Una psicologa eritrea, in Sicilia dall'età di 11 anni, ha ricevuto in affidamento un minore ospite di una comunità palermitana


 Finalmente  dopo pessime  notizie   razziste  e  sessiste  , in partcolare questa


L'immagine può contenere: il seguente testo "Pensa che quelle di classe nostra gli hanno detto che lo merita 16:19 Sono tre ragazzi che abitano con lei a io non li conosco ma lei, si, ci é cresciuta insieme 08:27 Audio (1:29) Che schifo, fanno veramente schifo 12:27 ha appena girata dicendomi, stanno dicendo tutto. Mi sorivenuti brividi pezzi di me da dm da prenderli e ammazzalli 12:28 4 uno registrava, uno faceva da palo e due a fa il lavorino brutti zi 12:29"


IhaveavoiceIeri alle 13:44 ·

Sabato sera. Una festa in casa. Il branco.
Un gruppo di ragazzi, tra i 16 e i 17 anni, sabato 27 giugno nella zona di Marina di Grosseto, hanno seguito una ragazza in bagno e l'hanno stuprata. Erano in 4, uno fuori a fare il palo e a bloccare l'uscita, uno a riprendere la violenza attraverso un video e due ad abusare di lei.

È accaduto nella casa della ragazza. I ragazzi li conosceva bene, erano cresciuti con lei nello stesso paese.
Questo ciò che sta emergendo dalle indagini e dalla testimonianza di lei che è andata a denunciare dopo essere stata in ospedale.
Ma la storia, purtroppo, non finisce qui.
“TI STA BENE P*TT@N@”.
Questi sono i messaggi che ha ricevuto dalle sue compagne di classe.
Ce lo racconta la cugina di una di loro, amica della vittima, che ci manda le loro conversazioni via chat.

Per la prima volta nella storia d'Italia una donna di pelle nera, di origine eritrea, diventa mamma in affido di un bambino di pelle bianca, di origine siciliana.
Yodit è una donna nata in Eritrea 47 anni fa, che vive in Sicilia da 35 anni. È psicologa e mediatrice culturale. Francesco un bambino che vive in comunità proveniente da un contesto familiare difficile.
Una splendida notizia in periodi di propagande razzializzanti. Il segno che una nazione migliore, inclusiva davvero è possibile al di là delle tossiche narrazioni che si fanno per mera strumentalizzazione.
Personalmente è una gioia un po' amara quella che suscita una notizia del genere. L'amaro è dovuto proprio al fatto che ci si senta di dover gioire di fronte a un accadimento del genere.
Purtroppo siamo ancora ai primi passi di questo percorso sociale di interculturalità e integrazione, e il sentirsi di esultare per una cosa che dovrebbe essere la normalità ne è la triste dimostrazione.Quando veramente si sarà in grado di valutare l'uomo, ogni singolo individuo, per il suo operare e non per la sua provenienza, per la colorazione della sua pelle o per l'appartenenza a qualsiasi tipo di minoranza, quando si sarà in grado di fare questo, solo allora potremo dire di essere tutti liberi. 

Ora  incuriosito    della segnalazione   del contatto  https://www.facebook.com/maria.patane.370

 ho cercato  in rete ed  ho trovato   sia  questo  articolo   di repubblica  del  2\7\2020  





