Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
21.11.24
qualche giorno fa è stato approvato il ddl che dichiara la GPA «reato universale». Ora sì che eviteremo sfruttamento e mercimonio...
La mia posizione sulla GPA è nota ab illo tempore, mi ha provocato già diverse discussioni, anzi, no, insulti, accuse (di non essere davvero una femminista, per esempio, da chi, evidentemente, pensa di detenere il copyright, e di poter distribuire patenti, come una sorta di motorizzazione per femminismi), e persino condanne ed epurazioni social, con un certo invasamento e senza nemmeno possibilità d'appello; anche per questo, non ne parlo da molto tempo.
Pure con l'avvento dell'abominevole disegno di legge che parla di «reato universale» del governo Meloni, ne ho parlato poco
E, forse, farei bene a continuare così.
Ma, invece, oggi no: oggi ribadisco di nuovo quello che già dissi precedentemente su queste pagine che, quando si parla della GPA e la si vuole per forza definire "utero in affitto", non volendo capire, o facendo finta di non sapere, che è utero in affitto quando c'è mercificazione, sopraffazione e ricatto sociali, di classe, ma non è sempre così, perché ci sono casi nei quali, è, appunto, una scelta libera, e, quindi, è giusto definirla "gestazione per altri, altre, altrə", ed è giusto, ma, soprattutto, sarebbe utile, che è ciò che più conta, che venga realmente conosciuta e compresa, e regolamentata, in modo da rendere la sua attuazione etica, il più etica possibile, e non impedirla; anche perché, se non accade questo, non è che non si farà più, continuerà a farsi nel modo meno etico possibile, e la mercificazione e lo sfruttamento e il ricatto sociale nei confronti di una donna saranno solo resi più semplici; regolamentare è l'unico modo per controllare e per limitare gli abusi, normare e legittimare, e non impedire generalmente in base a discorsi pretestuosi, arroganti, miopi, di gente che non vuole ascoltare davvero l'altra, l'altrə, l'altro, e, spesso, pure moralistici. È solo regolamentandola, ponendo criteri e limiti chiari e definiti, tracciando delle linee cristalline, che puoi tenere sotto controllo e avere reale contezza di qualcosa. È un po' come per l'aborto (non sto dicendo che i due fenomeni sono sovrapponibili, né identici, ma solo che questo elemento è il medesimo): non è che quando non c'era una legge che lo legittimava e lo regolamentava, non avvenisse (perché se una persona ne ha bisogno, sente di doverlo fare, vuole farlo, lo fa comunque, è questo il punto, questo non si può impedire): avveniva comunque, ma clandestinamente, su un tavolo e con grucce non sterilizzati, avendo molto spesso, come conseguenza, la morte delle donne che vi ricorrevano.
Comprendere, legittimare, legalizzare e regolamentare un fenomeno serve sempre, soprattutto, per avere la possibilità di tenere sotto controllo qualcosa che già e comunque accade, e senza norme e legittimazione nella sua forma peggiore e/o più dannosa, pericolosa, per tentare di evitare il più possibile le forme di abuso, per limitare i danni.
E aggiungo che i femminismi, in particolare il transfemminismo intersezionale, per meritare davvero di essere considerati tali, per avere realmente una ragion d'essere, per avere un'utilità e sperare veramente di essere agenti di cambiamento, di rivoluzione, devono rifuggire qualunque semplificazione, ogni manicheismo, l'approccio moralista, giudicante, normativo ed escludente, e i giudizi e i pre-giudizi facili, la negazione e/o il rifiuto aprioristico di ciò che esiste attorno solo perché non ha che fare direttamente con noi e fatichiamo a comprenderlo, le banalizzazioni, in favore, invece, della complessità, dell'ascolto, della capacità di comprensione, dell'inclusione, della varietà di istanze, di proposte, di vissuti, dell'apertura mentale, della propensione alla conoscenza effettiva e profonda di qualcosa o qualcuno prima di decidere di assumere un posizione radicale e di esprimerci su quel qualcosa o qualcuno, che ci permetta di escludere con ragionevole sicurezza di essere realmente nelle condizioni di farlo, e della propensione all'accettazione delle differenze e prima ancora del fatto che queste esistano, che è bello, giusto, sano che sia così, e che non si può e non si deve pretendere che ciò che è adatto a/libera/fa star bene noi, sia necessariamente rappresentato dalle stesse cose che fanno per/liberano/fanno star bene altre donne, e, più in generale, altre persone.
E da transfemminista intersezionale, e da anticapitalista convinta e radicale, mi permetto di ricordare che il problema è sempre il capitalismo, è sempre che ci siano ricchi sempre più ricchi, che, in una società come questa, possono fare ciò che vogliono, e poveri, povere, poverə sempre più poveri, povere, poverə, che, invece, sin troppo spesso, quasi sempre, si ritrovano a non avere reale possibilità di scelta, e a subire quelle altrui.
Per cui, è su questo che, se davvero si volesse fare qualcosa per evitare lo sfruttamento e gli abusi dei primi ai danni deə secondə, le politiche dovrebbero puntare, e legiferare. Ed è su questo che le sedicenti femministe, specie se anche sedicenti intersezionali e anticapitaliste, dovrebbero far sentire la loro voce.
E non sulla criminalizzazione della GPA in sé e per sé, in quanto tale, con tanto di plauso per l'«invito» alla delazione da parte dei medici alle istituzioni.
Perché, se «il corpo è mio e decido io», posso decidere di non fare figli ma anche di portare avanti una gravidanza per un'altra donna — amica, sorella, cognata, collega, compagna di lotte, pure semplice buona conoscente —, o altra persona, a me più o meno cara, che non può (ricordate, per dire, Phoebe che, nella serie tv Friends, negli anni '90, sceglieva di portare avanti una gravidanza per il fratello e la cognata ? )
E, in questo, non c'è alcuna mercificazione, né sfruttamento, c'è solo libertà di scelta (condivisibile o meno, ma tant'è; e, se non condividi, semplicemente, non lo fai, esattamente come per l'interruzione di gravidanza, o per il sex work, ma non ti permetti di arrogarti il diritto, che non hai, di dire a un'altra donna cosa deve fare o non fare ).
La mercificazione e lo sfruttamento sono possibili solo laddove c'è un divario di risorse e di mezzi, laddove vige il capitalismo, laddove tutto ruota intorno al profitto dei soliti pochi e alla subordinazione di tutte le altre, tuttə lə altrə, tutti gli altri.
Allora, se volete davvero sconfiggere mercificazioni, sfruttamento, abusi dovuti a questo, oltre, chiaramente, nella fattispecie del discorso specifico, a rendere più semplici, fattibili, meno assurdamente burocratizzate e costose le adozioni, è di anticapitalismo che dovete parlare. E, guarda caso, io, a molte e molti di voi, che, ora, sento ergersi ridicolmente a paladini e difensori «delle donne», di questo non ho mai sentito parlare.
Abbiate il coraggio di mettere al centro del discorso politico la lotta di classe e la lotta alle ingiustizie sociali. Il sovvertimento della società capitalistica. E pure l'anticolonialismo, l'eterno sfruttamento di certi Paesi e di chi li abita (guarda caso sempre occidentali) nei confronti di altri e di chi qui è nato, nata, natə e vive (sempre gli stessi, sempre quelli).
Altrimenti, è solo fuffa ipocrita, liberticida, reazionaria, moralista, autoritarista. Altro che femminismo.
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