Dalla rubrica di concita di repubblica del 4\3\2017
La risposta di Repubblica sport a una mamma
Giulia, giocatrice della Roma, categoria Esordienti
I dubbi di Silvia, mamma di una calciatrice, e la risposta di Angelo Carotenuto, capo dello sport di Repubblica
Ho riflettuto a lungo se inviare o no questa lettera..… forse perchè, leggendo le altre storie, un po’ mi sono vergognata: ma come, si parla di difficoltà a trovare lavoro, di lettere di licenziamento in bianco, di minacce in caso di gravidanza (tra l’altro, provate sulla mia pelle) e tu stai qui a frignare perché il calcio femminile non viene trattato con la stessa dignità di quello maschile? Ma come ti viene in mente?
Parlare di calcio vuol dire non avere spessore, figuriamoci lamentarsi per quello femminile! Ma poi ho guardato la foto di mia figlia, 13 anni, vestita con quei pantaloncini troppo grandi per le sue gambette fine e ho ripensato al sorriso ingenuo quando, dopo una partita terribile contro dei maschietti che le hanno riempite di insulti, ha risposto alla mia domanda “Ma tu vuoi vivere di questo? E’ questo il tuo futuro?”.
Non c’è stato bisogno di parole, i suoi occhi si sono illuminati mentre i miei si oscuravano perché un futuro in quel mondo non potrà mai averlo..…. disparità, in tutto…. nel lavoro, nello sport, nella vita. E allora mi sono detta, ma si scriviamo! Rimarrà uno sfogo, ma almeno quello ci sarà stato. E poi non voglio fare come i soliti italiani che si lamentano e non agiscono mai, come quelli che dicono Roma è sporca e buttano la carta per terra, no non voglio fare questo ma voglio insegnare alle mie figlie che ognuno di noi è un contributo al cambiamento, per quanto piccolo possa essere.
Quindi eccomi qui, a chiedere perché? Perché non viene dedicato spazio (attenzione, non ho detto uguale spazio ma solo spazio perché ora di spazio non ce n’è) sulle pagine dei giornali alla realtà del calcio femminile? Perché, quando apro la pagina dello sport di Repubblica, non trovo i risultati delle partite della domenica o della Nazionale Italiana femminile? Forse potrebbe essere un inizio, un cambiamento sciocco, insignificante, privo di spessore ma un inizio. Forse, leggendolo tutti i giorni sul giornale, diventerà normalità, e nessuno guarderà più mia figlia camminare per strada con i calzoncini troppo larghi come un alieno…..magari dopo un po’ di tempo sarà normale assumere una donna incinta o una neomamma. Prendiamoci ció che ci spetta!
Silvia Polidori
Risponde a Silvia il reponsabile dello Sport di Repubblica, Angelo Carotenuto
Cara Silvia,
Sarebbe di una noia mortale risponderle secondo gli schemi delle redazioni, dove ci diciamo che non c’è spazio sempre più spesso, dove quasi sempre dettano legge la popolarità, il seguito, la pratica di uno sport, dove qualche volta effettivamente lo spazio non c’è perché non c’è il coraggio, lo spazio manca quando non si vuol trovare. Intanto mancano i risultati del calcio femminile, vero, e anche molto altro, per le donne e per gli uomini: la pallanuoto, spesso la pallavolo, la pallamano che in Italia non ha un movimento di vertice, il calcio a cinque. Per non dire di quegli sport fantasma che appaiono ogni quattro anni alle Olimpiadi.
Onestamente non credo che un trafiletto con una lista di risultati sia in grado di fare chissà cosa. Vuoi vivere di questo, ha chiesto la signora Silvia a sua figlia. Vivere di questo, vivere di sport. Qualche mese fa Marco Mensurati e Alessandra Retico si sono occupati della discriminazione verso le donne nello sport italiano, dove ai vertici delle federazioni e sulla panchine delle Nazionali siedono solo uomini. Per la legge 91/181, quella che in Italia regola lo sport professionistico, le donne possono essere solo dilettanti. Non c’è tutela sanitaria, né versamenti, né assicurazione al momento di sottoscrivere un accordo con un club. In qualche caso spuntano clausole anti-maternità. C’è un solo posto dove si può cambiare tutto questo: in Parlamento. I giornali devono ricordarlo tutte le volte che possono.
Lo sport però è altro, molto altro prima di essere agonismo, professionismo e sostentamento. Vivere di questo, come scrive Silvia, significa pure vivere di passione. Uscire presto di mattina per allenarsi in barca, o per correre, o salire su una pedana con un fioretto dopo aver passato tutto il giorno sui libri, schiacciare una palla oltre la rete per il piacere di farlo, per stare con amici nuovi o non dividersi da quelli di sempre. Vivere di sport questo è. Difendere il proprio sogno anche se scandalizza gli altri, anche se è diverso da quello che i tuoi genitori hanno sognato per te, vivere di sport è scoprire che si sta bene dentro la propria pelle e dentro il proprio corpo, prima ancora che dentro gli abiti. Per storie così su questo giornale lo spazio c’è stato, c’è e dopo questa lettera ce ne sarà un pochino in più, per raccontare donne come Bebe Vio e Tifanny Abreu, come Melania Gabbiadini e Paola Egonu, capaci di attraversare muri e scavalcare barriere.
