11.12.12

l'altro volto delle donne . la storia di Simona Non mostra curve mozzafiato, sono donne coraggiose

La prima  storia   è  quella  di una donna che rimasta vedova  ha  scelto  di continuare  a fare il mestiere     del marito  ovvero i pastore  
 foto Elisabetta Loi
idem precedente 

                                  
Non rinuncia al fard e al filo di mascara ma Simona Mighela, rimasta vedova troppo in fretta e con una bimba di un anno e mezzo da crescere, sa che essere donna non è solo seduzione e vanità. Il 
tailleur e i tacchi a spillo li ha relegati al passato. Faceva l'agente di commercio. Da quando è rimasta 
sola si è rimboccata le maniche e ha preso il mano l'azienda che il marito, stroncato da un infarto nel 2003, le ha lasciato. Ogni giorno, ai piedi del Gennargentu, anche tra il rigore e il gelo, accudisce le sue mucche.

 fonte  (  foto comprese  )  unione sarda  online  dicembre 2012



La  seconda  storia  invece  è  di una  giornalista  antimafia   che   come  Saviano le  minacce    dal clan camorristico  dei Casalesi  ma  differenza  di quest'ultimo lei non solo ne  ha  scritto come lui  ma  ha mostrato grande coraggio per aver reagito alle minacce del cognato del boss Nicola Panaro, numero tre della cosca dei casalesi di Casal di Principe, denunciandolo alla magistratura 

                                          
da www.senzamemoria.it/     Posted by mario on dic 10, 2012 in Uomini di Stato, Varie 

Non solo Saviano, la Storia di Marilena Natale giornalista.

