallo posta, tramite una fune, lungo il percorso. La parola Sartiglia si suppone derivi dal castigliano sortija, ossia anello, corsa all'anello; questo appassionante gioco pare sia arrivato da noi a partire dal 1100 proprio. La Sartiglia è organizzata da due Gremi: quello dei contadini, posto sotto la tutela di san Giovanni Battista e quello dei falegnami, protetto da san Giuseppe. Le due corporazioni organizzano rispettivamente i tornei la domenica e il martedì. DIONISO Era uno dei più inquietanti dei dell'Olimpo greco, signore dell'irrazionalità e dell'ebbrezza. Era un dio molto chiassoso che veniva chiamato anche Bacco, che in greco significa “clamore”, da cui deriva la parola italiana baccano. Legato alla linfa vitale che scorre nei vegetali, linfa che si ritrae durante i mesi invernali e che poi torna a scorrere vivida in quelli estivi, ed infatti gli erano cari tutti quei frutti ricchi di succo dolce, come l'uva, il melograno o il fico. Una divinità che rappresenta in particolare lo stato di natura dell'uomo, la sua parte primordiale, che resta presente anche nell'uomo più civilizzato. Non pochi vedono nel Carnevale Sardo una rappresentazione delle feste dionisie, che nell'antica Grecia venivano celebrate tra febbraio e marzo, periodo che segnava il passaggio tra inverno e primavera. La morte del dio, nelle sue rappresentazioni di toro, cervo e cinghiale, viene pianta amaramente da queste maschere tetre, luttuose. Ma la rinascita è immediata ed il riferimento è sin troppo chiaro al ciclo delle stagioni. Ancora oggi le maschere sarde replicano i loro riti per un dio chiamato Maimone, di cui si ricordano ancora le invocazioni per la richiesta della pioggia. Un dio del quale si rappresentava la passione che aveva subito, attraverso la sofferenza che si infliggeva a una vittima umana che solo all'ultimo momento, prima di essere gettata sul rogo, veniva sostituita da un fantoccio, spesso chiamato Zorzi (il fecondatore). ERITHAIOS Nel Carnevale di Orotelli, insieme ai Thurpos, è presente anche la figura de S'Erithaju (parola che deriva da eritu, cioè riccio) che per alcuni studiosi potrebbe essere riconducibile ad antichi rituali di iniziazione sessuale. S'Erithaju porta sul viso una benda di tela rossa e un saio bianco, sotto il quale si cela una collana di cuoio, cui sono applicati tappi di sughero ricoperti di pelli di riccio con aculei. Durante il rito si avvicinano alle donne presenti e, abbracciandole le pungono con gli aculei simboleggiando così la metafora della penetrazione e fecondazione connessa con i rituali di propiziazione di una futura annata agraria. I Thurpos invece, hanno il viso nero, dipinto con il sughero bruciato, su zizziveddu o tintieddhu; con questo gesto perdono la propria identità umana e, attraverso la simbiosi uomo-animale, si trasformano in buoi aggiogati che mimano le varie fasi del lavoro contadino. FILONZANA Nel carnevale di Ottana, insieme ai Boes e Merdules, sfila la maschera de sa Filonzana (la filatrice). La sua è una figura tanto ambigua quanto affascinante, è un uomo vestito da donna vecchia che, gobba e con andatura distorta, si infila tra il pubblico e il corteo delle maschere. La maschera de sa filonzana deriva dalle tre parche greche o moire romane, che secondo la mitologia erano delle divinità simboleggianti il destino degli uomini e inesorabili filatrici della vita di tutti gli esseri umani. Sa Filonzana infatti, durante il rituale va in giro con fuso e conocchia e, con delle forbici da tosare appese al collo, minaccia il pubblico di recidere il filo in caso in cui non le venga offerto da bere. Gli altri protagonisti del carnevale ottanese sono i Merdules e i Boes che in un cerimoniale cruento e affascinante ripropongono scene della vita del mondo contadino: Sos Merdùles, ossia gli uomini, i contadini, vestiti con mastruche (pelli bianche o nere), il viso coperto da maschere lignee e antropomorfe, dai