In questo caso, come le altre , cerco di appplicare il : << Nolite iudicare, ut non iudicemini (Vangelo secondo Matteo 7, 2)>> oppure << Nolite iudicare, et non iudicabimini" (Luca 6,37) >> oppure ancora "Chi sono io per giudicare?" (Papa Francesco).
Dico solo che l'articolo su tysn me lo fa sentire vicinissimo come l'imperatore indiano Ashoka che dopo tante guerre e strage di uomini si converti' al buddismo e prese ad erigere templi e non piu' eserciti e guerre
dal'unione sarda del 3\11\2013
Iosefa Idem, gloria poi dimissioni E il coraggio di ripartire dalla fine
di LUCA TELESE
Quel giorno, il 24 giugno del 2013, se lo ricorda bene: «Ero sul volo Dusseldolf-Roma. Ero andata in Germania per il matrimonio di mia sorella. In Italia esplodeva la polemica sulla mia casa. Quel giorno sono morta. Ero la ministra affondata, imprigionata nella fila numero otto. Piangevo. Le mie dimissioni erano diventate inevitabili». Non ne ha parlato a lungo, adesso lo racconta. Non ha voluto rispondere a nessuna domanda, adesso spiega.
IL PIANTO SOLITARIO Quel giorno Iosefa Idem, campionessa tedesca prima e italiana poi, quindi senatrice del Pd e infine ministra se lo ricorda bene: è il giorno in cui in quel pianto silenzioso nella
poltrona di un volo di linea è finita una delle sue tre vite. Il giorno dell'addio al governo. Oggi, pubblicando l'autobiografia, con il coraggio che i campioni veri hanno, ha deciso di partire da quella sconfitta, per raccontare (anche) le pagine più belle della sua carriera. Iosefa, per gli amici “Sefi”, ha intitolato il proprio libro Partiamo dalla fine (Mondadori, 245 pagine), proprio per dire questo: chi vince deve sempre saper ripartire dal fondo, da quello che non va, dalla cifra che non torna. Quando l'ho incontrata per intervistarla le ho fatto rivedere le immagini di quella sua ultima conferenza stampa a Palazzo Chigi, quella con cui - prima di quel viaggio in Germania - si era difesa ruggendo: «Mi hanno chiamata Sefi la furbetta dell'Imu... Mi hanno dato della puttana...». Per un attimo la Idem di oggi è rimasta interdetta guardandosi: «Non mi ero mai riguardata. E - ammette - oggi rivedendomi non mi piaccio. Non ero me stessa, non ero io. Ero una persona che si sentiva accusata ingiustamente e braccata dai media. Era vero che mi hanno braccata. Ma ho dato il peggio di me».
IL CASO IMU Adesso invece può parlare di quella vicenda: dell'Imu agevolata sulla sua seconda casa, delle polemiche feroci, della palestra che c'era dentro, dell'accusa di abuso edilizio. «Il giorno in cui ho visto Maradona fare il gesto dell'ombrello - mi dice - ho pensato: non posso sembrare nemmeno lontanamente come lui. Ho tutte le mie ottime ragioni, la mia spiegazione, ho pagato l'ammenda di tremila euro che mi hanno comminato, ma non posso confondermi con lui. Oggi dico: sulla casa ho sbagliato. Ma ho sbagliato perché non ho controllato abbastanza, non perché ho mentito. Ho sbagliato perché ho commesso una leggerezza e non ho controllato i miei collaboratori, non perché volessi nascondere qualcosa. Sulla vicenda della palestra - spiega la Idem - non sono stata incastrata da qualche indagine, ma dalla mia stessa richiesta di sanatoria, la Scia, che ho depositato perché ammettevo una irregolarità e mi offrivo di sanarla. Per la vicenda della residenza sono stata leggera - dice ancora - ma sarei pazza se, come ha ipotizzato qualcuno, avessi fatto figurare la mia residenza sotto un tetto diverso da quello di mio marito per risparmiare duecento euro l'anno!». Fa una pausa. «In ogni caso - conclude - posso essere orgogliosa di questo: in un paese in cui non si dimette nessuno, io per tutto questo ho pagato: ho lasciato un posto da ministra». E poi: «Fino a quella polemica la gente mi vedeva con l'aureola. Dopo per mesi ho sentito il peso di una gogna. Adesso sono in pace».
