Senza titolo 1336


L'ISOLA CHE NON C'E
(E. Bennato)



Seconda stella a destra
questo è il cammino,
e poi dritto fino al mattino
poi la strada la trovi da te,
porta all'isola che non c'è.

Forse questo ti sembrerà un strano,
ma la ragione ti ha un po' preso la mano.
Ed ora sei quasi convinto che
non può esistere un'isola che non c'è.

E a pensarci, che pazzia,
è una favola, è solo fantasia
e chi è saggio, chi è maturo lo sa:
non può esistere nella realtà!

Son d'accordo con voi
non esiste una terra
dove non ci son santi né eroi
e se non ci son ladri,
e se non c'è mai la guerra,
forse è proprio l'isola che non c'è
... che non c'è.

E non è un'invenzione
e neanche un gioco di parole
se ci credi ti basta perché
poi la strada la trovi da te.

Son d'accordo con vo
iente ladri e gendarmi,
ma che razza di isola è ?
Niente odio e violenza,
né soldati, né armi
forse è proprio l'isola che non c'è
... che non c'è.

Seconda stella a destra
questo è il cammino,
e poi dritto fino al mattino
non ti puoi sbagliare perché
quella è l'isola che non c'è!

E ti prendono in giro
se continui a cercarla,
ma non darti per vinto perché
chi ci ha già rinunciato
e ti ride alle spalle
forse è ancora più pazzo di te!


Ho ricevuto una email che mi diceva  commentando il post  sul referendum del  25-26\06\2006   che   mi batto per le cause perse  e  contro i mulini   a vento  .
 Poichè non è la prima  email   del genere  ( oltre a  quello che mi dicono i miei vecchi e  alcuni  amici  \  conoscenti  )  non riuscendo a trovare  qualcosa di  originale  e  non ripetitivo    rispondo  con questa storia di  una coppia della mia regione .  A voi decidere  se  etichettarmi come un matto o come un donchisciotte 



 dalla   nuova sardegna  del  15\6\2006

«Avremo un figlio da embrioni selezionati»
La scelta di una coppia dopo aver scoperto che la primogenita è talassemica Il padre è un giovane sardo portatore della malattia che nell’isola è endemica



