Pure io che ho una posizione non forcaiola \ tenue sull'ergastolo visto che lo ammetto solo i casi come questo , la sentenza mi lascia indigniato e sconfortato per il fatto che il termine 'disinibita' utilizzato nella sentenza, sembra d'essere tornati ai tempi in cui la violenza contro le donne era un reato contro la morale . Infatti Simona Lanzoni, vicepresidente della Fondazione Pangea Onlus e coordinatrice della Rete Reama, parla di "stereotipi di genere che colpevolizzano una donna uccisa e giustificano il femminicidio tanto da diminuire la pena e rigettare la richiesta di ergastolo. Una sentenza che non rende giustizia a Carol e a tutte le donne vittime di violenza anzi, perpetra una ulteriore violazione da parte della magistratura che rappresenta lo Stato Italiano e la sua giustizia".
L'Italia è già condannata dalla Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo per giudizi stereotipati su una vittima di violenza il 27 maggio 2021. "Siamo profondamente indignate da questa sentenza - conclude Lanzoni - frutto di una cultura sessista che permea così profondamente la magistratura italiana. Ancora oggi chiediamo giustizia, che sia certa e scevra da ogni stereotipo di genere contro le donne". Soprattutto leggendo questo estratto ( gli altri li trovate nell'articolo sotto da la stampa del 14\7\2023 ) della sentenza [.... ] si è reso conto che la giovane e disinibita Carol Maltesi si era in qualche misura servita di lui per meglio perseguire i propri interessi personali e professionali e che lo aveva usato e ciò di un moto interiore del tutto ingiustificato e tale da costituire un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale». E neanche cruento perché «non può ritenersi provato in modo convincente che Fontana abbia continuato a colpire Carol nonostante la reazione della donna, a testimonianza di malvagità, di insensibilità morale e di particolare ferocia».
da la stampa del \14\k7\2023
Suscita polemiche la motivazione della sentenza con la quale i giudici della Corte d’Assise di Busto Arsizio hanno condannato a trent’anni invece dell’ergastolo, come aveva richiesto l’accusa, il bancario milanese e “food blogger” di 44 anni Davide Fontana, difeso dagli avvocati Stefano Paloschi e Giulia Ruggeri. La notte tra il 10 e l’11 gennaio del 2022 l’uomo, mentrestava girando un filmino hard con la ragazza nella casa di lei a Rescaldina, la colpì per tredici olte alla testa con un martello, poi le tagliò la gola e infine la dissezionò, nascondendo i pezzi in sacchi della spazzatura buttati in una discarica. Un omicidio orrendo, il cui movente sarebbe da ricercare, secondo i giudici, non nella «gelosia ma nella consapevolezza di aver perso la donna amata, accompagnata dal senso crescente di frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte». Sono gli stessi giudici, presieduti da Giuseppe Fazio, a entrare nella testa del vicino di casa di Carol: «Dal suo punto di vista l’omicidio era un modo, certo non condivisibile e sproporzionato secondo il comune modo di sentire, per venire fuori da quella condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile, innescata dalla decisione dellastimolante donna amata di allontanarsi da lui». Per la ventiseienne, madre di un bambino di sei anni, il dipendente di banca aveva deciso di lasciare la moglie dopo sette anni di matrimonio. Carol era un’ancora di salvezza per Fontana «da cui sostanzialmente dipendeva – si legge nelle 37 pagine della motivazione – poiché gli aveva permesso di vincere la sostanziale solitudine in cui si consumava in precedenza e di vivere in modo finalmente diverso e gratificante». Di lei accettava anche che «intrattenesse rapporti sentimentali» con altri uomini e neanche si opponeva «all’intensa attività di escort e di attrice porno della donna, che implicava numerosi incontri a sfondo sessuale con altri uomini, che egli, anzi, organizzava e favoriva». Un quadro generale che ha portato i due giudici togati e i sei popolari a escludere le aggravanti della premeditazione, dei futili motivi e della crudeltà. A fare cadere la prima è il maggior peso assegnato «all’assenza di qualunque significativa organizzazione dell’omicidio» rispetto al parere della psichiatrica Monica Bertini secondo la quale la scelta di ammazzare la ventiseienne è stata «frutto di una decisione maturata lentamente, a seguito della progressiva presa di coscienza da parte sua che i progetti personali e professionali di Carol Maltesi non contemplassero più la prosecuzione della loro relazione, anche solo professionale».Per la corte non si può ritenere futile la ragione dell’omicidio che «oltre a non essere turpe o spregevole più di ogni altro motivo che induca alla commissione di qualunque delitto doloso cruento, non è stata espressione di un moto interiore del tutto ingiustificato e tale da costituire un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale». E neanche cruento perché «non può ritenersi provato in modo convincente che Fontana abbia continuato a colpire Carol nonostante la reazione della donna, a testimonianza di malvagità, di insensibilità morale e di particolare ferocia».
Mi chiedo Può il carattere ed la professione della vittima diventare una circostanza attenuante in un omicidio? Ovviamente no. Nessun Tribunale oserebbe ( o almeno dovrebbe )affermare che uccidere un bambino insonne e isterico sia meno grave che ucciderne uno placido e sorridente, o che sia un po’ più legittimo accoppare un genitore insopportabile o un capo ufficio senza cuore. L’unica circostanza attenuante, in un omicidio, è la legittima difesa, con tutte le difficoltà di attribuzione che comporta. Ma questo sembra non valere per le donne.