tratti spesso deformati, procedono lentamente, ricurvi su stessi e con delle redini (socas), guidano e tengono a bada Sos Boes; il loro significato è reso più evidente, oltre che dalla pantomima, anche dall'etimologia della parola Mèrdule che, con molta probabilità, deriva dal termine ottanese “mere de ule”, letteralmente padrone del bue. Sos Boes indossano pelli di pecora bianche, abito in velluto, e portano in spalla una cintola, generalmente di cuoio, da dove pende un pesante grappolo di campanacci. Il viso dei Boes è coperto anch'esso da “sas caratzas” (maschere) con sembianze zoomorfe, con corna più o meno lunghe che donano maestosità all'intera figura. GAVOI Il carnevale di Gavoi conserva l'ancestrale valore apotropaico e rigenerativo determinato dal suono, che vuole risvegliare la natura dal letargo invernale, allontanare gli influssi negativi e propiziare l'abbondanza della comunità. L'evento di questa giornata è “sa sortilla 'e tumbarinos”, il raduno di centinaia di tamburi suonati da donne, uomini e bambini che sfilano per le vie del paese indossando l'abito di velluto maschile dei pastori, le scarpe chiamate “sos cosinzos” e “sos cambales” o l'abito femminile delle vedove con il viso rigorosamente dipinto di nero. Anche nel caso del vestito vale l'inversione dei ruoli. I tamburi realizzati con pelli di pecora o capra su una struttura di legno, rappresentano gli strumenti principali della festa insieme a “su pipiolu”, il flauto di canna, “su triangulu”, il triangolo di ferro battuto, “su tumborro”, uno strumento realizzato da una vescica di animale essiccata e rigonfiata come cassa di risonanza che viene fatta vibrare da una corda come se fosse un violino. CARRASECARE Con il termine Carrasecare (o Harrasehare) si vuole indicare il Carnevale sardo, un carnevale tragico, lontano dall'allegoria e dai termini burleschi dei carnevali di Viareggio o di Venezia. Il termine Harrasehare, infatti, parrebbe derivare dal sardo harre 'e sehare, vale a dire carne umana fatta a pezzi, fatta a brandelli, proprio come era stato sbranato Dioniso dai Titani; attraverso questa interpretazione si voleva ricordare la presenza in questi riti di vittime sacrificali, residui di antichi riti pagani propiziatori di morte e rinascita. INTINTOS A Ovodda non esiste una vera e propria maschera tipica, ma si assiste al mascheramento in massa di tutti gli abitanti del paese, che dipingendosi il viso di nero con la fuliggine si trasformano in uomini Intintos. A differenza degli altri paesi sardi, in cui il carnevale termina il martedì grasso, a Ovodda si conclude il giorno successivo, ovvero "su merhulis 'è lessia", il Mercoledi delle ceneri, data che coincide co il primo giorno di Quaresima. Questo fa del Carnevale di Ovodda una festa trasgressiva visto che per la chiesa, il mercoledì delle ceneri è il giorno dedicato al digiuno e alla penitenza, esattamente l'opposto del carnevale. Il culmine della festa si raggiunge quando la ribellione sfocia nel processo e nell'eliminazione, con il rogo, di Don Conte, la sua morte viene vista come una liberazione dal malocchio lasciando una rinascita della terra e del bestiame, e auspica inoltre prosperità e gioia per i giorni restanti! nLULA Le maschere più importanti del carnevale di Lula sono tre: Su Battileddu,( la figura principale), sas Gattias (le vedove) e sos Battileddos issocadores. La denominazione Battileddu deriva dalla parola sarda battile, una sorta di tappetto usato come sotto-sella per gli asini e i cavalli; in seguito però il suo significato si riferisce ad un oggetto di scarso valore o, se riferito a persona, allude al suo essere trascurato e sporco. Su Battileddu ha il viso sporco di sangue e annerito dalla fuliggine e il corpo ricoperto di pelli di pecora e montone. cadores fanno da contorno al rituale. Intorno a lui si muovono altre maschere dal volto nero che lo aggrediscono fino ad ucciderlo. Su Battileddu