15.6.14

il tifo non è solo ultra ma è passione ed intendità Gracious Queen e Fratelli d’Italia il tifo transgenico di una famiglia e Vengono dalla periferia della capitale amazzonica, sprofondata tra miseria e affaristi a caccia di ragazzine di 15 anni. La scuola li ha premiati col biglietto

E grazie  a  storie  come queste    che   riesco ad  avere  il calcio e  lo sport  in generale   un rapporto  d'amore  - odio

la prima  è tratta da repubblica  del 14\6\2014    
 che  dimostra  come ho scritto nella tag : <> , ma  anche passione e  gioia  .
La  seconda  ,  sempre   dalla stessa  fonte   , ma  la versione online del 15\6\2014


La storia   :  Marito siciliano, moglie inglese, tre figli e una società  che cambia: così si può soffrire e gioire allo stesso tempo  Gracious Queen  e Fratelli d’Italia il tifo transgenico della mia famiglia

Francesco Merlo 

HO  tre  figli che stanotte canteranno entrambi gli inni e canteranno pure il pasticcio del tifo transgenico,Fratelli d’Italia save our gracious Queen, un inno geneticamente
modificato che loro stessi hanno composto nel 2012. E sarà subito festa, come accendere un falò in spiaggia a mezzanotte, che è l’ora dell’identità cangiante e della confusione, l’ora del trans-tifo che, come la felicità, muterà indirizzo in contin uazione, seguendo la doppia identità di favorito e di underdog. Tifare per entrambe
le squadre in campo significa infatti gioire con chi vince e allo stesso tempo soffrire con chi perde, e sentirsi orgogliosi sia del genio italiano di Pirlinho, che stanotte
farà cantare la palla dimostrando che le vie storte del cucchiaio sono più diritte della forchetta, sia della calma potenza della Royal Navy di Rooney e Sturridge che, con la maglietta sformata e le braghe a sbrendolo,
saranno l’intelligenza dei cannoni. Nell’ormai lontano 2004, quando allo stadio cantarono entrambi gli inni, ci fu un cretino - ah! l’intelligenza dei cretini - che allegramente li fotografò perché gli pareva d’avere scovato inquei bambini un prodigio da esibizione. Il più grande, che aveva allora dieci anni, appena se ne accorse si mise a piangere e dovetti portarlo via:  aveva incontrato lo stupore (la stupidità)  del nativismo. Fu la sua prima crisi di identità.
La partita, di tollerante rugby, si giocava al Flaminio, teatro e chiesa dell’identità collettiva romana. Il risultato fu il solito  disastro: 9 a 50. Nel rugby, l’Inghilterra è la sola squadra d’Europa che l’Italia non ha mai battuto. Ebbene il trans-tifo dei miei figli vorrebbe a tutti i costi conservare  l’inviolabilità e a tutti i costi provare la
gioia della prima volta. Vi sembra possibile? E forse succederà di nuovo che, straparlando  con la televisione come tutti i tifosi del mondo, agli inglesi diranno «e  dai, non fate gli italiani». Ci è infatti toccato di vedere anche Rooney e Sturridge,
Gerrard e Lampard accartocciarsi in difesa nel gioco lento del “primo non prenderle”.Fu invece contro la Germania che agli italiani in attacco dissero «forza, fate gli inglesi ». Contro la Germania infatti il loro tifo si moltiplica. Sarà pure vero che si sono rimescolate le antropologie e sono sottosopra l’etica e l’estetica dell’Occidente,ma «always against the Germans» perché il trans-tifo non è la bugia di “vinca il migliore” e neppure la famosa doppiezza (italiana e pirandelliana), il tenersi a portata di mano una via d’uscita per vincere comunque. E non è Jekyll e Hyde né la second life virtuale. Più appropriato è forse il Tarzan di Walt Disney, la nobiltà meticcia che nel film integra l’uomo col gorilla e nel tifo integra l’hooligan con l’ultrà: due
gorilla nello stesso corpo.
Nel 2012 per esempio, agli Europei, gli azzurri vinsero ai rigori una partita che era stata molto brutta e noiosa e i miei figli esplosero quando Pirlo infilzò Hart con una delle pedate più eleganti e intelligenti della storia del calcio. Ma poi sentirono  un clic e spostarono di nuovo la passione verso nord quando la traversa offese Ashley Young e premiò Buffon: «Bloody Hell!».
Quando poi Buffon parò il rigore di Cole mia figlia si alzò gridando in italiano «siiiii» e un attimo dopo si lasciò cadere mormorando in inglese «damn! dannazione ». La doppia identità è ricchezza, certo. E tuttavia, nella babele delle razze e delle culture, scoprirsi bianco e nero, musulmano e cattolico, locale e globale, maschio e femmina, vincitore e vinto è anche la condanna dell’uomo moderno, il suo labirinto; non sempre una via d’uscita, ma anche il suo contrario, l’impossibilità di ritrovare una strada di casa e tornare a se stesso. È davvero questo il futuro dell’umanità?