Infatti lascio sempre dalla fonte , La parola a chi conoscer meglio di me l'argomento ed ha più competenza i merito .
ELENA STANCANELLI
Del resto per le donne si fa eccezione spesso, quando si tratta di reati.
Che a subire un reato sia una femmina consente aggiustamenti impensabili nel caso
di un maschio. Immaginate come reagiremmo a sentire che è
stata alleggerita la condanna
per rapina a qualcuno perché
il rapinato indossava delle orribili ciabatte, ciabatte che avevano dato adito a un equivoco,
che istigavano al reato. Rideremmo, penseremmo a un colpo di sole da parte di avvocati
o giudici. Se invece una donna denuncia uno stupro la prima cosa della quale ci occupiamo
è come era vestita. Segue una disamina delle sue relazioni
sessuali/amorose e una rapida valutazione della sua moralità. L’obiettivo è quello di derubricare l’accaduto da reato a
simpatica marachella. Ci hanno fatto credere che fosse complicato separare in
maniera netta uno stupro da
semplice cattivo sesso. Ci hanno detto: siete sicure? Abbastanza, direi. Ogni donna sa
che capitano delle volte in cui
si fa del cattivo sesso, qualche
volta anche contro voglia perché è più complicato dire no
che non sbrigare in fretta la
pratica. Ogni donna sa che
quella cosa lì non somiglia
neanche lontanamente a uno
stupro. La si scorda in fretta,
non fa male, qualche volta diventa addirittura una scusa
per rifarlo, e magari viene meglio. Ripeto: non somiglia
neanche lontanamente a uno
stupro se non nella testa di uomini malati di mente, siano essi avvocati, giudici o amici
dell’accusato. Il sesso, anche il
peggiore, e lo stupro non appartengono alla stessa categoria semantica. Il primo è vita, il
secondo è morte, violenza, annientamento. Ve ne dico un’altra che farebbe molto ridere se
non fosse vera, se non fosse accaduta ieri, nel nostro paese.
Se non potesse accadere a ciascuna di noi. Un uomo uccide
una donna poi la fa a pezzi e
sparge i pezzi in un bosco. Una
donna con la quale aveva un
relazione di qualche tipo. Viene condannato, ma la sua pena viene ridotta perché quella
donna, quella che ha fatto a
pezzetti e nascosto tra le foglie, col suo comportamento
lo aveva esasperato. «Fontana
(l’omicida) si è reso conto che
la giovane e disinibita Carol si
era in qualche misura servita
di lui per meglio perseguire i
propri interessi personali e
professionali e che lo avesse
usato e ciò ha scatenato l’azione omicida». Questo scrivono
i giudici nella motivazione. Facciamo un gioco: quanti di
voi si sono sentiti usati una volta nella vita, quanti hanno avuto a che fare con una personA disinibita, quanti hanno percepito di colpo l’arrivismo di
quella persona della quale, fatalmente, si erano innamorati? Quasi tutti noi? «A spingere l’imputato non fu la gelosia
ma la consapevolezza di aver
perso la donna amata, accompagnata dal senso di crescente frustrazione per essere stato da lei usato e messo da parte». E qui la percentuale si alza: tutti? Gli altri, pochi, sono molto fortunati. Quanti di noi
hanno preso quella persona,
l’hanno fatta a pezzi e l’hanno
nascosta tra le foglie del bosco? Nessuno direi, per fortuna. Perché questo è il patto sociale: ci si incontra, ci si innamora, e quasi sempre questo
innamoramento si trasforma
in delusione. A quel punto ci
si allontana.
Ma questo, lo abbiamo detto, non vale per le donne. O almeno può non valere, se la follia omicida incontra l’ottusità
di chi deve giudicarla. Perché,
ci chiediamo, perché questo
trattamento non viene riservato agli uomini? Recuperiamo
la storia dell’indovino Tiresia.
Fu la dea Era ad accecarlo, perché aveva visto una cosa che
non doveva vedere. Grazie a
una storia complicata di serpenti era stato trasformato in
una donna e come donna aveva vissuto per sette anni. In
quegli anni aveva visto, anzi
sperimentato sul suo corpo, il
piacere femminile. Interrogato su quella esperienza aveva
risposto che non c’era proprio
storia: il piacere sessuale di
una donna è nove volte più
grande di quello di un uomo.
La dea si infuriò (perché aveva
rivelato un segreto che doveva
rimanere nascosto) e per vendicarsi lo accecò mentre Zeus,
per risarcirlo, gli donò la capacità di prevedere il futuro (più
un danno che un dono). Aveva
ragione Era: la prima regola
del piacere femminile è che
non si parla del piacere femminile. Crea invidia nei maschi e
fa crollare tutto quel castello
di bugie su cui abbiamo costruito la complicata convivenza: la potenza, l’erezione, l’armamentario maschile che conosciamo. E che sappiamo
(ma non lo diciamo) fragilissimo. Di questo parla la sentenza di ieri: della paura dei
maschi (non tutti, ma quei
giudici sicuramente sì) che
quelle nove volte diventino,
come è stata per secoli la potenza virile, la dote di chi comanda. Che le donne comandino, finalmente, e sulla base
del piacere. Che meravigliosa rivoluzione sarebbbe
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