viene quindi fatto sfilare su un carro, ma alla fine risorgerà, caratteristica che dimostrerebbe come anche la maschera di Lula, come la maggior parte delle maschere sarde, tragga origine dai riti Dionisiaci. MAMUTHONES E ISSOHADORES I misteriosi protagonisti del Carnevale di Mamoiada, Mamuthones e Issohadores, sono arrivati a noi come arcani testimoni di una millenaria tradizione orale. I Mamuthones, maschere nere e tragiche dall'espressione sofferente e affaticata, avanzano in gruppo di dodici con salti cadenzati che provocano il suono assordante dei campanacci, elemento propiziatorio ed apotropaico. Si muovono in maniera composta e solenne, osservando un assoluto silenzio e rappresentano l'immagine dell'oscurità, della natura morente nei suoi molteplici aspetti di uomo, donna, animale. Gli Issohadores, chiari e leggiadri nei loro costumi colorati, scortano il gruppo dei Mamuthones con un incedere più aggraziato dando il ritmo alla processione delle maschere nere. In mano tengono un laccio di giunco (sa soha), che lanciano con abilità verso le persone per acchiapparle, coinvolgendo in tal modo la comunità nel rito e donandole simbolicamente benessere e fertilità. nOLZAI Il carnevale di Olzai, come quello di Ovodda, ha la particolarità di proseguire fino al mercoledì delle Ceneri e poi fino alla domenica delle pentolacce; le strade del paese vengono animate dalle tre maschere caratteristiche del carnevale olzaese: sos Intintos, sos Murronarzos e sos Maimones. Sos Intintos, vestiti con “zippone e antalera”, hanno i visi imbrattati di nero, sono travestiti da vedove a lutto per la morte del carnevale e sfilano il mercoledì delle ceneri. Sos Murronarzos, indossano abiti d'orbace e campanacci; usano imbrattarsi il viso col sughero bruciato, originariamente lo coprivano con veri musi di maiale o cinghiale, oggi sostituiti da maschere lignee. Sfilano sempre in coppia. Sos Maimones, mezzo uomini e mezzo fantocci dalle fattezze femminili, hanno quattro braccia, quattro gambe e due teste. Sono maschere particolarmente allegre ed esplicite che personificano la fertilità umana. PASSU TORRAU Sino alla prima metà del Novecento, la buona riuscita di una festa dipendeva quasi esclusivamente da come si svolgevano le danze e particolare attenzione si prestava all'aspetto sonoro e coreutico. Sos Ballos, inoltre, rappresentavano anche una delle più importanti occasioni di socializzazione offerte alla comunità, e, in particolare, erano occasione per uomini e donne di poter stare a stretto contatto e comunicare le proprie simpatie amorose. Tra gli strumenti musicali nel cui repertorio vi sono molte musiche da ballo si possono menzionare “is launeddas, sas benas, su pipiolu, sa trunfa, s'affuente, su tumbarinu, su triangulu, sa chitarra”, “su sonette a bucca” (l'armonica a bocca), “su sonette” (l'organetto diatonico), “su sonu” (la fisarmonica). Lo studioso Giovanni Lilliu vedeva nel ballo «una vera orgia mimico-musicale propiziatrice d'amore», abbastanza vicina ad una danza rituale magico-erotico-sessuale. Per altri studiosi il ballo sardo è di origine greca. Il ballo più diffuso nell'isola è su ballu tundu (il ballo tondo) o duru-duru, imperniato su un cerchio che si ricompone più volte dopo ogni variazione coreografica. Da molte parti si balla su passu torràu (il passo che ritorna), detto anche ballu sèriu (ballo serio), una danza imponente, caratterizzata da un passo che si ripete e si conclude con una genuflessione. In tutta l'isola a seconda delle zone, degli strumenti che li accompagnano e dalle coreografie i balli e le danze tradizionali assumono nomi e connotazioni differenti. TEMPIO Il Carnevale di Tempiopausania  ha subito nel corso degli anni diverse trasformazioni, fino a diventare uno spettacolo folkloristico con una sfilata di carri allegorici che inscenano per le strade della cittadina una pantomima satirica con risvolti anche politici, diventando