La prima strofa, dunque, dell’inno dei miei figli ha il ritmo italiano di “Fratelli d’Italia” - re re mi re si si do si (pianoforte) -ma comincia con God save our gracious Queen appena un po’ strascicato e prosegue così: l’Italia s’è desta / Send her victorious / Si è cinta la testa. A questo punto la musica cambia e diventa quella inglese - sol sol la fa# sol la: Siam pronti alla morte / Long live our noble Queen / Fratelli d’Italia  (la sol fa# sol) Send her victorious,happy and glorious. E passi per la marcia che si transustanzia nel maestoso non so
che, ma “i fratelli d’Italia che mandano vittoriosa felice e gloriosa la nostra graziosa  regina” non sarebbe tollerabile né qua né là. Eppure davvero il tifo è sempre più spesso meticcio in Europa, e chissà per chi
tifano i figli dei senegalesi che vivono a Bari o i figli dei turchi di Berlino. E i figli dei quattrocentomila italiani che vivono in Francia? «Sono un uomo di mondo» diceva Totò, «ho fatto tre anni di militare a Cuneo ». Ebbene, cosa sono diventati gli uomini di mondo d’Italia? Quante sono le coppie miste, quanti figli hanno e qual è la loro educazione sentimentale di tifosi ? Vivevamo a Parigi quando portai per la prima volta mio figlio allo stadio a vedere  Francia-Giappone, un’amichevole che finì 5-0. Era troppo piccolo per naufragare dolcemente nel mare della trans nazionalità che legava assieme le famiglie della mamma inglese e del papà italiano con il lavoro in Francia, mettendogli a disposizione ben tre territori nazionali. Ma era già abbastanza grande per il “così fan tutti” e dunque amare Zidane e cercare, con la mano sul cuore, l’argilla biblica di cui è
impastato nelle strofe della Marsigliese che aveva imparato a scuola. Ebbene oggi, contro la Francia il loro tifo raddoppia perché unisce la rabbia dei Vespri di suo padre alla hybris di Waterloo di sua madre.
E infatti già nel 2002 durante le partite del mondiale di Corea quel bambino di 8 anni a Parigi andava in giro tutto vestito di “nero Buffon” - maglia e pantaloncini,calze e scarpe - e si metteva al collo un crocifisso che baciava mentre guardava le partite: «Perché così fanno i giocatori italiani,e dunque Dio è italiano e ci fa vincere ». Da lì a poco fummo eliminati dalla Corea del sud e lui si liberò della sua prima crisi mistica, ma, per colpa di quel Moreno, fu subito contagiato da un’altra tossina italiana: l’arbitro cornuto. Solo più tardi
avrebbe capito la differenza con «the Referee's a wanker, l’arbitro è un segaiolo»: le corna sono la punizione italiana per il qualcun altro che sempre ci fa perdere,mentre il sesso solitario è il destino dell’inadeguato,dello sprovveduto.
Dunque stanotte in casa mia si gioca ilselfderby, il derby con se stessi. Quand’ero ragazzo il derby per me era Catania-Palermo,sicani contro siculi, bizantini contro arabi, Magna Grecia contro fenici, Roma contro Cartagine, Sant’Agata contro Santa Rosalia. E non c’era partita che non avesse sullo sfondo un vecchio rancore, un Romolo e Remo che ritornavano, Firenze contro Torino come disputa di città capitali, Milano contro Roma ça va sans dire, rivalità arcaiche e sostanziali che nelle partite di calcio diventano scontri di (in)civiltà. E invece di nuovo stanotte mi chiederò se davvero il tifo meticcio farà dei miei figli tre portatori di tolleranza per la società di domani, o invece dei nomadi del mondo sottosopra, randagi della civiltà itinerante come gli errabondi della Rete: il futuro antico teorizzato da Attali. Personalmente subisco il fascino del doppio patriottismo timido, la bellezza di essere due popoli, il sentirsi Stato come inglesi e anarchici come italiani, le due bandiere da amare, l’eleganza fragile di Pirlinho che è  il genio che gli inglesi riconoscono come
italiano e la forza intelligente di Rooney che è il genio che gli italiani riconoscono  come inglese. Stasera l’erba secca e bruciata  di Manaus si annuncia bagnata dalla  pioggia. Forza e coraggio: Fratelli d’Italia save our gracious Queen


