da la nuova sardegna del 13\11\2013
Il padre fondatore di Arcigola, Slow Food e Salone del Gusto spiega il rapporto tra ambiente alimentazione e giustizia sociale
di Pasquale Porcu Accendi la tv e a qualunque ora del giorno e della notte trovi qualcuno che spadella,
assaggia, pontifica di cibo. Ma tutto questo aspetto parascientifico, ludico e leggero dell’argomento “mangiare”, raramente si incrocia con gli appelli che vengono da quanti (sempre di più) non hanno da mangiare. O con il grido d’allarme che sale dal mondo delle campagne, dove contadini e allevatori vivono ormai in condizioni sempre più difficili, a causa dei fatti dell’economia o delle emergenze ambientali. Se si pensa bene ai paradossi del mondo alimentare, insomma, si rischia quasi di impazzire. Meno male, in tutti questi anni, che un personaggio come Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, ci è venuto in soccorso dandoci il filo rosso da seguire per capire l’ universo magico e contradditorio del cibo. Il libro L'ultimo contributo che ci regala Petrini è da qualche giorno in libreria. Si intitola "Cibo e libertà. Slow Food: storie di gastronomia per la liberazione (Giunti, pagine 192, 12 euro). Petrini sostiene che nel corso dell'ultimo trentennio nel mondo del cibo c'è stata una vera e propria rivoluzione. Ma ogni rivoluzione che si rispetti libera energie e genera cambiamenti importanti. Una tesi che farà discutere, non abbiamo dubbi, che Carlin (come lo chiamano i suoi amici) espone facendo ricorso alla sua storia personale, che si sovrappone a quella dell'Arcigola, di Slow Food, del Salone del Gusto e di Terra Madre. Quelle teorie che enunciate alla fine degli anni Ottanta potevano apparire quelle di un Guevara dell'alimentazione si sono diffuse ora in tutti i
continenti contribuendo a creare un movimento, riconosciuto da autorità politiche, accademiche e religiose (apprezzato pubblicamente anche da Papa Francesco) dal quale nessuno ormai può più prescindere. Dalla terra alla tavola «No, non il mangione che non ha il senso del limite e gode di un cibo solo quanto più è copioso o quanto più è proibito_ scrive nel libro Petrini-. No, non lo stolto dedito ai piaceri della tavola che se ne infischia di come un cibo è arrivato al desco. Mi piace conoscere la storia di un alimento e del luogo da cui proviene, mi piace immaginare le mani di chi l'ha coltivato, trasportato, manipolato, cucinato, prima che mi venisse servito». «Vorrei che il cibo che consumo– precisa l’autore– non privi di cibo altri nel mondo. Mi piacciono i contadini, il loro modo di vivere la terra e di saper apprezzare il buono». E ancora: «Il buono è di tutti; il piacere è di tutti, poiché è nella natura umana. C'è cibo per ognuno su questo Pianeta, ma non tutti mangiano. Chi mangia, inoltre, spesso non gode, ma mette benzina in un motore. Chi gode, invece, spesso non si preoccupa d'altro: dei contadini e della terra, della natura e dei beni che ci può offrire». Il cibo e il porno E poi una considerazione anche su come si consuma il cibo. Petrini lo paragona al porno, vale a dire al sesso consumato ma senza amore. «Pochi– afferma Petrini – conoscono ciò che mangiano e godono per tale conoscenza, fonte di piacere che unisce con un filo rosso l'umanità che la condivide». «Sono un gastronomo,– dice – e se vi vien da sorridere, sappiate che non è semplice esserlo. È complesso, perché la gastronomia, considerata una Cenerentola nel mondo del sapere, è invece una scienza vera, che può aprire gli occhi. E in questo mondo d'oggi è molto difficile mangiare bene, ovvero come la gastronomia comanderebbe». Cibo sì, dunque: Ma libero dagli estetismi modaioli degli anni Ottanta e libero dalla fame di chi non ha da mangiare. Diecimila orti La sfida, oggi, è in America Latina e in Africa con il progetto di 10 mila orti da realizzare. Ormai la scommessa da vincere coinvolge tutto il pianeta. E per questo diventa subito progetto politico che ha dimensioni planetarie. Ma non c’è da scoraggiarsi. Lo dice anche la storia recente. Ricordate il 1986? Era l’anno della scandalo del vino al metanolo. Un imbroglio che ha dato un colpo mortale all’enologia del Belpaese. Il metanolo «Ho ancora nitida negli occhi la visione di Beppe Colla, allora presidente del Consorzio di tutela Barolo Barbaresco, – racconta Petrini nel libro – che piange in televisione dopo lo scandalo del vino al metanolo. Un pianto mal trattenuto, fiero ma disperato. In quel momento – erano i primi di aprile del 1986 – sembrava davvero finita per tutto il comparto del vino italiano. I blocchi alle dogane e un tracollo d’immagine portarono a chiudere l’anno con un calo del 37% nelle esportazioni e una perdita di un quarto del valore per l’intero settore. Fu impressionante viverlo in Langa, vicino a tanti amici produttori. In quel pianto pubblico di Beppe Colla non c’erano solo la disperazione per l’onta intollerabile e per il profilarsi di una grossa perdita economica, c’era molto altro. E dopo quasi trent’anni mi è ancora più evidente».Quel disastro, come sappiamo, cambiò per sempre (in meglio) il vino italiano e la sua immagine. Non è successo altrettanto con altri scandali (per esempio l’inquinamento da atrazina nella Pianura Padana di cui si parla nel libro). Una nuova sensibilità Vero è, comunque, che le riflessioni avviate su quei fatti da una serie di associazioni (a iniziare ovviamente da Slow Food) hanno contribuito a creare una maggiore sensibilità sul rapporto tra cibo e ambiente. «Questo insieme di valori oggi – scrive Petrini – è di grande attualità: c'è chi si è specializzato nel promuoverli o difenderli anche solo in parte, ma pochi colgono la portata dell'insieme, la preziosità dei collegamenti nascosti. La nostra visione è invece olistica, onnicomprensiva e complessa». «Non si può guardare al cibo da un solo punto di vista, inseguendo unicamente e separatamente il buono, il pulito o il giusto– osserva Petrini –. Ma c'è anche chi era ossessionato dal buono e ha fatto passi in avanti verso il pulito, chi voleva soltanto il giusto o il pulito ma si è poi accorto di quanto fosse importante il buono». Il libro del padre di Slow Food lancia un messaggio di speranza. Non solo, insomma, qualcosa si muove. Ma, come affermava tempo fa Edgar Morin su Le Monde, «tutto è già ricominciato». Anche se la strada per arrivare a un cibo “pulito, sano e giusto” è ancora impervia.
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