Il più grande scandalo della
convivenza civile risiede nella parola "tolleranza". L'etimologia di
tale vocabolo affonda le sue radici nella lingua latina, e mi riferisco al
termine tollere che significa proprio sollevare, sopportare. Questa definizione
ha riempito per lungo tempo i libri di illustri pensatori e scrittori.
Dimentichiamo gli sforzi giustamente intrapresi da Locke, Bayle e Voltaire
perché noi contemporanei abbiamo tradito
(e forse superato) le loro aspettative. All'inizio si voleva indicare un'integrazione
pacifica tra credenze e stili di vita differenti, ma con il trascorrere del
tempo il significato si è colorato di tinte fortemente razziste. Non esiste
parola peggiore di tolleranza. Io non voglio essere sopportato ma rispettato e
accettato. Non voglio nessuna concessione ad esistere. Io non voglio sopportare
le persone che non la pensano come me, ma ascoltarle. Io voglio condividere,
dialogare, comprendere, meditare, accogliere le sfaccettature dell'umano e non
tollerarle e di conseguenza discriminarle fingendo di sopportarle. Il concetto
stesso di tolleranza deve essere rivisto e rivalutato. In questo mondo c'è
spazio per tutti e non capisco perché selezionare chi accogliere e chi, invece,
sopportare e dunque respingere. Diceva Martin Luther King Jr: “Abbiamo imparato
a volare come gli uccelli, a nuotare come i pesci, ma non abbiamo ancora
imparato la semplice arte di vivere insieme come fratelli”. Infatti non
conosciamo il valore della convivenza. Non siamo in grado di convivere
pacificamente con i nostri simili. L'arte del dialogo è il primo tassello per
imparare quest'arte della convivenza. Dobbiamo smetterla di essere homo homini
lupus ed intraprendere uno sforzo maggiore per la comprensione individuale. Il
Dalai Lama sostiene che: "Siamo tutti esseri umani e, da questo punto di
vista, siamo uguali. Noi tutti vogliamo la felicità e non vogliamo soffrire. Se
consideriamo questo fatto, troveremo che non ci sono differenze tra persone di
diversa fede, razza, colore, cultura. Tutti noi abbiamo questo comune senso di
felicità". Dovremmo appigliarci proprio a questo desiderio presente in
tutti noi. Aneliamo alla felicità e desideriamo la serenità per noi e le
persone che amiamo. Tutti abbiamo bisogno di tenerezza e amore, poiché sono
sentimenti universali che non devono essere tollerati ma applicati con
religiosa convinzione. Non vi sembra assurdo pensare di sopportare qualcuno
quando possiamo, invece, conoscerlo e magari capirlo? Finiamola con il concetto
di tolleranza e introduciamo quello di conoscenza. In una società liquida, come
la definì il filosofo Bauman, le differenze sono molto sottili e i nostri stili
di vita dissimili possono essere ampiamente superati da ciò che ci accomuna e
unisce. Creiamo una coesistenza pacifica, curiosa e rispettosa del prossimo, e
riusciremo a donare ai nostri figli e nipoti un mondo più giusto anche se non
perfetto.
Criap
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