VITA COME UN ROMANZO Se però oggi vi parlo della Idem, è perché il suo Partiamo dalla fine non è solo uno slogan, ma anche il racconto avvincente di chi dopo aver raggiunto traguardi impensabili si volta indietro e prova a spiegare come ce l'ha fatta. È un viaggio intrigante, questo percorso a ritroso, anche per chi non è appassionato di sport o di atletica. Perché Iosefa ha una vita che pare un romanzo, o uno di quei film americani che partono male e finiscono con un lieto fine. Prima di vincere trentotto medaglie, infatti, prima di diventare l'unica donna (fino ad ora nessuna meglio di lei) che è riuscita a partecipare a otto diverse olimpiadi, la Idem è stata una ragazza capace di dubitare cento volte del proprio talento. Una atleta di cui a 24 anni, e prima che battesse ogni record di longevità, il suo allenatore tedesco arrivò a dire: «Iosefa ormai sei troppo anziana per diventare campionessa». Lei stessa dice di sé: «Ho un cuore da 56 battiti a riposo: certi campioni ne contano la metà. Ho una soglia anaerobica normale. L'emoglobina bassa, l'ematocrito di una casalinga». E ride. Dopo i primi anni di gare, il padre, uomo di provincia e di buonsenso arriva a dirle: «Senti, fai il concorso per diventare poliziotta: se con lo sport non riesci a combinare nulla, almeno un lavoro sicuro lo hai». E lei il concorso, quando era una atleta tedesca, lo fa e lo vince pure.
È vero però che la Idem ha cambiato paese, e cittadinanza, perché sente che il mondo, e la mentalità in cui è cresciuta non le bastano più. Ma il cuore di tutto sono quelle benedette partenze false. «Io, in tutta la mia vita, ho avuto sempre la partenza lenta: sono un diesel». La partenza lenta è quella che la frega in tuta la prima parte della carriera, nelle prime due olimpiadi combattute portando il tricolore tedesco. Il suo allenatore tedesco la tempesta di allenamenti, le impone uno stile da caserma, le fa crescere dentro insicurezze e dubbi.
SCEGLIE L'ITALIA Poi la svolta. Conosce il suo futuro marito, Guglielmo, un romagnolo che allena una squadra di pallavolo. Sceglie insieme lui e l'Italia. Insieme inventano un nuovo metodo. La Idem prende la cittadinanza italiana. Cambia il lavoro sul corpo, ma soprattuto quello sulla sua testa: «Sono quello che sono perché ho sommato al rigore tedesco la fantasia italiana. Oggi so che l'agonismo sportivo è come un muscolo: se vai in canoa pensando solo al risultato sei sempre in lotta tra i tuoi muscoli e la tua volontà. Ma il muscolo contratto - osserva la Idem - è un muscolo che fatica di più, e alla fine si spezza». Cambiare paese significa cambiare vita: trovare un nuovo metodo di allenamento con Guglielmo, dire addìo ai ritiri-prigione, fare dei figli, e portarseli sorridendo in giro per il mondo come pochi altri. «In una olimpiade mio marito si arrabbia: non puoi rimanere concentrata se ti svegli la notte per il piccolo. Lo farò io». Così la Idem riesce a partire più veloce, a passare dal bronzo all'oro, ad arrivare a quella ultima olimpiade, nel 2012: «A Londra sono arrivata quinta- sorride - ma alla mia età per me è stato come prendere un oro». Perché questa è l'ultima lezione: «I traguardi non sono tutti uguali». Adesso la Idem fa la senatrice. Sa che il suo difetto è sempre partire lenta. Ma ha imparato che sulla sua canoa - come nella vita di tutti - chi non perde il controllo e l'equilibrio arriva sempre lontano.