DI CLAUDIA BRUNETTO




Quando l’ha conosciuto quel bambino non era capace di sorridere. Per Francesco (il nome è di fantasia), sette anni e metà della vita passata in una comunità per minori, mostrarsi felice era soltanto un’azione per accontentare gli altri.
Da 16 mesi, però, tutto è cambiato. Yodit Abraha, 46 anni, nata ad Asmara in Eritrea e a Palermo da quando aveva 11 anni,
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 è diventata la sua nuova mamma. La prima mamma di origine straniera a prendere in affido un bimbo palermitano. Nessuno più di lei, psicologa e mediatrice interculturale che da venti anni lavora nelle comunità e oggi è responsabile di uno Sprar, sa cosa possa significare per un bambino crescere lontano dalla famiglia. «Quando l’ho conosciuto diceva che era brutto e incapace – dice Yodit – Adesso dice di essere bellissimo. I primi mesi non mi sono accorta neanche del colore di suoi occhi, talmente era assente e chiuso in se stesso. Un giorno, d’improvviso, ho scoperto che erano verde smeraldo. A un certo punto è successo qualcosa che ha fatto scattare un legame che cresce ogni giorno di più».
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Alla fine del 2018, dopo un lungo periodo di riflessione, Abraha decide di proporsi come mamma affidataria al Comune di Palermo. «La cosa certa – dice la psicologa – è che avrei scelto un minore palermitano. Sono quelli che rischiano di più di crescere nelle comunità, a differenza degli stranieri che vanno subito in adozione o vengono ricongiunti con i loro genitori dopo poco tempo. Ma avevo un grande dubbio: il bambino o la bambina italiana avrebbe voluto una mamma nera?».
Il dubbio l’ha sciolto Francesco poco dopo il loro primo incontro. «Un giorno al Giardino Inglese – dice Abraha – gli ho chiesto se avesse qualche curiosità su di me, sul colore della mia pelle. Mi ero preparata, ero pronta con la cartina geografica a mostrare Asmara. Ma mi ha risposto di no. Allora ho capito che a lui importava solo di essere amato».
Yodit si è messa tante volte in discussione prima di arrivare all’affido: «Sono stati anni di riflessione – dice – C’è stato un momento in cui volevo fortemente un figlio mio e non avrebbe avuto senso prenderne uno in affido, poi le cose sono cambiate e mi sono sentita pronta. Quando, però, è arrivata davvero la proposta dal Comune di prendere in affido un bimbo così piccolo e con un vissuto complesso ho avuto paura. Ma in fondo al mio cuore avevo scelto, Francesco era già nella mia vita».
Il bimbo con i suoi fratelli è finito in comunità molto presto. Per lui è difficile relazionarsi con gli altri e vivere il contesto della scuola. Ha bisogno, più di tutto, di recuperare il bambino che è e che forse non è mai stato. Dal decreto del giudice di febbraio, Yodit e Francesco, hanno davanti un percorso di due anni. Se in questo tempo il bambino potrà rientrare nella sua famiglia di origine, l’affido si interromperà, altrimenti potrà essere rinnovato, anche all’infinito. E poi chissà magari trasformarsi in una vera adozione.
«Quando mi hanno presentato il caso di Francesco – dice la psicologa – c’erano tutti gli elementi per dire che non me la sarei sentita. I primi tempi, alla fine delle giornate, piangevo, mi sentivo inadeguata. Appena diventi madre ti scopri con tante fragilità. La paura maggiore ancora adesso è non essere alla sua altezza. Poi c’è il mondo esterno che spesso non aiuta, la gente che lo guarda come fosse un bambino diverso. Questo mi distrugge, ma non sono mai tornata sui miei passi. Ogni giorno un suo sguardo, un suo sorriso mi fanno pensare che insieme possiamo farcela».
La famiglia di Yodit Abraha, una delle prime negli anni Settanta a lasciare l’Eritrea per ragioni politiche, l’ha sempre sostenuta. A Valverde, nel Catanese, è stata la prima famiglia nera, accolta fra generosità e una dose di diffidenza. Adesso, mamma e figlio, trascorreranno l’estate a Catania, dove vivono i genitori e i fratelli della psicologa.
«Palermo l’ho amata subito – dice Abraha – è stata la città della mia indipendenza, dell’università. Vivere qui significa vivere in tanti mondi contemporaneamente. Il meticciato lo incontri, lo respiri. Negli anni ho costruito una rete di rapporti che oggi come mamma affidataria sono fondamentali. Francesco per i miei amici è una star. Senza di loro non sarebbe la stessa cosa».
Abraha ha difficoltà a ricordarsi della sua vita prima di Francesco. «Sono cambiate le mie priorità, le mie prospettive – dice la psicologa – Mentre io ho fatto una scelta, lui non ha scelto questo rapporto. Il suo percorso è molto più faticoso. Vive in un mondo diviso fra due famiglie, fra due realtà. Racconta a tutti di avere due mamme. Come fa a sapere che io ci sarò sempre? Può solo fidarsi».
Yodit consiglia a tutti il percorso dell’affido. «È faticoso, ma affidarsi a un bambino è un’esperienza unica: quello che ricevi è molto di più di quello che dai». Dopo tanti mesi, Francesco alla fine le ha fatto la domanda tanto temuta: “Perché sei nera?”. «Gli ho raccontato dell’Africa, degli animali, della natura. Vuole sapere dove vivono i leoni e mi chiede anche un fratellino o una sorellina neri. Per me è un rapporto senza scadenza. Sarà il futuro a darci le risposte. Intanto continuiamo insieme questo splendido viaggio di amore