REGGIO EMILIA. Gioca felice con la sorellina e mostra alla mamma il segno dell’ennesima puntura che le è stata fatta poco prima. Chiara, 6 anni, non sa di essere malata e quando, ogni sera, si sottopone alla terapia, pensa che sia tutto normale e si chiede quando toccherà anche alla sorella, che di anni ne ha tre. La diagnosi è arrivata quando Chiara aveva tre mesi: talassemia, una malattia ereditaria causata da un difetto genetico. Ora, per cercare di curarla con un trapianto, la madre e il padre hanno deciso di far nascere un terzo figlio. Per non correre il rischio che sia malato, si affideranno alla procreazione medicalmente assistita. Lo faranno a Londra, però, dove è possibile selezionare gli embrioni sani. In Italia la legge lo vieta.
 Proprio martedì il comitato ministeriale per la bioetica, presieduto da Giuliano Amato, ha ribadito la necessità che la legge 40 - quella sulla procreazione assistita, che nemmeno il referendum del giugno 2005 riuscì ad abrogare almeno in parte - venga applicata nella sua interezza. Ma il tempo, per Chiara, è prezioso e i suoi genitori hanno deciso di non perderne altro aspettando, invano, che la legge cambi. Così andranno all’estero, in una clinica privata di Londra, per concepire un figlio sano che, se tutto andrà come sperano, possa essere compatibile con la bambina e aiutarla a guarire.
 Raica Zanellato, 29 anni, originaria di Rovigo, delle zone del Delta del Po, e il marito Fabrizio Pilurzi, 27 anni, arrivato nella Bassa reggiana con la famiglia, originaria di Siniscola (Nuoro), sono entrambi portatori sani della malattia e la probabilità di far nascere un bimbo talassemico, per loro, è del 25%. Per questo, ora, hanno deciso di affidarsi alla procreazione assistita.
 I rischi li conoscevano bene anche quando hanno concepito Chiara, ma lo specialista che seguiva la gravidanza della donna aveva detto ai coniugi che non ci sarebbero stati problemi e non sono stati sottoposti ai test necessari.
 E invece, purtroppo, i problemi sono emersi, in tutta la loro gravità, quando Chiara aveva tre mesi di vita: la piccola non mangiava più, non dormiva più, era molto pallida, aveva l’emoglobina molto bassa e il cuore che batteva fortissimo. Stava per morire e venne ricoverata d’urgenza all’ospedale Maggiore di Parma dove, tuttora, è seguita costantemente dagli specialisti del reparto di oncoematologia pediatrica, dove - insieme a lei - vengono curati tanti bambini che soffrono di leucemia e talassemia.
 Spietata la diagnosi. Da allora è iniziato un lungo calvario che, finora, non ha comunque impedito a Chiara di avere una vita normale, di frequentare la scuola materna del paese e di avere tanti amichetti. Ma, una volta ogni 20-25 giorni, la bambina deve sottoporsi a una trasfusione di sangue in ospedale e, tutte le notti, attraverso una pompa di infusione, i genitori la sottopongono a una terapia che dura 12 ore.
 La speranza di guarire, per chi soffre di talassemia, è legata a un trapianto di midollo osseo. Ma nessuna tra le persone consanguinee è compatibile con Chiara, a partire dai genitori per arrivare alla sorellina Lisa, nata tre anni dopo di lei.
 Ma, assicurano i genitori, quando hanno concepito la seconda figlia non avevano ancora pensato all’idea del trapianto. Raica e Fabrizio non nascondono però che, quando è nata Lisa, la loro speranza era che potesse essere compatibile con Chiara ma così, purtroppo, non è stato. Il cordone ombelicale della piccola, però, è stato conservato: anche quello, comunque, potrà essere utile a Chiara.
 Grande speranza i coniugi Pilurzi l’hanno poi riposta nel referendum di un anno fa ma il mancato raggiungimento del quorum l’ha subito spenta. Speravano di poter concepire il terzo figlio in Italia, evitando così onerose spese per le casse della famiglia (entrambi lavorano come operai in due ditte di Castelnovo Sotto), ma la legge lo vieta.
 Escluso a priori il trapianto di midollo osseo con una persona non consanguinea (Chiara non è nemmeno stata inserita nelle liste d’attesa), giudicato dai familiari troppo rischioso per la piccola - che rischierebbe la vita in caso di rigetto - e non volendo rinunciare a regalare alla figlia un futuro lontano dagli ospedali, a Raica e Fabrizio Pilurzi è rimasta la carta del terzo figlio, da concepire per forza all’estero. Il 2 giugno la coppia è andata alla clinica E-gea di Londra per una consulenza e per i prelievi del sangue. La prossima volta porteranno anche Chiara, che verrà sottoposta all’esame Hla. La madre verrà poi sottoposta a una stimolazione ormonale, in modo che produca un buon numero di ovociti, che verrà inseminato in vitro con gli spermatozoi del marito. Una volta ottenuti gli embrioni in provetta, gli stessi verranno selezionati: tre, fra quelli sani, verranno impiantati. Il rischio è che tutta questa operazione non porti alla nascita di nessun figlio o che questi non siano compatibili con Chiara. In caso contrario, il cordone ombelicale del neonato potrà essere utilizzato per tentare di guarire la bambina con il trapianto.

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«Andremo a Londra perché in Italia queste pratiche sono vietate Dopo l’inseminazione torneremo a casa»
La mamma: «Il cordone ombelicale seconda chance per la piccola Chiara»