da repubblica del 4\11\2013
Mike Tyson a 47 anni è un uomo diverso dalla “belva” campione del mondo dei pesi massimi. Ora si confessa in un libro. Emanuela Audisio l’ha incontrato a New York
Mike Tyson, c'era una belva: "Cerco solo tranquillità gettatemi nella polvere"
Mike Tyson Arrogante, rabbioso e violento, picchiatore sul ring, disperato fuori: una vita di pugni e droga, alcol e solitudine. L'ex pugile si confessa mentre esce la sua autobiografia
dalla nostra inviata EMANUELA AUDISIO
Mike, c'era una belva Cerco solo tranquillità gettatemi nella polvere
NEW YORK - La sua arroganza sul ring era splendida. Una rabbia genuina, i sottotitoli non servivano. Un mostro attraente. Brutto, sporco, cattivo. Ora ha gli occhi bui, le cosce grosse, e sbadiglia spesso. Un animale stanco che sbatte tristemente la coda. Da campione dell'eccesso a uomo dimesso. Letargico, cloroformizzato. Chiede un piatto di spaghetti con gamberetti. La solita voce da gattina. Il tatuaggio maori che copre metà del viso non mette più paura, un vecchio graffito stinto. Più vere le cicatrici sulle sopracciglia. Mike Tyson, 47 anni, tanti soprannomi, da King-Kong al Cannibale, da Iron Mike a conte Ugolino della boxe. Ma anche tanta sostanza: il più giovane campione mondiale dei massimi della storia a soli 20 anni. Un picchiatore, il re dei ko: 44 in 58 incontri. Vi staccava la testa senza problemi. Pure l'orecchio, masticato e sputato come un chewing-gum. Se soffrivate, meglio. A lui non fregava. Un bruto. Molto bravo e very fast. Ci sono cattivi mediocri, lui non lo era. Puntava al bersaglio grosso. Era ripagato: vita da nababbo, 300 milioni di dollari in tasca. Tutti bruciati. In bancarotta dal 2003. Come e dove lo racconta nella sua autobiografia "True" (Piemme edizioni, dal 19 novembre in Italia) scritta con il giornalista Larry Sloman. Una vita pesante: droghe, pugni, alcol, dolore, solitudine, tradimenti. Un angolo disperato. Da cui oggi implora di uscire. Vuole una mano.
La sua arroganza sul ring era splendida. Una rabbia genuina, i sottotitoli non servivano. Un mostro attraente. Brutto, sporco, cattivo. Ora ha gli occhi bui, le cosce grosse,e sbadiglia spesso. Un animale stanco che sbatte tristemente la coda. Da campione dell'eccesso a uomo dimesso.
Letargico, cloroformizzato. Chiede un piatto di spaghetti con gamberetti. La solita voce da gattina. Il tatuaggio maori che copre metà del viso non mette più paura, un vecchio graffito stinto. Più vere le cicatrici sulle sopracciglia.
Mike Tyson, 47 anni, tanti soprannomi, da King-Kong al Cannibale, da Iron Mike a conte Ugolino della boxe. Ma anche tanta sostanza: il più giovane campione mondiale dei massimi della storia a soli 20 anni. Un picchiatore, il re dei ko: 44 in 58 incontri. Vi staccava la testa senza problemi. Pure l'orecchio, masticato e sputato come un chewing-gum. Se soffrivate, meglio. A lui non fregava. Un bruto. Molto bravoe very fast. Ci sono cattivi mediocri, lui non lo era. Puntava al bersaglio grosso. Era ripagato: vita da nababbo, 300 milioni di dollari in tasca. Tutti bruciati. In bancarotta dal 2003. Come e dove lo racconta nella sua autobiografia "True" (Piemme edizioni, dal 19 novembre in Italia) scritta con il giornalista Larry Sloman.
Una vita pesante: droghe, pugni, alcol, dolore, solitudine, tradimenti. Un angolo disperato. Da cui oggi implora di uscire.
Vuole una mano. «Sono diventato vecchio troppo presto e intelligente troppo tardi». Ha otto figli, una, Exodus, è morta a quattro anni nel 2009 strozzandosi per sbaglio con una corda.< Tyson, è stata una fatica scrivere? «È stata una sofferenza, riandare indietro a tutto quello che mi è successo. E non mi sono nemmeno censurato. Non ne esco per niente bene. Un egoista, un porco, un arrogante, un bullo, una merda, troppo ubriaco, quasi sempre drogato.