confermato  al bellissimo e toccante  post   di



La prima volta che si sono incontrati, 16 mesi fa, al Giardino Inglese di Palermo, Yodit aveva con sé una cartina. Un dubbio, tra i tanti, la divora, non ci dorme la notte: “E se non volesse una mamma nera?”
Era preparata a quella domanda, pronta a mostrare la sua Asmara, i confini di quella terra lontana che sembrano tracciati col righello.
“Allora, hai qualche curiosità su di me, sul colore della mia pelle?” chiede Yodit.
“No. Nessuna” è la risposta di Francesco.
Perché a lui, a questo bambino siciliano di 7 anni cresciuto in una comunità, l’unica cosa che interessa è quella che, in fondo, non ha mai avuto: essere amato.
L’amore, quello che ha spinto una donna eritrea di 46 anni - italiana d’adozione e orgogliosamente siciliana da 35 - a diventare mamma in affido di un bambino italiano, provando a restituire alla terra che l’ha accolta la sua profonda esperienza di psicologa e mediatrice interculturale.
È stato un percorso lungo e complesso, fatto di burocrazia e continue riflessioni, ma alla fine, nel 2018, Yodit è diventata ufficialmente la prima mamma di origine straniera a prendere in affido un bimbo palermitano. E non è un caso, perché - racconta lei - “i bambini italiani sono quelli che rischiano più di tutti di rimanere in comunità”.
Quel bambino di sette anni che non aveva mai sorriso (“i primi mesi, neanche sapevo di che colore avesse gli occhi, tanto era assente e chiuso”), insieme a Yodit rifiorisce, si apre, ritrova fiducia nel prossimo. Una famiglia.
Il giudice ha dato loro due anni di tempo: se, nel frattempo, ci saranno le condizioni perché Francesco torni nella sua famiglia biologica, le loro strade si separeranno. In caso contrario, potrebbe anche durare per sempre.
Una storia di integrazione e accoglienza che capovolge in un attimo tutti gli stereotipi e spazza via ogni propaganda tossica. E ci ricorda, ancora una volta, che l’unica vera famiglia è quella basata sull’amore.
Alla fine, un giorno di qualche tempo fa, è successo davvero. È accaduto che Francesco abbia rivolto a Yodit quella domanda tanto temuta:
“Perché sei nera?” ha chiesto lui.
Yodit allora ha tirato fuori quella cartina che non ha mai smesso di portare con sé e gli ha raccontato della sua terra, di leoni più o meno reali, della sua infanzia così diversa e così simile a quella di suo figlio. Francesco si è messo in testa che vuole un fratellino o una sorellina nera.
“Chissà, vedremo” risponde sempre Yodit con un sorriso. Non c’è fretta. Per ora va 

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