14.7.23

il carattere delle donne diventa attenuante in un omicidio il caso di Carol Maltesi

Quando una giovane denuncia uno stuproo una molestia ci occupiamo subito di come era vestita l’obiettivo è quello di derubricare l’accaduto da reato a simpatica marachella vedi il caso di un altra aberrante sentenza di ub bidello assolti per molestie su una studentessa : << 10 SECONDI DI PALPEGGIAMENTO SONO LEGALI 🤬😃 NON C'E' MOLESTIA >>
“Il processo è stato fatto a mia figlia Carol, non a chi l’ha uccisa”: la madre di Carol Maltesi, Giuseppina, è sconvolta da quello che i suoi avvocati le hanno riferito, ovvero le motivazioni, appena depositate, della condanna a 30 anni e non all’ergastolo per Davide Fontana,
Pure io che ho una posizione non forcaiola \ tenue sull'ergastolo visto che lo ammetto solo i casi come questo , la sentenza mi lascia indigniato e sconfortato per il fatto che il termine 'disinibita' utilizzato nella sentenza, sembra d'essere tornati ai tempi in cui la violenza contro le donne era un reato contro la morale . Infatti Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea Onlus e coordinatrice della Rete Reama, parla di "stereotipi di genere che colpevolizzano una donna uccisa e giustificano il femminicidio tanto da diminuire la pena e rigettare la richiesta di ergastolo. Una sentenza che non rende giustizia a Carol e a tutte le donne vittime di violenza anzi, perpetra una ulteriore violazione da parte della magistratura che rappresenta lo Stato Italiano e la sua giustizia".
L'Italia è già condannata dalla Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo per giudizi stereotipati su una vittima di violenza il 27 maggio 2021. "Siamo profondamente indignate da questa sentenza - conclude Lanzoni - frutto di una cultura sessista che permea così profondamente la magistratura italiana. Ancora oggi chiediamo giustizia, che sia certa e scevra da ogni stereotipo di genere contro le donne". Soprattutto leggendo questo estratto ( gli altri li trovate nell'articolo sotto da la stampa del 14\7\2023 ) della sentenza [.... ] si è reso conto che la giovane e disinibita Carol Maltesi si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo aveva usato e ciò di un moto interiore del tutto ingiustificato e tale da costituire un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale». E neanche cruento perché «non può ritenersi provato in modo convincente che Fontana abbia continuato a colpire Carol nonostante la reazione della donna, a testimonianza di malvagità, di insensibilità morale e di particolare ferocia».

da  la stampa  del  \14\k7\2023

Suscita polemiche la motivazione della sentenza con la quale i giudici della Corte d’Assise di Busto Arsizio hanno condannato a trent’anni invece dell’ergastolo, come aveva richiesto l’accusa, il bancario milanese e “food blogger” di 44 anni Davide Fontana, difeso dagli avvocati Stefano Paloschi e Giulia Ruggeri. La notte tra il 10 e l’11 gennaio del 2022 l’uomo, mentrestava girando un filmino hard con la ragazza nella casa di lei a Rescaldina, la colpì per tredici olte alla testa con un martello, poi le tagliò la gola e infine la dissezionò, nascondendo i pezzi in sacchi della spazzatura buttati in una discarica. Un omicidio orrendo, il cui movente sarebbe da ricercare, secondo i giudici, non nella «gelosia ma nella consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso crescente di frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte». Sono gli stessi giudici, presieduti da Giuseppe Fazio, a entrare nella testa del vicino di casa di Carol: «Dal suo punto di vista l’omicidio era un modo, certo non condivisibile e sproporzionato secondo il comune modo di sentire, per venire fuori da quella condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile, innescata dalla decisione dellastimolante donna amata di allontanarsi da lui». Per la ventiseienne, madre di un bambino di sei anni, il dipendente di banca aveva deciso di lasciare la moglie dopo sette anni di matrimonio. Carol era un’ancora di salvezza per Fontana «da cui sostanzialmente dipendeva – si legge nelle 37 pagine della motivazione – poiché gli aveva permesso di vincere la sostanziale solitudine in cui si consumava in precedenza e di vivere in modo finalmente diverso e gratificante». Di lei accettava anche che «intrattenesse rapporti sentimentali» con altri uomini e neanche si opponeva «all’intensa attività di escort e di attrice porno della donna, che implicava numerosi incontri a sfondo sessuale con altri uomini, che egli, anzi, organizzava e favoriva». Un quadro generale che ha portato i due giudici togati e i sei popolari a escludere le aggravanti della premeditazione, dei futili motivi e della crudeltà. A fare cadere la prima è il maggior peso assegnato «all’assenza di qualunque significativa organizzazione dell’omicidio» rispetto al parere della psichiatrica Monica Bertini secondo la quale la scelta di ammazzare la ventiseienne è stata «frutto di una decisione maturata lentamente, a seguito della progressiva presa di coscienza da parte sua che i progetti personali e professionali di Carol Maltesi non contemplassero più la prosecuzione della loro relazione, anche solo professionale».Per la corte non si può ritenere futile la ragione dell’omicidio che «oltre a non essere turpe o spregevole più di ogni altro motivo che induca alla commissione di qualunque delitto doloso cruento, non è stata espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato e tale da costituire un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale». E neanche cruento perché «non può ritenersi provato in modo convincente che Fontana abbia continuato a colpire Carol nonostante la reazione della donna, a testimonianza di malvagità, di insensibilità morale e di particolare ferocia».


