ascoltando casualmente su youtube una vecchia canzone anarchica : amore ribelle di Pietro Gori mi sono ritornate alla mente queste storie lette le prime due su repubblica .it di un periodo ancora divisivo ed usato ad uno e consumo di chi vuole strumentalizzare ed negare tali fatti o approfondire ma da una parte sola come ho già detto nel precedente post : << invasioni barbariche , Unità d'Italia, Fascismo,lotta partigiana, foibe ed esodo Giuliano Dalmata solo colpa del pci ed di tito , 1960\1980 dominio della cultura comunista le cazzate sulla storia italiana sono praticamente infinite. >>
Ecco, guardateli. Guardate gli sposi, quel giovane uomo, quella giovane
donna, osservate quanto sono belli, sono belli da far piangere, ad aver
voglia di piangere per la bellezza. Del resto, quale sposa non è bella
il giorno delle sue nozze, e quale sposo non lo è mentre se la rimira
dall'alto del suo radioso orgoglio. Solo che loro sono belli oltre
misura, Rossella O'Hara diresti di lei, un principe diresti di lui, sono
così belli che riescono persino a imporre unicità alla fotografia più
comune tra tutte le immagini di circostanza; quante centinaia di milioni
di immagini come questa dormono in vecchie scatole da scarpe e
centenari album di famiglia sparsi per tutto il mondo. Non questa,
questa è viva, e i due sposi guardano ancora il mondo e dal mondo si
fanno guardare lassù in alto nella scansia tra le focacce e i pandolci
nel negozio di un fornaio. Continuate a dare un'occhiata ai due sposi
per favore, cercate di indagare nei particolari, perché nei particolari
vive una storia ancora più grande e più bella di come possa sembrare.
Difficile, capisco, l'immagine è rozzamente riprodotta con la fotocamera
di un telefono, i dettagli che contano sono materia nascosta e anche se
fosse evidente, ignota. Il vestito della sposa è di seta, la seta di un
paracadute di un reggimento aerotrasportato inglese, il vestito dello
sposo è di pesante stoffa di lana, la stoffa di una divisa del corpo
delle SS naziste; e il bouquet di fiori della sposa, quel grande bouquet
di così vividi colori, è fatto di fiori di carta, la carta velina della
modulistica dell'ufficio amministrativo del campo di concentramento e
lavoro forzato di Helmstedt, Bassa Sassonia. Il matrimonio è stato
celebrato e certificato il 3 luglio 1945 dal comandante dei
paracadutisti inglesi che lo hanno liberato, confermato due giorni dopo
con rito religioso amministrato da un prete cattolico.
Il forno si chiama da Gianchettu, Bianchetto, perché questo è il nome
del fornaio, e il suo negozio è nel carruggio di un borgo della Riviera
di Levante dove vado a fare i bagni da tempo immemore. Mi piace portarmi
a mare la mattina presto, mi piace essere il primo piede a scompisciare
la spiaggia di ghiaietta che i bagnini hanno appena finito di
pettinare, mi piace nuotare fino a non poterne più, asciugarmi in fretta
e poi passare da Gianchettu a prendermi una fetta di focaccia lunga un
braccio e larga mezzo, mangiarmela su una panca all'ombra scarsa di un
oleandro, leccarmi le dita dell'olio che è olio buono e buttarci dietro
mezzo bicchiere di un qualche vermentino del bar di fronte. Si fa presto
a dire focaccia, ma impastare, lievitare e cuocere una focaccia di
Riviera nell'aria madida di salmastro e non farne venir fuori una
flaccida, aspra, rugginosa lasagna, ma una sfoglia tenera e croccantina,
non è faccenda che ci riescono in tanti. Gianchettu, sì, e quella
focaccia è un gran sollievo alle inappetenze della calura, ai gastrici
dinieghi della macaia. Chissà se lui lo sa che il suo forno è una cura e
un riparo, lui se ne sta là dietro in canottiera e berrettino a
rimestare e infornare. Ma ogni tanto viene di qua per sorridere a sua
moglie che sta al banco, le sorride per riposarsi un po', e gli deve
piacere così tanto che gliene avanza anche per sorridere alla coda che
aspetta scontrosa e sudaticcia la sua fetta di focaccia cadauno.
Gianchettu è un fornaio sorridente, una rarità in assoluto, un'unicità
tra i fornai rivieraschi; lo vedo sorridere a sua moglie da quando passo
dal forno, diciamo vent'anni. E fa bene Gianchettu, non foss'altro
perché la signora Teresa ha due occhi azzurri bellissimi e distanti, e
uno sguardo in quei suoi occhi di quelli che ti viene da pensare che un
principe straniero potrebbe da un momento all'altro prendersela e
portarla chissà dove. Gli occhi della signora Teresa sono gli occhi
della sposa del campo di Helmstedt.
È per via di quegli occhi, e, certo, anche un po' per quella focaccia
così buona, per via del fornaio di Riviera singolarmente sorridente, che
al termine di un ventennale tirocinio mi son preso la confidenza di
chiedere alla Teresa chi fossero mai quei due sposi lassù dietro al suo
banco. Quei due sposi sono suo padre Tullio e sua madre Theresa. E
questo mi ha raccontato Teresa, la moglie del fornaio, nata Leocadia e
detta Lola, che però si chiama Teresa perché ha voluto prendersi il nome
di sua madre che non ha mai conosciuto perché è morta mettendola al
mondo; tutto quello che sa di lei glielo hanno detto le fotografie e le
storie di suo padre.