Vengono dalla periferia della capitale amazzonica, sprofondata tra miseria e affaristi a caccia di ragazzine di 15 anni. La scuola li ha premiati col biglietto per Italia-Inghilterra. E abbiamo viaggiato con loro Vengono dalla periferia della capitale amazzonica, sprofondata tra miseria e affaristi a caccia di ragazzine di 15 anni. La scuola li ha premiati col biglietto


CONCITA DE GREGORIO

MANAUS - Hiandra non ha dormito stanotte. Alle quattro del mattino era ancora sveglia, alle sei già pronta con la sua medaglia più bella al collo, il vestito rosa a fiori, le infradito prestate dalla vicina perché le sue, un po' rotte, ha detto non le metto, con queste non sono elegante, vado scalza. Hiandra Cecilia ha sette anni. Vive a Nova Cidade, il quartiere a Nord di Manaus dove le strade sono di terra e non hanno nome. Laggiù, si dice indicando con la mano: dopo l'albero. La madre le ha spiegato: scalza allo stadio non ti fanno entrare, metti quelle di Jakeline.
Il biglietto coi colori del pappagallo Fifa lo ha tenuto sotto il cuscino, in quelle due ore di dormiveglia. "Lo metto qui, se no Weslem me lo ruba". Weslem, 13 anni, è suo fratello: gioca all'ala, dice subito. Lei a calcio no. Lei è campionessa amazzonica di jiu jitsu, ha un mazzo di medaglie così nella baracca senza bagno in cui abita. Quando l'altro giorno dalla scuola il maestro Nonato è venuto a bussare per dirle "hai vinto un biglietto per andare allo stadio a vedere Italia-Inghilterra", Hiandra, abbiamo estratto a sorte e sei uscita tu lei non ha detto una parola, ha sorriso con le gengive vuote di denti ed è andata a nasconderlo. Come il bambino della Fabbrica di cioccolato che trova il biglietto d'oro per andare da Willy Wonka, ma lei questo naturalmente non lo sa. Hiandra non ha la televisione e al cinema non c'è stata mai. Weslem, suo fratello, quando ha saputo che non ce n'era uno anche per lui ha pianto tutto il giorno poi ha detto va bene, almeno però portami un autografo di Balotelli.Il maestro Nonato ha 1.600 alunni alle elementari della scuola Dorval Varela, unico edificio di mattoni del quartiere: classi di 45 bambini ciascuna, tre turni di lezione al giorno. Dice che è una fortuna che Hiandra sia brava nello sport, che possa ogni tanto uscire dal quartiere e vedere il mondo fuori, il nuovo stadio persino, una partita del Mondiale addirittura, perché è una bambina molto sveglia e molto bella. "A 12 anni, da noi, una bambina così ha un solo destino, purtroppo. Dobbiamo vigilare molto perché se no vengono a prenderla e la portano in centro, a battere nelle case dietro ai bar. Le famiglie cosa possono fare? Non hanno nulla, vivono della Bolsa Familia, il sussidio dello stato. Quando i figli portano a casa i soldi non domandano. I maschi spacciano maconha, l'erba amazzonica che serve a curare la malaria ma se la fumi è una droga micidiale, costa quasi nulla. Le femmine si prostituiscono con i ricchi che arrivano dall'Europa due mesi all'anno per curare i loro interessi nella Zona Franca". Nella zona franca di Manaus non si pagano tasse, investire conviene.
Mentre Hiandra veglia sul suo biglietto sotto il cuscino stasera, al
Teatro Amazonas, l'ambasciata italiana offre un concerto dell'Ensemble Stradivari. Suonano musicisti arrivati dal San Carlo di Napoli e da Santa Cecilia. Musiche d'opera italiane per immigrati e tifosi in trasferta: un grande evento nel teatro di Fitzcarraldo, quello di Herzog, quello dove ai tempi d'oro del caucciù veniva a cantare Caruso. Una copia della Scala in mezzo alla foresta. Il pubblico locale indossa bermuda e ciabatte. Gli italiani giacche blu e scarpe da vela. Nel palco 19 sono seduti sei imprenditori cinquantenni. "Allora domattina, dopo le interviste con la Rai, vado io a prendere le ragazze. Ne ho trovate quattro di 16 anni. Ho detto: ma non ci arrestano se ci scoprono, tu 16 e io 51? Lei ha detto, no, non ho mai avuto problemi. Mai, ha detto. Quindi ha esperienza". Risate. Altro melomane: "Ma quanto vogliono, però". Il primo: "Ma niente, quello che hai in tasca, due soldi. Al limite le paghiamo con un tiro di coca". Altre risate. Puccini, dal palco. Nessun dorma)

