25.5.24

DIARIO BORDO N 52 ANNO II Si cresce solo insieme La risposta più bella alla proposta di classi separate ., . La divulgatrice tv Barbara Gallavotti contesta chi, come Vannacci, scambia una prevalenza statistica con un ordine naturale ., perchè studiare la preistoria dalle elementari .,

 fonti   degli articoli    mariocalabresi.it    e  oggi settimanale  23 May 2024


Una  delle  risposte più belle alla proposta di classi separate per chi è capace e per chi fa fatica viene da un piccolo libro scritto da un’insegnante di sostegno. Che racconta quanto l’esperienza della diversità arricchisca tutti (anche i professori) e che ha un titolo che dovrebbe essere un manifesto: la scuola è un posto che ti aspetta.
«Lavoro come insegnante di sostegno dal 1998, in questi anni ho seguito una bambina tetraplegica, una bambina sorda, un bambino autistico, un ipovedente, un bambino iperattivo, bambini con disturbi del linguaggio, con ritardi mentali, psicosi, disturbi affettivi relazionali gravi provocati da violenze o da pesanti situazioni familiari. E ogni volta che mi siedo accanto a uno di loro lo considero un dono».

                            Emilia Gibelli ritratta nell’illustrazione di Monia Donati


Da un anno, in cima a una delle pile di libri che abitano la mia scrivania, c’è un piccolo volume con la copertina verde e un titolo gentile: “La scuola è qualcuno che ti aspetta”. Me lo ha regalato l’insegnante di sostegno di una scuola elementare torinese che lo ha scritto, spiegandomi che è il diario “di una grande avventura umana e professionale” accanto a un bambino autistico.
Quando sono scoppiate le polemiche per la proposta del generale Vannacci di dividere gli studenti in classi separate sulla base della capacità, ho capito che in quel libretto avrei trovato una risposta. Appena ho finito di leggerlo ho chiamato l’autrice, Emilia Gibelli, per farmi raccontare da lei quanta ricchezza c’è nelle classi in cui qualcuno ha bisogno dell'insegnante di sostegno: «Ti obbliga a riconoscere che
tutto è un dono, perché nessuno sceglie capacità e difficoltà. La nostra intelligenza e le possibilità che abbiamo ci sono state date e non lo dobbiamo dare per scontate. E deve farci comprendere che ogni persona ha un valore perché c’è, perché esiste, non per i risultati che ottiene».
L’Italia è stato il primo paese al mondo che ha deciso, nel 1977, l’abolizione delle classi speciali con la legge sull’inclusione scolastica: «Non possiamo tornare indietro, è una conquista di cui dobbiamo essere orgogliosi. Ai miei scolari una volta ho detto: “Lo Stato ha talmente stima della persona che spende molti soldi affinché anche chi è più debole e in difficoltà possa fare un cammino e sviluppare le sue possibilità”. La trovo una cosa commovente che ci deve rasserenare tutti, perché tutti abbiamo qualche difficoltà. E dobbiamo sottolineare che c’è spazio anche per chi è imperfetto, non solo per chi è più efficiente».
Secondo Emilia, chi ha condiviso la classe con compagni con disabilità ha uno sguardo diverso sugli altri e sul mondo, ha più empatia e capacità di accogliere.
Il libro di Emilia Gibelli, “La scuola è qualcuno che ti aspetta”, edito da Bookabook narrativa. Si può comprare online o ordinare nelle librerie
Emilia mi racconta che questo lavoro le è sempre piaciuto, anzi forse fa parte del suo DNA: «Quando ero in seconda media nella mia classe è arrivata una nuova compagna che non parlava. Mi sono seduta accanto a lei e per sei mesi le ho ripetuto tutte le cose che dicevano gli insegnanti, soprattutto le lezioni di matematica. Tutti pensavano che fosse inutile, finché un giorno lei si è girata e mi ha detto: “Grazie, Emilia”».
Col passare del tempo la motivazione non è venuta meno e la stanchezza non ha preso il sopravvento: «Anzi mi sono sempre più appassionata: scopro sempre mondi nuovi e mi arricchisco. Ogni bambino che mi viene affidato mi apre un orizzonte e la scuola diventa un percorso di vita».
L’ultimo scolaro che Emilia ha seguito per un intero ciclo, fino allo scorso anno, si chiama Teo, è un bimbo tetraplegico con difficoltà nell’apprendimento. «La diagnosi diceva che avrebbe fatto molta fatica a imparare a leggere e a scrivere, invece a metà della prima già leggeva le prime parole e in quinta mi ha chiesto di insegnargli a scrivere le mail. La prima l’ha mandata alla preside, che si chiama Lorenza Patriarca e ha una sensibilità speciale per i progetti di inclusione, poi ha cominciato a mandare una mail a settimana al sindaco di Torino denunciando le barriere architettoniche che incontrava sulla sua strada. Il suo testo cominciava sempre così: “Come fa un bambino come me…”. Gli ha risposto l’assessore alle Politiche Sociali, Jacopo Rosatelli, che lo ha invitato ad un incontro in Comune. Prima di andare Teo ha lavorato molto e ha stilato un lungo elenco di barriere architettoniche. Era preparatissimo, molto elegante ed era felice di aver trovato ascolto. È passato un anno, ma quando guardo la foto di quell’incontro vedo quante possibilità possono sbocciare: non doveva saper scrivere e invece è riuscito a farsi ascoltare dal sindaco».