Grazie di averci scritto
Angelo Carotenuto
Giulia, giocatrice della Roma, categoria Esordienti
I dubbi di Silvia, mamma di una calciatrice, e la risposta di Angelo Carotenuto, capo dello sport di Repubblica
Ho riflettuto a lungo se inviare o no questa lettera..… forse perchè, leggendo le altre storie, un po’ mi sono vergognata: ma come, si parla di difficoltà a trovare lavoro, di lettere di licenziamento in bianco, di minacce in caso di gravidanza (tra l’altro, provate sulla mia pelle) e tu stai qui a frignare perché il calcio femminile non viene trattato con la stessa dignità di quello maschile? Ma come ti viene in mente?
Parlare di calcio vuol dire non avere spessore, figuriamoci lamentarsi per quello femminile! Ma poi ho guardato la foto di mia figlia, 13 anni, vestita con quei pantaloncini troppo grandi per le sue gambette fine e ho ripensato al sorriso ingenuo quando, dopo una partita terribile contro dei maschietti che le hanno riempite di insulti, ha risposto alla mia domanda “Ma tu vuoi vivere di questo? E’ questo il tuo futuro?”.
Non c’è stato bisogno di parole, i suoi occhi si sono illuminati mentre i miei si oscuravano perché un futuro in quel mondo non potrà mai averlo..…. disparità, in tutto…. nel lavoro, nello sport, nella vita. E allora mi sono detta, ma si scriviamo! Rimarrà uno sfogo, ma almeno quello ci sarà stato. E poi non voglio fare come i soliti italiani che si lamentano e non agiscono mai, come quelli che dicono Roma è sporca e buttano la carta per terra, no non voglio fare questo ma voglio insegnare alle mie figlie che ognuno di noi è un contributo al cambiamento, per quanto piccolo possa essere.
Quindi eccomi qui, a chiedere perché? Perché non viene dedicato spazio (attenzione, non ho detto uguale spazio ma solo spazio perché ora di spazio non ce n’è) sulle pagine dei giornali alla realtà del calcio femminile? Perché, quando apro la pagina dello sport di Repubblica, non trovo i risultati delle partite della domenica o della Nazionale Italiana femminile? Forse potrebbe essere un inizio, un cambiamento sciocco, insignificante, privo di spessore ma un inizio. Forse, leggendolo tutti i giorni sul giornale, diventerà normalità, e nessuno guarderà più mia figlia camminare per strada con i calzoncini troppo larghi come un alieno…..magari dopo un po’ di tempo sarà normale assumere una donna incinta o una neomamma. Prendiamoci ció che ci spetta!
Silvia Polidori
Risponde a Silvia il reponsabile dello Sport di Repubblica, Angelo Carotenuto
Cara Silvia,
Sarebbe di una noia mortale risponderle secondo gli schemi delle redazioni, dove ci diciamo che non c’è spazio sempre più spesso, dove quasi sempre dettano legge la popolarità, il seguito, la pratica di uno sport, dove qualche volta effettivamente lo spazio non c’è perché non c’è il coraggio, lo spazio manca quando non si vuol trovare. Intanto mancano i risultati del calcio femminile, vero, e anche molto altro, per le donne e per gli uomini: la pallanuoto, spesso la pallavolo, la pallamano che in Italia non ha un movimento di vertice, il calcio a cinque. Per non dire di quegli sport fantasma che appaiono ogni quattro anni alle Olimpiadi.
Onestamente non credo che un trafiletto con una lista di risultati sia in grado di fare chissà cosa. Vuoi vivere di questo, ha chiesto la signora Silvia a sua figlia. Vivere di questo, vivere di sport. Qualche mese fa Marco Mensurati e Alessandra Retico si sono occupati della discriminazione verso le donne nello sport italiano, dove ai vertici delle federazioni e sulla panchine delle Nazionali siedono solo uomini. Per la legge 91/181, quella che in Italia regola lo sport professionistico, le donne possono essere solo dilettanti. Non c’è tutela sanitaria, né versamenti, né assicurazione al momento di sottoscrivere un accordo con un club. In qualche caso spuntano clausole anti-maternità. C’è un solo posto dove si può cambiare tutto questo: in Parlamento. I giornali devono ricordarlo tutte le volte che possono.
Lo sport però è altro, molto altro prima di essere agonismo, professionismo e sostentamento. Vivere di questo, come scrive Silvia, significa pure vivere di passione. Uscire presto di mattina per allenarsi in barca, o per correre, o salire su una pedana con un fioretto dopo aver passato tutto il giorno sui libri, schiacciare una palla oltre la rete per il piacere di farlo, per stare con amici nuovi o non dividersi da quelli di sempre. Vivere di sport questo è. Difendere il proprio sogno anche se scandalizza gli altri, anche se è diverso da quello che i tuoi genitori hanno sognato per te, vivere di sport è scoprire che si sta bene dentro la propria pelle e dentro il proprio corpo, prima ancora che dentro gli abiti. Per storie così su questo giornale lo spazio c’è stato, c’è e dopo questa lettera ce ne sarà un pochino in più, per raccontare donne come Bebe Vio e Tifanny Abreu, come Melania Gabbiadini e Paola Egonu, capaci di attraversare muri e scavalcare barriere.
Grazie di averci scritto
Angelo Carotenuto
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