No vax e giocatori, metto tutti in riga. Intervista a Silvia Marziali, arbitra nel basket maschile., Brigantesse e dame: le patriote del nostro risorgimento ., Un tatami come salotto per la famiglia karate.,

   Sul Venerdì  direpubblica  del   14 gennaio 2021




Silvia Marziali in scafandro protettivo
durante l’emergenza Covid (fiba.com)

Silvia lo sa, un arbitro e un medico in fondo devono fare la stessa cosa: prendere la decisione giusta nel minor tempo possibile. Per riuscirci servono preparazione e autocontrollo. Silvia Marziali è stata la prima donna italiana ad arbitrare una partita internazionale di basket. Da quest'anno è anche la seconda a fischiare in Serie A maschile: la prima di sempre, Antonella Frabetti, ci arrivò nel 1989, quando Silvia aveva un anno. Fuori dal campo, è un medico dell'Aeronautica, con un master in medicina estetica e l'ambizione di diventare cardiologa dello sport. È sempre in prima linea: nel 118, nell'emergenza Covid-19, ora nella campagna di vaccinazione. Silvia ha 33 anni, è nata a Edolo, nel Bresciano, ma è marchigiana. Cresciuta a Porto San Giorgio, sabbia e canestri, dove i playground sulla spiaggia spezzano le file di ombrelloni. Papà Francesco, fermano, era una promessa della Scavolini, lasciò i parquet quando entrò a Medicina. Mamma Rita, origini calabresi, insegna Agraria. Due fratelli, Francesca e Andrea, lei nutrizionista, lui dentista. "Io ho seguito in tutto le orme di papà, ho giocato nell'Adria fino in A2 femminile, ruolo guardia, brava in difesa mi dicevano. Poi, a 19 anni, lo stesso bivio: sono entrata alla Cattolica a Roma, ho rinunciato a giocare. Solo che senza pallacanestro non potevo vivere. Allora ho iniziato a fare l'arbitro nelle giovanili. In quegli anni ero assorbita dai libri, il basket è stato la mia medicina. Un momento di libertà per la mia testa".
 14 euro di rimborso
Silvia se li ricorda, i primi tempi. Quattordici euro di rimborso per andarsi a prendere insulti irripetibili in una palestra di periferia dopo aver attraversato la città. Nello sport giovanile in Italia funziona (male) così: mamme e papà esagitati e istruttori poco istruttivi devono sfogare su qualcuno le proprie frustrazioni. "E che insulti, poi. Ognuno di loro pensa di conoscere le regole meglio di te, ogni genitore pensa di aver messo al mondo LeBron James o il Mamba. A quei livelli, l'arbitro è solo un ragazzo, ed è profondamente solo. All'inizio mio padre mi seguiva in tribuna, stava male quando cominciavano a beccarmi. Dagli spalti mi dicevano di tutto. Prima che non ero capace. Poi mi insultavano sul piano personale. Il colore dei capelli, la pancia, il sedere, le orecchie a sventola. Dopo un po' neanche li senti più. Ma non puoi sempre tacere". A giugno, nella finale di A2 Derthona-Torino, Silvia ha ricevuto insulti sessisti da un dirigente di Tortona, squalificato per sei mesi. "Non era giusto ignorarli, l'ho fatto per le ragazze che ogni fine settimana vanno sui campi: certe cose possono farti male. Un arbitro non ha sesso: nel calcio Stephanie Frappart, che ha diretto anche una finale di Supercoppa europea, dice che l'unica cosa che conta è che la decisione sia giusta. Molte ragazze mi prendono come esempio, è vero, ma la cosa che mi gratifica davvero è che giovani arbitri, senza distinzione di genere, mi chiedano consigli tecnici".
Dentro la bolla

Marziali si allena almeno quattro volte a settimana, è seguita da un personal trainer della Fiba, la federazione internazionale di basket, e alla preparazione atletica abbina quella teorica. Passa ore al video a studiare le squadre che dovrà dirigere, come se avesse due avversari da affrontare. Racconta che prova a capire in anticipo il gioco, le tattiche, i duelli in campo. "Poi ho un rito tutto mio: indossata la divisa, completate le procedure, devo isolarmi per quindici minuti in una bolla in cui ci siamo solo io e la partita, con tutti i suoi interpreti. L'arbitraggio è uno sport interiore. Allena la mente, forma il carattere. Ti mette di fronte a situazioni di difficoltà che devi risolvere in pochi secondi". Appunto. Succede anche quando indossa il camice. Silvia tiene separate le sue due vite, ma talvolta i percorsi s'intrecciano. Il giorno in cui ha debuttato in campo internazionale, aveva già un altro piccolissimo impegno: discutere la tesi di laurea. Ha dovuto anticipare la seduta per partire.
Quando è esplosa l'emergenza Covid, è stata inviata al porto di Civitavecchia per gestire i focolai scoppiati sulle navi da crociera. "Ma l'esperienza che più mi ha segnato è stata con l'Aeronautica all'ospedale civile di Campobasso, in terapia subintensiva, con sessanta pazienti. Entrare nel reparto è come andare sott'acqua, tu sudi e soffochi dentro il tuo scafandro, indossando doppie protezioni. Ti immergi in un'altra realtà, il rumore dell'ossigeno ti entra nella testa. Sembriamo astronauti scesi sulla Luna, si vedono solo i nostri occhi, i pazienti non hanno rapporti con l'esterno e si affidano completamente a te. E tu con poche armi che hai a disposizione cerchi la soluzione giusta. Spesso non ce l'hai. Ho visto persone smettere di respirare all'improvviso, e altre riprendersi quando sembravano senza speranza. Sentendo parlare i No Vax prima mi arrabbiavo, adesso resto solo delusa. Quando qualcuno esordisce sull'argomento con "secondo me..." lo fermo subito: non esiste "secondo me". Esistono la scienza, i dati, e persone che ne sanno più di te".
E poi c'è l'ukulele

La donna che vive due volte è molte altre cose ancora. "Io mi vedo senza divisa, in verità. Ho provato negli anni a capire se sono più un dottore o un arbitro, ora dico che la medicina e la pallacanestro mi hanno reso quella che sono: una persona che ha delle passioni, degli obiettivi, e che lavora sodo per migliorarsi".
Per esempio la musica, il pianoforte, e un ukulele, "anche se non ho molto orecchio". I dolci. Camminare, esplorare. "Prendo un libro e mi metto in cammino cercando un posto dove fermarmi a leggere: lo faccio quando voglio mettere a posto i pezzi del puzzle nella mia mente". Racconta Silvia che il basket ti costringe ad alzare la testa, a guardare verso il cielo. "In certi tiri perfetti non vedete anche voi un po' di poesia?".
                         

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