Teo con suo padre insieme all'assessore alla Cura della Città, Sevizi anagrafici e Protezione Civile di Torino Francesco Tresso e all’assessore alle Politiche Sociali del Comune di Torino Jacopo Rosatelli


Il libro invece è dedicato alla storia di Alessio: «Non avevo mai seguito un bambino con autismo, era la prima volta ed ero molto preoccupata». Durante l’estate, prima dell’inizio della scuola, Emilia va in biblioteca e si procura tutti i testi che trova sull’autismo, scritti da genitori, insegnanti e medici. «Sono partita per il mare con una borsa piena di libri, articoli di riviste e fogli stampati per capire cosa avrei dovuto fare».
È stato il percorso più difficile e sfidante della sua carriera, tanto che, alla fine, si è convinta a raccontarlo, nella speranza che possa essere di aiuto per quei bambini con gravi disabilità dello sviluppo, che sembrano avere poche chances di imparare: «Ora che sono giunta al termine della scuola primaria – scrive - e che Ale è sbocciato nella sua bella umanità ed è riuscito anche a imparare molte cose, tra cui leggere e scrivere, usare il computer e iniziare relazionarsi con i compagni con le altre persone, sono certa della bontà dell’esperienza vissuta».
Un capitolo del libro è dedicato al nuoto, perché Emilia convinta che l’acqua potesse essere un elemento contenitivo per Alessio, lo aveva iscritto a un corso in piscina: «All’inizio correva intorno e tirava le cose in acqua. L’istruttore era sconfortato e una mattina mi ha chiesto: “Perché lo ha portato?”. “Perché impari a nuotare” gli ho risposto. Entrava in acqua solo se aveva salvagente, braccioli e tavoletta e anch’io dovevo essere in vasca con l’istruttore. Dopo due anni di corso ha imparato a nuotare benissimo e ad andare sott’acqua».
A quel punto Emilia e le altre insegnanti hanno deciso di coinvolgere nel corso tutta la classe ed è stata un’esperienza felice per tutti. «L'aiuto e la collaborazione dei compagni è indispensabile: sono loro che possono veramente insegnare e motivare la relazione e lo scambio reciproco. L'alunno con disabilità ha bisogno, come tutti, di amici, di divertirsi, di giocare anche se non sa come fare. I compagni di Alessio gli hanno insegnato a giocare a calcio, a nascondino e altri giochi, con pazienza e tenacia. E tutto questo fa miracoli».
Alessio, lo scorso anno, ha superato la maturità in un istituto tecnico del turismo.