Erba e cocaina, insieme. Morfina. Allucinogeni. Malato di sesso. Abbonato alle orge, se non eravamo in venti non mi divertivo. Un manesco che sragionava. Per dirla con uno slogan: boxing, bitches and babies. Pugni, puttane,e bambini. Non mi sono mai sentito amato, a quel punto chissenefregava di comportarsi bene. Sono stato a Saint-Tropez, belle feste e yacht da sogno, ma c'erano solo bianchi. Mi sono sentito a disagio, io sono un topo da strada, vengo dal ghetto. Da ragazzo non sapevo nemmeno cosa fosse l'igiene, nessuno mi aveva detto che bisognava pulirsi il sedere. Nel libro non ci faccio una bella figura. Ma non mi importa: io rivendico il ghetto, gli appartengo, non mi vergogno».
Però Hollywood veniva ai suoi incontri.
«Adoro Barbra Streisand, anche lei è di Brooklyn. È sempre stata carina con me, le ho anche detto che ha un naso molto sexy. Con Naomi Campbell ci siamo attratti, eravamo tutti e due agli inizi, mi hanno subito detto che dovevo lasciar perdere, lei stava diventando una modella importante. Sono andato a Neverland da Michael Jackson che continuava a ripetermi quanto fosse importante riposarsi la notte e mi chiedeva: tu dormi? Come potevo sapere che si faceva fare delle pere micidiali per prendere sonno? Magic Johnson venne a testimoniare per me quando si trattò di ridarmi la licenza dopo il morso a Holyfield, ma le sue parole non mi piacquero per niente. Disse che voleva insegnarmi a diventare un uomo d'affari, che conoscevo i soldi, ma non li capivo, e li davo via.
Che c'è da capire sui soldi?
O li hai o non li hai».
E John Kennedy Jr. arrivò a trovarla in carcere.
«Nel '99 quando ero rifinito in prigione nel Maryland per un tamponamento, anche umano. Cinque mesi in cella. Conoscevo John da quando andava in bicicletta a New York, mi aveva invitato nell'ufficio dove pubblicava "George". John venne in aereo con l'istruttore.
Mi pregò di non dire alla sua famiglia della visita, non ero ben visto. Mi spiegò che era male aggredire verbalmente e fisicamente qualcuno. E che il mondo è pieno di stronzi da mandare a quel paese, ma dentro di te, senza urlare davanti alla gente.
Diceva che ero lì solo perché nero. Voleva portami con lui ad Aspen. Ma non ci sono neri ad Aspen, gli dissi. Ne convenne.
Allora gli chiesi di raccomandarmi a una sua cugina, governatrice del Maryland. Avevo già fatto quattro mesi, me ne aspettava un altro. Non la conosco, mi rispose. Ma se giocate insieme a football ad Hyannis Port, replicai. Sorrise e se ne andò.
Guarda caso, poco dopo fui liberato».
Le sue prigioni però non sono state un dramma.
«Tre anni per uno stupro non commesso. Ho fatto sesso sì, ne ero malato, ma in tante si sono approfittate e mi hanno fatto causa. Ho anche filmato i miei incontri a letto, ho comprato video porno nei negozi, usato il Viagra, dormito negli stripclub, ho tradito e ritradito, preferivo le spogliarelliste, già nude. Non ne vado fiero, ma l'ho fatto. In carcere mi incontravo con una donna, varie volte al giorno, usavo lo stratagemma del vestito allacciato con dei bottoncini. Ordinavo i pasti fuori, pure per gli altri. Se qualcuno aveva bisogno, risolvevo io. Pagavo anche i funerali dei miei amici che nel frattempo venivano uccisi. Chiamavo al telefono a carico del destinatario, poi mi sono anche procurato un cellulare. Il carcere non riabilita, anzi disabilita, diventi paranoico. Larry King venne ad intervistarmi, mi lamentai, non potevo mica dirgli la verità che Versace mi mandava gli inviti.Sono sempre stato un material boy». Tanto, tutto, troppo.
«Cafone, volgare, miserabile.