Raica, la motivazione che l’ha spinta a concepire un terzo figlio in provetta è per aiutare Chiara?
 «Non è una medicina ma un figlio che voglio, so che è un essere umano. Non lo faccio solo per Chiara».
 Eppure avete già una seconda figlia, Lisa.
 «L’ho cercata. E’ nata sana ma non è compatibile con Chiara».
 Poteva scegliere la strada della donazione.
 «E’ pericoloso. Il trapianto lo fai una volta ma se non va bene non c’è più speranza».
 Cosa la spinge a questo passo, la fede in Dio?
 «Se Dio c’è, non può permettere di far soffrire queste creature. Tante volte ho pianto in ospedale per il bambino vicino di letto di mia figlia. Penso a Chiara da adulta come una persona indipendente, non legata a una macchina per le trasfusioni».
 In lei c’è coraggio o incoscienza?
 «Tanta paura. So a cosa posso andare incontro. Spero che vada tutto bene ma potrei ritrovarmi da capo. Con un terzo figlio sano ma non compatibile con Chiara. Ma ciò non mi impedisce di compiere questo passo. Ogni madre lo farebbe per salvare la propria figlia. Oggi non esiste un sessantenne talassemico, hanno solo 30, 35 anni».
 Perché non getta la spugna e accetta la realtà?
 «Quando Chiara mi guarda negli occhi voglio poterle dire: almeno ci ho provato. Non mi va che lei pensi che non ho voluto aiutarla. E’ un peso insopportabile sentirmi dire: quando iniziano a farle il buco a mia sorella? Sì, perché per lei le trasfusioni ogni venti giorni e l’applicazione della pompa di infusione appartengono alla normalità. Quando capirà, temo che avrà il rigetto per questa sua vita».
 E adesso come vive questa sua “normalità”?
 «Da quando aveva tre mesi la sua vita è scandita dagli appuntamenti in ospedale. E’ una bambina e quando arriva il momento brontola ma è una consuetudine che vorrei cancellare, toglierle questa dipendenza. Per noi lei non è diversa rispetto alle altre bambine della sua età».
 Quando ha capito che Chiara era malata?
 «A tre mesi le hanno diagnosticato la talassemia. Ce ne siamo accorti perché stava per morire. Non c’erano problemi evidenti ma a un certo punto non mangiava, non dormiva, era sempre più pallida. Aveva un soffio al cuore dovuto all’emoglobina molto bassa. La sera stessa l’abbiamo ricoverata a Parma. Era iniziato il suo calvario».
 Voi sapevate di essere, entrambi, portatori dell’anemia mediterranea ma allora perché avete concepito un figlio?
 «Ci avevano assicurato che era possibile. Ogni volta che raccontiamo la nostra storia mi sento accusata di essere stata incosciente, perché abbiamo voluto Chiara».
 Cosa dirà al terzo figlio?
 «Che lo amo come Chiara e Lisa».
 Perché Londra?
 «Perché questa clinica privata è specializzata in inseminazioni artificiali e selezione pre-impianto. Dopo la bocciatura del referendum, in Italia, non si può».
 Come ha vissuto quel referendum?
 «Sentivo la gente che diceva “non vado a votare perché amo la vita” e io gli rispondevo “ma che vita è quella di Chiara?”. Non mi sono collegata a movimenti ma a tutti quelli che conoscevo ho scongiurato di andare a votare».
 Le vostre famiglie sono al vostro fianco?
 «Coinvolge la vita delle nostre famiglie».
 Perché ha deciso di raccontare la sua storia?
 «Abbiamo sempre tenuto conto solo delle nostre forze. Pensavamo anche questa volta di farcela ma l’incidenza di questo percorso è elevato».
 Vi serviranno almeno ventimila euro?
 «Solo per l’inseminazione servono 11mila euro, poi c’è il soggiorno a Londra. Confidavo di fare questa inseminazione in Italia ma la legge 40 ce lo impedisce».
 Non vi siete rivolti al Comune o a centri sociali?
 «In noi c’è sempre stato un certo pudore e anche reticenza ad accettare soldi da estranei. Provavo un po’ di vergogna a dire “sì, ne abbiamo bisogno”. Non abbiamo mai chiesto niente a nessuno anche se alla Tecnogas di Gualtieri, dove lavora la madre di mio marito Fabrizio e alla Smeg, dove è impiegato suo fratello, c’è stata una mobilitazione spontanea. Vorrei ringraziarli di cuore, perché è stato un gesto che ci ha fatto sentire la loro vicinanza».
 Non si è mai sentita sola?
 «Tutti quelli che conoscono la mia storia mi sono stati vicini e mi hanno appoggiata».
 Ha già iniziato l’iter per l’inseminazione?
 «Il 2 giugno siamo andati a Londra per una prima consulenza e per i prelievi del sangue, per vedere se siamo sani. A giorni avremo un prossimo appuntamento e dovremo andare con Chiara, per un esame specifico che non è possibile svolgere in Italia, perché non ci sono gli strumenti idonei. Per fortuna a Londra abbiamo un medico italiano, Lisa Vampa, che ci fa da referente. Lei lavora per la ricerca in un’altra clinica».
 Cosa succederà dopo?
 «Il giorno dopo l’inseminazione, torno a casa. Poi andrò dalla mia ginecologa Orietta Bolondi, a Poviglio, per vedere se ha attecchito. Se tutto va bene a settembre dovrei essere incinta».
 E quando nascerà il terzo figlio cosa accadrà?
 «Il cordone ombelicale sarà messo in una sacca e congelato in attesa del trapianto. Sarà il sangue del cordone ombelicale a ridare la vita a Chiara».
 Avverrà subito?
 «Voglio prima crescere il mio terzo bimbo, non voglio che resti solo, perché quando Chiara farà il trapianto dovrà stare sei mesi in clinica e io sarò accanto a lei. Sarà come vederla rinascere».

  meditate  gente  meditate  . 

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