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SI FA PRESTO A DIRE NORMALE
«In biologia, la regola è la diversità». La divulgatrice tv Barbara Gallavotti contesta chi, come Vannacci, scambia una prevalenza statistica con un ordine naturale. Liz Taylor, ad esempio...
Barbara Gallavotti divulgatrice scientifica
Mentre il generale Roberto Vannacci continua a far scalpore con le sue dichiarazioni su ciò che secondo lui è «normale» o «naturale», dalla scienza che studia la vita, la biologia, ci arriva un altro punto di vista. Quando il candidato per la Lega alle prossime Europee sostiene che le persone con caratteristiche diverse da quelle della maggioranza non rientrano nella normalità «gioca un po’ con le parole»
, dice Barbara Gallavotti  56 anni, riprendendo il filo di una spiegazione iniziata a DiMartedì (La 7): «Vannacci parla di normalità, ma in realtà intende la media. E fare la media è un concetto statistico, non biologico. Elizabeth Taylor non arrivava al metro e sessanta e aveva le iridi pervinca. Di certo non rientrava nella media degli americani. Lei direbbe che era anormale?». Gallavotti è laureata in genetica e biologia molecolare, è una storica autrice di Ulisse e Superquark, ha condotto Quinta dimensione (Rai 3) e sta scrivendo un libro dove cerca di tracciare un confronto tra l’Intelligenza artificiale e il cervello umano. Con un padre fisico della matematica e un marito fisico delle particelle, la scienza è la spina dorsale della sua vita.

Dottoressa, che cos’è “normale” in biologia?

«Normale è che gli esseri umani siano diversi gli uni dagli altri».

Oltre a dire che non è normale essere attratti da persone del proprio sesso, Vannacci sostiene che sia solo il frutto di un’influenza culturale, perché il gene dell’omosessualità non è mai stato trovato.

«Non è mai stato trovato il gene di un sacco di cose, neanche quello dell’intelligenza o della creatività. E per fortuna, perché qualcuno potrebbe scoprire di non averli. Le potenzialità di ognuno non hanno a che fare solo con i geni, ma anche con una miriade di altri fattori. Innamorarsi è qualcosa che ha una componente profondissima nell’individuo e abbastanza invincibile, se no non esisterebbero le grandi tragedie d’amore. E se abbiamo delle persone che sono disposte a farsi uccidere pur di vivere il loro amore per qualcuno dello stesso sesso, è evidente che non è qualcosa di indirizzabile. E poi perché dovremmo farlo? Io correggo qualcosa che danneggia la qualità della mia vita. Ma perché innamorarmi di qualcuno del mio stesso sesso la danneggerebbe? Accade solo se mi ritrovo a subire le ritorsioni di persone alle quali dà fastidio. Ma allora, forse, sono quelle persone che bisogna correggere».

Il Papa ha convocato gli scienziati per un incontro sulla fraternità. È un principio cardine della nostra civiltà con la libertà e l’uguaglianza. Sono espressioni solo umane, o in natura c’è qualcosa che assomiglia a questi principi?«Purtroppo siamo un po’ costretti a riportare i nostri comportamenti a quelli della natura per replicare a chi lancia accuse di comportamenti innaturali. Ma Innamorarsi anche di persone dello stesso sesso è qualcosa che ha una componente profondissima e abbastanza invincibile   noi umani abbiamo un modo di comportarci caratteristico, abbiamo costruito dei mezzi che ci consentono di vivere e progredire anche staccandoci dalla necessità di favorire i consanguinei e tramandare il Dna. Ad esempio, tramandiamo le conoscenze e impariamo gli uni dagli altri più di ogni altra specie. È la chiave del nostro successo, ed è possibile grazie al fatto che riusciamo a costruire delle grosse comunità con un alto livello di interscambio. Forse potremmo dire che i principi di libertà, uguaglianza e fraternità ci aiutano a non scannarci a vicenda».

Ha citato Piero Angela come uno dei suoi maestri. «Quando fingeva di volere offendermi, diceva: “Ricordati che tu sei un sottoprodotto del petrolio”. La tesi era che se non ci fosse stata la produzione di energia che ha reso possibile l’industrializzazione, e il conseguente stile di vita, non ci si sarebbe potuti permettere di mandare le donne a scuola. Aveva un grande senso dell’umorismo e dell’autoironia. La prima volta che lo incontrai, al colloquio per Ulisse, mi chiese se suonassi qualche strumento. Aveva l’idea che le persone che si dedicano a studiare qualcosa che non ha un’applicazione pratica siano poi quelle che non lavorano solo per interesse».

Lei che cosa sogna? Magari di trasferirsi su Marte con un razzo di Elon Musk?

«Proprio no. Una volta intervistai uno degli astronauti dell’Apollo 11, io gli chiedevo della Luna e lui non faceva che parlarmi di quanto fosse bella la Terra. Sono d’accordo. Per dirla con Piero Angela, io sogno solo di fare la mia parte».


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