Dunque mi ha raccontato che sua madre Theresa è nata nella città polacca
di Pabianitz da una cattolicissima famiglia di commercianti. Pabianitz è
una città colpevole, ha inutilmente e sanguinosamente resistito alle
truppe germaniche d'occupazione, e dunque è severamente punita con la
deportazione in massa dei civili; Theresa è prelevata dalle SS
all'uscita da scuola, ha appena finito il corso di dattilografia, ha
ancora da compiere quattordici anni, è destinata al campo di Helmstedt.
Il campo è su una miniera di salgemma, ben in fondo nella miniera ci
sono i laboratori per la fabbricazione di componenti del prototipo di
un'arma segreta della Luftwaffe; il lavoro nella miniera è per i
deportati politici più pericolosi, quello nel laboratorio per i più
specializzati, gli uffici sono destinati alle ragazze come Theresa.
E mi ha raccontato che Tullio è nato nel '17 a Monterosso, in Riviera di
Levante, da una famiglia di sarti e barbieri dove i maschi sapevano
fare l'uno e l'altro mestiere assieme e anche dipingere e scrivere
poesie e anelare alla rivoluzione socialista. Tullio è partito alla
guerra da marinaio e dopo l'8 Settembre se n'è tornato a casa; quando i
fascisti sono andati a prenderlo per arruolarlo nella Repubblica
Sociale, lui si è fatto trovare in casa, era una testa calda. Lo hanno
deportato a Fossoli; di quel campo non ha mai voluto parlarne, solo,
morendo, ha lasciato sul comodino dell'ospedale un biglietto in cui
diceva di un orrore che non poteva dimenticare, per il resto ha solo
raccontato che a salvarlo dalla morte è stato il suo mestiere, un sarto è
sempre di grande utilità in un posto dove ci sono tanti uomini in
divisa, specialmente poi se è anche un barbiere.
Il campo di Helmstedt non è un campo di sterminio anche se c'è
l'edificio per le eliminazioni, il vitto è uguale per tutti, un filone
di pane da dividere tra i sedici componenti della baracca e una patata
con l'acqua di bollitura a testa al giorno; nel campo tutto era proibito
tranne eseguire gli ordini, Tullio ha portato per tutta la vita le
cicatrici delle percosse che ha ricevuto disobbedendo alla regola, il
suo nome era un numero, o altrimenti "tu, merda". Tullio ha raccontato
che il primo ricordo che aveva del campo era il canto di un gruppo di
polacchi, cantavano inni sacri polacchi mentre le guardie lì
picchiavano, prendevano le bastonate e continuavano a cantare, cantare
era proibito, era proibito anche pregare a voce alta. Era proibito
festeggiare anche il Natale, e per questa ragione Tullio ha conosciuto
Theresa; quella polacchetta era una testa calda e nel Natale del '44 era
diventata famosa in tutto il campo perché s'era risaputo che,
rischiando la morte, aveva rubato un rametto da un albero e con la carta
colorata rubata negli uffici aveva allestito un alberello natalizio
nella sua baracca, era furbissima e riusciva a nasconderlo alle
ispezioni giornaliere. Così Tullio si è intestardito di conoscerla la
testa calda polacca, e ci è riuscito trovando il modo di arrivare
all'ufficio dove dattilografava. L'ha vista, era bellissima e piena di
fascino ribaldo, e si è innamorato; e siccome era anche lui un uomo
molto bello e molto affascinante, anche Theresa si è innamorata, così,
in un lampo. Tullio ha raccontato che la cosa strana in quel campo dove
nessuno pensava a altro che a sopravvivere, dove essere buoni d'animo
era come suicidarsi, fu la gran complicità generale per quegli
innamorati, così che riuscirono a scambiarsi persino dei biglietti, e a
promettersi, e a sopravvivere fino alla liberazione.
Naturalmente il vestito della sposa e il suo lì ha tagliati e cuciti
Tullio. Che ha preso la sua sposa e se l'è portata in Riviera, e alla
stazione c'era tutto il paese ad aspettarli, in testa la cara, vecchia
mamma, che per prima cosa si è schiantata sul figlio con uno schiaffone
tremendo, perché, con tutto quello che gli era successo, Tullio si era
dimenticato di aver lasciato al paese una promessa sposa, nientemeno che
la nipote del parroco, e queste cose non si fanno. E poi sono vissuti
felici e contenti, tanto da fare una figlia e poi un'altra, e l'altra è
la signora Teresa che non ha mai conosciuto sua madre e quello che sa di
lei sono le fotografie e i racconti. Che è quello che so io e che ora
sapete voi. E tutti quanti sappiamo da quelle fotografie un'altra cosa,
sappiamo che persino nella più vigilata fortezza dell'inumanità, nel più
schifoso tabernacolo del sadismo, nel tempo dove niente di buono è
ammissibile e plausibile, ecco che anche lì non tutto è perfettamente e
eternamente predisposto e stabilito. Questo nel caso che al tempo
presente dovessimo sentirci deprimevolmente impotenti.
Una squadra della 36° Brigata Garibaldi (1944 - 1945). Credit: Fototeca GilardiI ragazzi che fecero la Rivoluzione
L’ordinamento repubblicano affonda le radici nei
principi dei tanti giovani che scelsero la Resistenza e la libertà. Una
storia che non si può dimenticare
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