Mi   chiedo  Può il carattere ed  la  professione   della vittima diventare una circostanza attenuante in un omicidio? Ovviamente no. Nessun Tribunale oserebbe (  o almeno dovrebbe  )affermare che uccidere un bambino insonne e isterico sia meno grave che ucciderne uno placido e sorridente, o che sia un po’ più legittimo accoppare un genitore insopportabile o un capo ufficio senza cuore. L’unica circostanza attenuante, in un omicidio, è la legittima difesa, con tutte le difficoltà di attribuzione che comporta. Ma questo  sembra  non valere per le donne. 

Infatti  lascio    sempre  dalla   fonte  , La parola   a  chi conoscer  meglio  di me   l'argomento ed  ha  più  competenza  i merito  .


ELENA STANCANELLI



Del resto per le donne si fa eccezione spesso, quando si tratta di reati. Che a subire un reato sia una femmina consente aggiustamenti impensabili nel caso di un maschio. Immaginate come reagiremmo a sentire che è stata alleggerita la condanna per rapina a qualcuno perché il rapinato indossava delle orribili ciabatte, ciabatte che avevano dato adito a un equivoco, che istigavano al reato. Rideremmo, penseremmo a un colpo di sole da parte di avvocati o giudici. Se invece una donna denuncia uno stupro la prima cosa della quale ci occupiamo è come era vestita. Segue una disamina delle sue relazioni sessuali/amorose e una rapida valutazione della sua moralità. L’obiettivo è quello di derubricare l’accaduto da reato a simpatica marachella. Ci hanno fatto credere che fosse complicato separare in maniera netta uno stupro da semplice cattivo sesso. Ci hanno detto: siete sicure? Abbastanza, direi. Ogni donna sa che capitano delle volte in cui si fa del cattivo sesso, qualche volta anche contro voglia perché è più complicato dire no che non sbrigare in fretta la pratica. Ogni donna sa che quella cosa lì non somiglia neanche lontanamente a uno stupro. La si scorda in fretta, non fa male, qualche volta diventa addirittura una scusa per rifarlo, e magari viene meglio. Ripeto: non somiglia neanche lontanamente a uno stupro se non nella testa di uomini malati di mente, siano essi avvocati, giudici o amici dell’accusato. Il sesso, anche il peggiore, e lo stupro non appartengono alla stessa categoria semantica. Il primo è vita, il secondo è morte, violenza, annientamento. Ve ne dico un’altra che farebbe molto ridere se non fosse vera, se non fosse accaduta ieri, nel nostro paese. Se non potesse accadere a ciascuna di noi. Un uomo uccide una donna poi la fa a pezzi e sparge i pezzi in un bosco. Una donna con la quale aveva un relazione di qualche tipo. Viene condannato, ma la sua pena viene ridotta perché quella donna, quella che ha fatto a pezzetti e nascosto tra le foglie, col suo comportamento lo aveva esasperato. «Fontana (l’omicida) si è reso conto che la giovane e disinibita Carol si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo avesse usato e ciò ha scatenato l’azione omicida». Questo scrivono i giudici nella motivazione. Facciamo un gioco: quanti di voi si sono sentiti usati una volta nella vita, quanti hanno avuto a che fare con una personA disinibita, quanti hanno percepito di colpo l’arrivismo di quella persona della quale, fatalmente, si erano innamorati? Quasi tutti noi? «A spingere l’imputato non fu la gelosia ma la consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte». E qui la percentuale si alza: tutti? Gli altri, pochi, sono molto fortunati. Quanti di noi hanno preso quella persona, l’hanno fatta a pezzi e l’hanno nascosta tra le foglie del bosco? Nessuno direi, per fortuna. Perché questo è il patto sociale: ci si incontra, ci si innamora, e quasi sempre questo innamoramento si trasforma in delusione. A quel punto ci si allontana. Ma questo, lo abbiamo detto, non vale per le donne. O almeno può non valere, se la follia omicida incontra l’ottusità di chi deve giudicarla. Perché, ci chiediamo, perché questo trattamento non viene riservato agli uomini? Recuperiamo la storia dell’indovino Tiresia. Fu la dea Era ad accecarlo, perché aveva visto una cosa che non doveva vedere. Grazie a una storia complicata di serpenti era stato trasformato in una donna e come donna aveva vissuto per sette anni. In quegli anni aveva visto, anzi sperimentato sul suo corpo, il piacere femminile. Interrogato su quella esperienza aveva risposto che non c’era proprio storia: il piacere sessuale di una donna è nove volte più grande di quello di un uomo. La dea si infuriò (perché aveva rivelato un segreto che doveva rimanere nascosto) e per vendicarsi lo accecò mentre Zeus, per risarcirlo, gli donò la capacità di prevedere il futuro (più un danno che un dono). Aveva ragione Era: la prima regola del piacere femminile è che non si parla del piacere femminile. Crea invidia nei maschi e fa crollare tutto quel castello di bugie su cui abbiamo costruito la complicata convivenza: la potenza, l’erezione, l’armamentario maschile che conosciamo. E che sappiamo (ma non lo diciamo) fragilissimo. Di questo parla la sentenza di ieri: della paura dei maschi (non tutti, ma quei giudici sicuramente sì) che quelle nove volte diventino, come è stata per secoli la potenza virile, la dote di chi comanda. Che le donne comandino, finalmente, e sulla base del piacere. Che meravigliosa rivoluzione sarebbbe

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