una sorta di Viareggio in miniatura. Il carnevale nella Gallura in generale, ha origine antica. ma risalire al principio non è facile perché molte tradizioni sono completamente scomparse. Le sfilate dei carri allegorici sono iniziate nel 1956, mentre prima vi era semplicemente un'esibizione di costumi composti da stracci e vestiti vecchi con particolari acconciature, all'insegna dell'improvvisazione e della spontaneità. VÍSERA ( O BÍSERA) È la maschera utilizzata nel carnevale, sono presenti diverse tipologie di vìseras, con varianti relative al materiale (legno, sughero, ceramica), alla tipologia (antropomorfe o zoomorfe) e al significato. Comune a innumerevoli popolazioni era l'utilizzo di tale simbolo sin dall'età arcaica, raramente sostituito, ma spesso affiancato da pitture corporali e tatuaggi. La maschera si configura come un'efficace mezzo di comunicazione tra gli uomini e le divinità, un tramite che consente di proiettarsi all'interno di un mondo “altro”, divino, rituale, mistico. Colui che indossa la maschera perde la propria identità per assumere quella dall'oggetto rituale rappresentata. In linea molto generale, la maschera è strumento con cui ingraziarsi la volontà dei numi agricoli e pastorali, utilizzandola a beneficio della comunità. La maschera, spesso, è associata al culto degli antenati ed il soggetto umano o animale è il più diffuso.


Zidicosu, Zorzi, Gioldzi e Radjolu, chi è il capro espiatorio che verrà sacrificato 
Il re fantoccio morirà sul rogo
MAMOIADA La maggior parte dei Carnevali sardi è riconducibile ad arcaici rituali propiziatori; quasi tutti sono caratterizzati dal sacrificio di una vittima che a seconda del paese assume nomi diversi: il nome più comune per identificare il re del Carnevale è Zorzi. Ma sono tante le varianti con le quali viene
una mia   foto   carnevale  2012 del nostro  Re Giorgio e Ghjòlglju 
chiamato il Dio del Carnevale: Isili lo chiama S'urdi de s'antecoru, a Desulo è detto Zidicosu, a Dorgali Radjolu, a Tempio Re Giorgio e Ghjòlglju, Gioldzi a Bosa, Juvanne Martis sero a Mamoiada, Olzai, Ollolai, Narcisu o ce homo, è il pupazzo tipico del carnevale fonnese. Don Conte a Ovodda, Cancioffàli di Cagliari, Zizzaròne a Gavoi, Zorzi conchi-tortu a Silanus. Si tratta di una maschera-pupazzo, simbolo del dio o del capro espiatorio, che in tutti i carnevali scompare di morte violenta: viene impiccato, bruciato o gettato in un fosso, affinché le sue ceneri fecondino la terra. I fantocci per lo più finiscono al rogo, ma non mancano i casi di annegamento, defenestrazione, decapitazione, impiccagione ed altre morti ingloriose. Il reato del quale viene ritenuto colpevole è quello di essere causa delle pene che l'umanità sopporta durante l'anno. In passato, il sacrificio si concludeva con delle vere e proprie orge, durante le quali gli uomini in età virile gridavano e cantavano versi scurrili al grido di “Andira, andira, andirò”, forse variazione di Andrìa (appellativo di Dioniso e del membro virile). Ancora oggi in molti paesi il fantoccio viene accompagnato da uomini mascherati da prefiche e da canti dal linguaggio scurrile. A Bolotana il fantoccio è seguito dal coro «Zorzi lassa su piachere-ca torra sa pacha Santa, lassa su piantu chi torra Sabadu Santu…», a Norbello cantano «Zorzi non ti c'andes- aspetta ca ti frio duos oos», a Mamoiada le prefiche lo piangono cosi: «Juvanne meu, prenu 'e pazza, mesu meazza, meazza 'e mesu, torrami sa vresa chi m hii c'has pihau, Juvanne». Nella Roma antica il dio dei saturnali veniva personificato da un uomo che veniva sacrificato per il bene della collettività; poi venne sostituito con un fantoccio di paglia. La sera del martedì grasso veniva bruciato come vittima designata che, morendo purificava gli uomini e la comunità, e attraverso l'esorcismo della sua morte diveniva simbolo di rinnovamento della fecondità.



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