24.6.08

Nobel per la Pace a INGRID BETANCOURT








Nobel per la Pace


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PASSAPAROLA




«Chi vive “in trincea” da una vita, può comprendere meglio di chiunque altro il sacrificio di una donna di pace come è Ingrid Betancourt. Da donna, da israeliana che crede nella forza del dialogo, aderisco con entusiasmo all’iniziativa lanciata da l’Unità per l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Ingrid Betancourt». A farlo è Yael Dayan, scrittrice, più volte parlamentare laburista, paladina dei diritti delle donne israeliane, figlia dell’eroe della Guerra dei Sei Giorni, il generale Moshe Dayan.



 Un Nobel per la Pace a Ingrid Betancourt visto da Israele.


«Ingrid Betancourt è una donna che non si è chiesta mai se le cose in cui credeva incontravano il consenso delle élite al potere in Colombia o se potevano essere gradite dai narcoguerriglieri. Ingrid non ha sposato lo stato di cose esistenti nel suo Paese magari facendo valere la sua posizione sociale. È andata controcorrente, come spesso controcorrente sono andati e continuano ad andare qui nel mio Paese, Israele, coloro che si oppongono alla logica del più forte, che rifiutano di piegarsi al ricatto di chi crede possibile raggiungere la pace attraverso l’annientamento del nemico. Per questo io come tanti altri in Israele saremmo felici se il Nobel per la Pace fosse assegnato a Ingrid Betancourt».


 


Ingrid Betancourt, e come lei Aung San Suu Kyi: le donne assurgono a simbolo di grandi battaglie di libertà.


«È un fattore di speranza, perché un mondo nuovo, con meno oppressione e ingiustizia, non può che essere coniugato al femminile. Le donne sono portate a costruire laddove gli uomini alimentano i loro impulsi distruttivi; le donne sanno cosa significhi dare alla vita un essere umano e per questo, io credo, hanno più a conto la vita umana. Le donne combattono ma difficilmente odiano. E sanno trasformare il loro dolore in energia attiva. Lo vedo qui in Israele: penso alle associazioni di donne che hanno perso i loro figli nella guerra in Libano o in attentati terroristici: ho conosciuto molte di loro, ho scritto di loro, e ciò che più mi ha colpito è stata la loro capacità di trasformare una indicibile sofferenza, un dolore immenso, quale è la perdita di un figlio, in un’azione costruttiva, in un fare positivo. Ecco: il dolore che si fa energia di cambiamento. Questa considerazione mi riporta a Ingrid Betancourt, alle lettere da lei scritte dalla sua prigionia».


 


Cosa raccontano quelle lettere?


«Raccontano di una donna stremata nel fisico ma non piegata nel morale; parlano di una donna lucida, consapevole, che consegna alla scrittura non solo la sua tenace volontà di resistere ma anche la sua visione del mondo, la convinzione di essersi battuta per una causa giusta. Ingrid non fa abiure, non implora pietà. La prigionia non l’ha ridotta a schiava. I suoi carcerieri non sono riusciti a imprigionare la sua mente. Sì, Ingrid è nel suo essere più profondo ancora una donna libera».


 


Visto dalla comunità internazionale, che valenza politica potrebbe avere il Nobel alla Betancourt?


«Significherebbe assumere la liberazione di Ingrid come impegno esplicito della comunità internazionale, come un fatto politico, per l’appunto, e non solo come un gesto umanitario».


 


Lei ha parlato del coraggio delle donne israeliane. E quelle palestinesi?


«So di tante madri palestinesi che hanno alzato la loro voce per dire “no” all’uso dei propri figli come “shahid”, terroristi suicidi, ribellandosi così ad una cultura, oltre che ad una pratica, di morte. Conosco giovani donne palestinesi colte, sensibili, impegnate nel dialogo, che anche nell’inferno dei campi profughi, anche nei giorni più duri dello scontro tra l’esercito israeliano e le fazioni dell’Intifada, hanno continuato a costruire il futuro, ad esempio insegnando ai bambini, o mandando avanti con grande dignità la famiglia. Queste donne che non si rassegnano al peggio rappresentano una ricchezza della società palestinese e una speranza di pace per Israele».


 


Di pacificazione parla e per la pacificazione si è battuta Ingrid Betancourt.


«Sento Ingrid vicina anche per l’idea di pace che ha ispirato la sua azione. Quella di Ingrid non è una pace generica, utopica. Ingrid coniuga pace con giustizia sociale, pace con democrazia, pace con rispetto dei diritti umani e civili, pace con lotta alla corruzione e alla falsa rivoluzione imposta dai narcoguerriglieri. È una pace impegnativa, scomoda, quella che Ingrid propugna. Ed è per questo che è sempre stata invisa ai corrotti del suo Paese e alla falsa alternativa di chi con Ingrid tiene in ostaggio un intero popolo».


 


Una speranza?


«Di poter festeggiare il Nobel con Ingrid libera, e magari farlo qui, in Israele, per raccontare che in questo mondo a tinte fosche si possono vivere e raccontare anche storie a lieto fine».


 


Umberto De Giovannangeli da lUnità del 23 giugno 2008


3 commenti:

ZuZuli ha detto...

Io l'ammiro tantissimo!

dannytusc ha detto...

Domani lo metto sul mio blog, dove della Betancourt avevo già parlato.

Lucycy ha detto...

posto anch'io...grazie

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