Ce l'ho scritto in faccia. Entravo nei negozi e compravo tutte le Rolls, le amplificazioni dentro costavano più dell'auto. Presi la casa più grande del Connecticut: 13 cucine, 19 stanze da letto, volevo metterci 19 ragazze, la mia camera era di oltre 600 metri quadrati, mi sembrava di essere Scarface. Per più di una settimana ho dimenticatoa terra una sacca con 100 mila dollari. Mi piaceva la storia dei grandi pugili: Jack Johnson, campione dei massimi, avvolgeva un fazzoletto attorno al pene per farlo sembrare più grande e suscitare l'invidia sessuale dei bianchi. Joe Louis si faceva di coca e di donne. Ma di lui nessuno parla male. Il cattivo sono sempre stato io, non i falsi buoni. In tutte le cliniche di disintossicazione che ho frequentato c'erano attori, cantanti artisti. Di loro non si sarebbe mai detto, eppure venivano da me a cercare roba. Io avevo tutto del tossico, ero riconoscibile, loro no. E questa è la gente che vuole insegnarmi come vivere? Si fottano con le loro belle maniere. Io sono scoppiato ogni volta che hanno tentato di rendermi mansueto. Non è la mia identità fare la scimmia ammaestrata. Prendete Holyfield: sul ring mi ha dato 15 testate, ma per tutti era un santo perché cantava i gospel. Mi hanno dovuto tenere in cinquanta. Ero una belva, molto più della mia tigre».
Che fine ha fatto Kenya?
gelosa di me. Dormivamo a letto insieme, la portavo ai miei incontri, la lasciavo in albergo e lei distruggeva la stanza. Ho dovuto comprare un camion con 18 ruote per trasportarla. Si è mangiata il tetto di una mia Maserati e ha mozzicato anche una signora che era venuta ad ammirarla. Gli animali sono strani, ti fanno avvicinare, e un bel giorno decidono che ne hanno abbastanza».
Las Vegas non è il posto migliore per una tigre.
«Nemmeno per un leone, stava in giardino, metteva pauraa tutti. Mi ha morsoa un braccio, all'ospedale mi hanno dato sei punti, non ho detto che era stato lui, anche se l'avrei ammazzato». Più bello stare lassù, in cima al mondo, o a terra? «Meglio ora. Senza gloria.
Non bevo più champagne, non ho la Ferrari ma sono più consapevole. Cerco di stare lontano dai guai, di non avere problemi, di non tradire mia moglie, di fare una vita normale. Mi sveglio presto, alle 4-5, faccio ginnastica, accompagno i bimbi a scuola, vado in palestra nel pomeriggio e la sera a nanna alle sette. Mi mantengo facendo l'ospite, documentari, pubblicità. Guardo avanti, ringrazio di non essermi preso l'Aids, con tutti i rapporti non protetti con professioniste del mestiere. Ho avuto fifa quando ho iniziato a perdere peso, anche perché io sono ciccione di natura, ho tempestato i dottori, invece era solo un'intossicazione alimentare presa a Cuba».
La boxe di Ali aveva altre letture. La sua?
«Non ero Ali. Sono un depresso cronico, lo era anche mia madre, morta alcolizzata, mia sorella, obesa, si è fatta un tiro di coca sbagliato, e non si è più risvegliata, io ho fumato l'eroina da ragazzo, da piccolo mi addormentavo con un bicchiere di gin Gordon, a 11 sono passato alla cocaina. Di cosa stiamo parlando? La mia lista di farmaci è stata sempre lunga: Decapote, Neurontin, Zyprexa, Abiligy, Cymbalta, Wellbutrin XL, Tricor, Zocor. A parte qualcosa per il colesterolo sono tutte droghe, stabilizzano l'umore. Mi battevo per me, per chi non ha soldi, ho rubato per comprarmi i vestiti per il funerale di mia madre, buttata lì senza una lapide. Mia madre non mi ha mai baciato, picchiava i suoi uomini, mai vista dare una carezza. Quando il reverendo Jackson mi ha ribattezzato, da grande, io mi sono portato a letto una corista, che avevo subito adocchiato. Volevate discorsi intelligenti sulla società?». Il pugilato l'ha salvata o condannata? « La boxe mi ha dato una grande opportunità. Non è colpa sua. Ancora non capisco come Cus D'Amato, che mi ha preso dal riformatorio e che per me è stato come un padre, abbia potuto vedere in me un campione del mondo. Avevo solo 13 anni, e nessuna autostima. Ma nella boxe ci sono squali e profittatori. Gente che si avvantaggia e guadagna su dolori e debolezze umane. I pugili sentono, mica sono scemi, D'Amato agli inizi mi aveva perfino portato da un ipnotizzatore». Come va la disintossicazione? «Sono pulito da due mesi e mezzo. Cerco tranquillità.