Laura Eduati


C’è una foto che senza didascalia potrebbe semplicemente raffigurare una donna felice, sdraiata sulla poltrona reclinabile in un salottino Ikea. Quella, però, non è una stanza qualunque. È il covo di Michele Zagaria, superlatitante del clan dei Casalesi arrestato il 7 dicembre del 2011 a Casapesenna, uno dei tanti luoghi infelici della criminalità casertana. E la donna è una cronista di mafia con l’animo di ferro e la penna inflessibile, che dopo l’arresto è voluta entrare nel covo, voleva vedere gli oggetti del mafioso, il pouf, il tavolino. E infine quella poltrona comoda. Una sfida: ora mi ci siedo io.
Nonostante il savianesimo italiano, Marilena Natale non la conosce nessuno. O, meglio, le cronache nazionali non si sono mai occupate di questa giornalista minacciata dagli esponenti della criminalità organizzata e dai politici collusi, che poi spesso le due categorie si confondono. Scrive per la Gazzetta di Caserta, piccola testata mai citata nelle rassegne stampa, alla quale per rappresaglia molti imprenditori negano la pubblicità per poterla prosciugare economicamente, e magari chiudere. Eppure resiste. “Negli ultimi 30 anni siamo stati abbandonati dallo Stato. No, non intendo la politica. Qui non esiste destra né sinistra. Qui valgono le parole di Nicola Schiavone, il figlio di Sandokan, che in una intercettazione ambientale parlava delle nuove elezioni a Casal di Principe e diceva: “Lasciate che dicano quello che vogliono, tanto poi comandiamo noi”. Comandano loro. E Natale è diventata, nelle sue parole, “un intermediario tra la gente comune e la polizia”: la sua casella mail è ormai un ufficio denunce, una richiesta di aiuto, una buca delle lettere dove i cittadini scrivono quello che sanno, danno informazioni, sollecitano inchieste, lamentano soprusi e illegalità. Lei, 40 anni e due figli, vaglia gli elementi e poi scrive. E manda in malora interi consigli comunali. È accaduto anche nel 2010 quando Angelo Ferraro, parente di camorristi, venne nominato assessore ai beni confiscati a Casal di Principe. Un nuovo schiaffo alla legalità. E allora Natale, donna fumantina, aveva preso in mano carta e penna e aveva scritto una lettera a Giorgio Napolitano chiedendo come fosse possibile che nessuno si accorgesse di cosa stesse accadendo, ancora una volta, nel Casertano. Napolitano rispose, il neosindaco si dimise, e dopo qualche mese il consiglio comunale venne nuovamente sciolto per infiltrazioni mafiose.
Si capisce quanto i Casalesi abbiano voglia di sbarazzarsi di Marilena, e non è soltanto un’impressione: nelle inchieste della magistratura sono emersi spezzoni di conversazioni tra capibastone che stavano organizzando una agguato alla giornalista. “Una volta mi rivolse la parola il cognato di Nicola Panaro, un affiliato. Mi disse: ti dovrei ammazzare. E allora risposi: se mi vuoi ammazzare fai presto perché io ti denuncio. Non sapeva che stavo registrando, lo denunciai e fu condannato”. Ha rifiutato la scorta, Marilena, perché non vuole subire restrizioni nella sua professione. “Se vivessi circondata di agenti non potrei parlare con le persone e nessuno si fiderebbe di me. Dovrei comunicare alle forze dell’ordine i miei spostamenti, raramente mi ricordo di farlo”. Di questi pericoli e della professione di cronista in terra mafiosa, Natale ha parlato la scorsa settimana a Montecitorio in una conferenza dedicata alle giornaliste minacciate di morte. Accanto a lei sedevano la 22 enne Ester Castano, reporter di Magenta (Milano) che ha subito intimidazioni da parte del sindacoAlfredo Celeste, arrestato lo scorso 10 ottobre; Marilù Mastrogiovanni, direttrice del sito pugliese il tacco d’Italia, finita nel mirino della sacra corona unita per le sue inchieste; eLuisa Betty, giornalista de il manifesto specializzata in campagne e articoli contro la violenza sulle donne e per 
questo ha subito cyber stalking e ingiurie. Le loro storie, come quelle dei molti giornalisti che in Italia rimangono vittime di minacce, o peggio, sono tutte raccolte nel sito Ossigeno per l’informazione   [ più precisamente  in questo articolo  da  cui  è tratta la foto  a destra   ] . Marilena dice che vivere così, sempre sul filo, ormai è normale. Non ammette nemmeno di avere paura: “non sento timore, io realizzo che per il mio mestiere potrei finire male, ma allora penso a Don Peppino Diana che fu ammazzato in chiesa a Casal di Principe nel 1994, il suo sangue ha fatto nascere una coscienza civile molto forte. Se mi uccidessero, sai che casino verrebbe fuori?”. E allora viene facile pensare a Roberto Saviano, e appena ode il suo nome Marilena si rabbuia e lascia che io scriva sul taccuino soltanto questo:
“La camorra non si sconfigge scrivendo libri. Di cronisti come me e pieno, qui. Non sono l’unica e per favore ricordalo. A me non interessano gli scoop, non mi interessano i racconti. Io voglio stare sul territorio e registrare quello che accade giorno dopo giorno. Niente altro, nessuna gloria, solo il mio lavoro”. Il suo lavoro è inscindibile da quello delle forze dell’ordine, con le quali comunica costantemente. Non è possibile contare tutte le volte che pronuncia la parola “polizia”: “Dicevo prima dello Stato, ecco lo stato sono loro. Non c’è altro. Qui le piccole illegalità sono diventate grandi illegalità, la camorra si è fatta politica e molti hanno smesso di pagare persino l’acqua e l’assicurazione della macchina. Non vogliamo che il ministro dell’interno si ricordi soltanto di noi quando accadono cose plateali, come quella volta che Maroni scese perché a Castelvolturno erano stati ammazzati sei africani. Non s’era mica accorto che Setola stava ammazzando gente da settimane? E poi, se mi dici che gli africani si ribellarono e allora fu una cosa sensazionale ti posso dare ragione. Anche a Rosarno furono i braccianti neri a prendersela con la mafia e sai perché? Perché hanno più dignità”.

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