Libertà è una maglietta rossa e una corsa sulla strada giusta La manifestazione Vivicittà anima la casa circondariale di Nuchis Trenta detenuti e altrettanti atleti protagonisti di una gara di 7 chilometri

  la  nuova     sardegna  28\5\2023

Cosa è giusto e cosa è sbagliato diventa puro esercizio retorico per passare il tempo. 


Le due accezioni, poi, è facile che si celino piuttosto dietro i due veri concetti: che qui sono legale e illegale. Guardano dall'alto come un monito, alti sopra le teste e sopra la muraglia grigia che ricopre il perimetro di un carcere. Legale o illegale e poi a cascata giusto o sbagliato, dentro o fuori. Ragionamenti da esordiente, da uno che per la prima volta valica l'ingresso — il cancello, la sala dove lasciare i propri effetti personali, il corridoio recintato, il portone sul cortile interno — di una casa di reclusione. Quella di Nuchis, intitolata all'appuntato Paolo Pittalis. Forse a volte le cose sono molto più semplici. E nella semplicità di una piccola gara di corsa ieri i detenuti del carcere ad alta sicurezza tempiese hanno abbracciato il mondo che sta fuori. Merito di una manifestazione, "Vivicittà/viviNuchis", che ha portato una trentina di corridori di società di atletica locali a gareggiare insieme a trenta reclusi. Mini maratona Si è tenuta lungo l'intero perimetro del cortile, negli spazi

delimitati dalle aree verdi. Otto giri, quasi sette chilometri corsi in una ventina di minuti (i più allenati, si intende). C'è chi si è messo d'impegno e ha dedicato giorni di allenamento per l'evento, e chi ha un po' corso e un po' camminato «perché tanto l'importante è partecipare». Chiaro. Per tutti, l'occasione per uscire da una certa monotonia che, va bene le lezioni, va bene le attività ricreative, comunque c'è. La casa di reclusione di Nuchis è un complesso composto da strutture a pochi piani, massimo tre, collegate da un sistema di corridoi e passaggi coperti. Colore grigio chiaro, asettico, i colori accesi vengono dai panni stesi alle finestre o dalle tende improvvisate con asciugamani e lenzuola, intrecciate alle sbarre. Poi spuntano le mani, dalle sbarre, e le facce strette tenute vicine per starci tutti e fare la parte dei tifosi sugli spalti. Un po' a incitare i compagni che corrono attorno e un po' a prenderli in giro. «Si suda?», sì, si suda tanto. Tutti in maglietta rossa con i loghi dell'iniziativa e senza distinzione tra atleti venuti da fuori e da dentro, e professoresse. Dentro e fuori All'interno del carcere c'è un plesso del liceo artistico De André. Maria Rosa Carboni, prof di Scienze motorie, insegna qui da nove anni ed è l'esperta del gruppo. Marialuisa Columbano e Elisa Sias sono quasi agli esordi, la prima prof di matematica e fisica, l'altra di inglese. «Sappiamo di rappresentare per loro una boccata d'ossigeno. Ed esserlo è una cosa bellissima, ma poi quando torni a casa e ci pensi soffri», dicono. Per carità niente discorsi troppo profondi, sono molto più le risate, le battute, le frecciatine. Ogni corridore che si affianca ricorda la data della prossima verifica e assicura che sta studiando. Anzi, «oggi era meglio stare sui libri che correre», con l'affanno. «A dire il vero sono i controlli agli ingressi a ricordarci l'eccezionalità di dove siamo, perché una volta in aula si fa lezione e ci si confronta sullo stesso piano — così Marialuisa ed Elisa —. La curiosità c'è, ma abbiamo deciso di non andare a cercare i loro nomi su internet. Per noi, contano le persone che abbiamo davanti». Chi sono Gli accenti sono tutti meridionali. Campania, Puglia, Calabria, Sicilia. Nella casa di reclusione di Nuchis ci sono 173 detenuti as3, codice che identifica chi è punito per reati legati ad associazioni di stampo mafioso. Fisionomia lombrosiana ma volti sorridenti, voglia di raccontarsi. E semplicemente parlare. Di tutto, del più e del meno, di ricette e degli ultimi studi. «All'esame partirò da Amore e Psiche di Canova, poi lo collego col neoclassicismo e in letteratura Foscolo». Così Gaetano, che alza gli occhi al cielo e cerca di ricordare i particolari biografici dell'autore di "A Zacinto" («che è l'odierna Zante, Foscolo credeva in Napoleone ma quando cedette Venezia agli austriaci vide cadere il suo mito»). Lui è recluso da dieci anni ed è al giro di boa della sua condanna. La settimana prossima prenderà il secondo diploma. «Oggi ci sentiamo abbracciati affettuosamente dalla società esterna e ci sentiamo integrati», dice un piccolo gruppo, con la timidezza ma anche il divertimento di parlare di fronte a un giornalista. Non esistono persone con etichette: questo lo dicono facendo però spallucce perché poi le etichette ci sono eccome. Dentro o fuori, giusto o sbagliato. Legale o illegale. Ma tutto è annullato con semplicità: quella di una chiacchierata scambiata in una giornata di sole, a sudare con altre persone con la stessa maglia rossa addosso. A respirare amicizia e libertà

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