Il maestro Raimondo Nonato racconta che quando sono arrivati i 18 biglietti per i bambini più poveri e per gli indigeni della città - dal ministero dell'Istruzione, 50 mila biglietti da distribuire gratis nelle scuole e nelle comunità indigene del Brasile - hanno fatto a scuola una riunione con tutti gli insegnanti ma non riuscivano a decidere. Hanno estratto a sorte, alla fine. Poi hanno fatto una settimana di lezione sull'Italia: dove si trova, chi sono i suoi eroi, i monumenti. Ecco, questi sono i disegni. Adriel, 7 anni, ha fatto il Colosseo e la torre di Pisa, un po' troppo diritta ma va bene, poi ha chiesto di portarlo a casa a farlo vedere alla nonna. Anche Adriel parte per l'Arena Amazonia, oggi. Li porta in macchina il maestro, lui e Hiandra. Anche Adriel non gioca al pallone, è un bambino timido e un pochino sovrappeso, devono essere i nervi dice la nonna, Jeda Coelho, perché mangiare non mangia niente. Oggi per esempio per festeggiare che si va alla partita ci sono castagne amazzoniche, per pranzo. Due castagne essiccate a testa. "Nutrono moltissimo, ciascuna vale come tre piatti di riso", dice la donna. Solo che finiscono in un boccone, al contrario di tre piatti di riso, e a tavola non ci si siede mai. La madre di Adriel non lo accompagna allo stadio, andrà lo zio. La mamma è devota della chiesa evangelica: dà alla chiesa tutto quel che guadagna salvo il minimo che le occorre per vivere. Avrebbe dovuto dare anche il biglietto, spiega Jeda, quindi non ha voluto nemmeno toccarlo.
(Dalle finestre delle case del centro, dai taxi le radio mandano in continuazione i sermoni dei predicatori evangelici. Parlano come in una televendita: oggi dobbiamo vendere almeno venti libri di preghiera, almeno venti, portate tutto ciò che avete, lasciate il vostro telefono se non avete reals, un libro di preghiere vale più di un telefono. Alle 11 in Avenida Curacao, venite tutti. Padre Gigi Muraro, gesuita, dice che gli evangelici sono cresciuti moltissimo negli ultimi anni: i missionari cattolici italiani in Amazzonia sono migliaia, laici e religiosi, ma gli evangelici "parlano una lingua nuova e promettono a chi non ha niente gloria in cielo. Noi proviamo a dar loro qualcosa in terra, e non basta mai").
Hiandra e Adriel in macchina verso lo stadio domandano se poi, dopo la partita, ci si può fermare a fare il bagno al fiume. Oggi meglio di no, dice il maestro. Oggi ci sono tutti i barconi ancorati al molo, sono arrivate le barche dei ricchi. Oggi è pericoloso.