Quando muoio voglio una lapide con la scritta: Ora sono in pace. Chiedo il funerale più povero del mondo. Nessun abito bello, nemmeno la bara voglio, buttatemi nella polvere. Ma sono sicuro che i pugili del futuro verranno a trovarmi, così come io sono andato sulle tombe dei grandi del passato. Prima ero qualcosa. Ora mi basta essere qualcuno. Per me e la mia famiglia»..
Dico solo che l'articolo su tysn me lo fa sentire vicinissimo come l'imperatore indiano Ashoka che dopo tante guerre e strage di uomini si converti' al buddismo e prese ad erigere templi e non piu' eserciti e guerre
dal'unione sarda del 3\11\2013
Iosefa Idem, gloria poi dimissioni E il coraggio di ripartire dalla fine
di LUCA TELESE
Quel giorno, il 24 giugno del 2013, se lo ricorda bene: «Ero sul volo Dusseldolf-Roma. Ero andata in Germania per il matrimonio di mia sorella. In Italia esplodeva la polemica sulla mia casa. Quel giorno sono morta. Ero la ministra affondata, imprigionata nella fila numero otto. Piangevo. Le mie dimissioni erano diventate inevitabili». Non ne ha parlato a lungo, adesso lo racconta. Non ha voluto rispondere a nessuna domanda, adesso spiega.
IL PIANTO SOLITARIO Quel giorno Iosefa Idem, campionessa tedesca prima e italiana poi, quindi senatrice del Pd e infine ministra se lo ricorda bene: è il giorno in cui in quel pianto silenzioso nella
poltrona di un volo di linea è finita una delle sue tre vite. Il giorno dell'addio al governo. Oggi, pubblicando l'autobiografia, con il coraggio che i campioni veri hanno, ha deciso di partire da quella sconfitta, per raccontare (anche) le pagine più belle della sua carriera. Iosefa, per gli amici “Sefi”, ha intitolato il proprio libro Partiamo dalla fine (Mondadori, 245 pagine), proprio per dire questo: chi vince deve sempre saper ripartire dal fondo, da quello che non va, dalla cifra che non torna. Quando l'ho incontrata per intervistarla le ho fatto rivedere le immagini di quella sua ultima conferenza stampa a Palazzo Chigi, quella con cui - prima di quel viaggio in Germania - si era difesa ruggendo: «Mi hanno chiamata Sefi la furbetta dell'Imu... Mi hanno dato della puttana...». Per un attimo la Idem di oggi è rimasta interdetta guardandosi: «Non mi ero mai riguardata. E - ammette - oggi rivedendomi non mi piaccio. Non ero me stessa, non ero io. Ero una persona che si sentiva accusata ingiustamente e braccata dai media. Era vero che mi hanno braccata. Ma ho dato il peggio di me».
IL CASO IMU Adesso invece può parlare di quella vicenda: dell'Imu agevolata sulla sua seconda casa, delle polemiche feroci, della palestra che c'era dentro, dell'accusa di abuso edilizio. «Il giorno in cui ho visto Maradona fare il gesto dell'ombrello - mi dice - ho pensato: non posso sembrare nemmeno lontanamente come lui. Ho tutte le mie ottime ragioni, la mia spiegazione, ho pagato l'ammenda di tremila euro che mi hanno comminato, ma non posso confondermi con lui. Oggi dico: sulla casa ho sbagliato. Ma ho sbagliato perché non ho controllato abbastanza, non perché ho mentito. Ho sbagliato perché ho commesso una leggerezza e non ho controllato i miei collaboratori, non perché volessi nascondere qualcosa. Sulla vicenda della palestra - spiega la Idem - non sono stata incastrata da qualche indagine, ma dalla mia stessa richiesta di sanatoria, la Scia, che ho depositato perché ammettevo una irregolarità e mi offrivo di sanarla. Per la vicenda della residenza sono stata leggera - dice ancora - ma sarei pazza se, come ha ipotizzato qualcuno, avessi fatto figurare la mia residenza sotto un tetto diverso da quello di mio marito per risparmiare duecento euro l'anno!». Fa una pausa. «In ogni caso - conclude - posso essere orgogliosa di questo: in un paese in cui non si dimette nessuno, io per tutto questo ho pagato: ho lasciato un posto da ministra». E poi: «Fino a quella polemica la gente mi vedeva con l'aureola. Dopo per mesi ho sentito il peso di una gogna. Adesso sono in pace».