(Dietro al mercato coloniale, al molo giallo, è ormeggiata Gaia. Bandiera tricolore, scafo azzurro. Una ventina di imprenditori italiani hanno risalito il fiume da Santarem, 4 giorni di viaggio, arrivati ieri sera in tempo per il concerto a teatro. Il barcone è sponsorizzato dalla Fiat, il marchio dpinto sui due lati. Ci sono solo i mozzi a bordo, adesso. Gli ospiti già tutti in tribuna all'Amazonia).
"Mi porti tu da Balotelli?", domanda Hiandra. Lo stadio è grande come un'astronave, lei minuscola nel suo vestito rosa. Stringe più forte la mano nella mano. Porta B, livello 3, blocco 315. Ecco, ci siamo. Fila I, mamma mia quanta gente. "Quanti sono, un milione?". No Hiandra quarantamila, un po' meno ma tanti. Posto 4, il tuo. Siediti qui. Seduta. Ma dopo mi porti tu da Balotelli? Guarda non lo so se si può andare perché sono in campo, vedi laggiù quei puntini azzurri, quelli sono gli italiani. Gli inglesi quelli bianchi. Ora giocano, poi dopo la partita vanno via in autobus, sarà difficile. "Ma dobbiamo andare per forza, l'ho promesso a mio fratello".
(Arnaldo Russo, il console onorario, è in tribuna d'onore. Suo padre faceva il calzolaio a Rotonda, in Basilicata. È arrivato a Manaus nel 1920, ha avuto 8 figli, lui è l'ultimo. Fa l'oculista, ha uno studio in città e va in barcone dagli indios, quando serve. Medico degli occhi, dice in quel che ricorda di italiano. È un uomo corpulento e gioviale. Dice che questa politica del governo di Dilma di "dare solo, dare e basta" gli sembra assistenziale, poi tutti dipendono dai sussidi e non si emancipano. Lui in questo momento siede accanto all'ambasciatore, emancipato).
Senti, Hiandra. Appena la partita finisce andiamo dal console e lo chiediamo a lui se dopo va da Balotelli per l'autografo. Poi magari te lo manda a casa, va bene? "Ma lui non lo sa dove abito, guarda quanta gente c'è come fa a trovarmi? Non ha nemmeno un nome la mia strada. Dobbiamo assolutamente andare noi". Cori, musica, boato. Lei ha in mente solo la promessa, però. Si tocca il nastro appeso al collo. "Mi è venuta un'idea: io gli regalo la mia medaglia d'oro di jiu jitsu, questa. Gliela do, anche se lo so che non è propri d'oro ma è bella, vedi?". Sorriso di felicità. "Io gli do questa e lui mi firma l'autografo per Weslen, che mi dispiace tanto che è rimasto a casa. Che ne dici, proviamo? Andiamo?"


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