VITA COME UN ROMANZO Se però oggi vi parlo della Idem, è perché il suo Partiamo dalla fine non è solo uno slogan, ma anche il racconto avvincente di chi dopo aver raggiunto traguardi impensabili si volta indietro e prova a spiegare come ce l'ha fatta. È un viaggio intrigante, questo percorso a ritroso, anche per chi non è appassionato di sport o di atletica. Perché Iosefa ha una vita che pare un romanzo, o uno di quei film americani che partono male e finiscono con un lieto fine. Prima di vincere trentotto medaglie, infatti, prima di diventare l'unica donna (fino ad ora nessuna meglio di lei) che è riuscita a partecipare a otto diverse olimpiadi, la Idem è stata una ragazza capace di dubitare cento volte del proprio talento. Una atleta di cui a 24 anni, e prima che battesse ogni record di longevità, il suo allenatore tedesco arrivò a dire: «Iosefa ormai sei troppo anziana per diventare campionessa». Lei stessa dice di sé: «Ho un cuore da 56 battiti a riposo: certi campioni ne contano la metà. Ho una soglia anaerobica normale. L'emoglobina bassa, l'ematocrito di una casalinga». E ride. Dopo i primi anni di gare, il padre, uomo di provincia e di buonsenso arriva a dirle: «Senti, fai il concorso per diventare poliziotta: se con lo sport non riesci a combinare nulla, almeno un lavoro sicuro lo hai». E lei il concorso, quando era una atleta tedesca, lo fa e lo vince pure.
È vero però che la Idem ha cambiato paese, e cittadinanza, perché sente che il mondo, e la mentalità in cui è cresciuta non le bastano più. Ma il cuore di tutto sono quelle benedette partenze false. «Io, in tutta la mia vita, ho avuto sempre la partenza lenta: sono un diesel». La partenza lenta è quella che la frega in tuta la prima parte della carriera, nelle prime due olimpiadi combattute portando il tricolore tedesco. Il suo allenatore tedesco la tempesta di allenamenti, le impone uno stile da caserma, le fa crescere dentro insicurezze e dubbi.
SCEGLIE L'ITALIA Poi la svolta. Conosce il suo futuro marito, Guglielmo, un romagnolo che allena una squadra di pallavolo. Sceglie insieme lui e l'Italia. Insieme inventano un nuovo metodo. La Idem prende la cittadinanza italiana. Cambia il lavoro sul corpo, ma soprattuto quello sulla sua testa: «Sono quello che sono perché ho sommato al rigore tedesco la fantasia italiana. Oggi so che l'agonismo sportivo è come un muscolo: se vai in canoa pensando solo al risultato sei sempre in lotta tra i tuoi muscoli e la tua volontà. Ma il muscolo contratto - osserva la Idem - è un muscolo che fatica di più, e alla fine si spezza». Cambiare paese significa cambiare vita: trovare un nuovo metodo di allenamento con Guglielmo, dire addìo ai ritiri-prigione, fare dei figli, e portarseli sorridendo in giro per il mondo come pochi altri. «In una olimpiade mio marito si arrabbia: non puoi rimanere concentrata se ti svegli la notte per il piccolo. Lo farò io». Così la Idem riesce a partire più veloce, a passare dal bronzo all'oro, ad arrivare a quella ultima olimpiade, nel 2012: «A Londra sono arrivata quinta- sorride - ma alla mia età per me è stato come prendere un oro». Perché questa è l'ultima lezione: «I traguardi non sono tutti uguali». Adesso la Idem fa la senatrice. Sa che il suo difetto è sempre partire lenta. Ma ha imparato che sulla sua canoa - come nella vita di tutti - chi non perde il controllo e l'equilibrio arriva sempre lontano.
da repubblica del 4\11\2013
Mike Tyson a 47 anni è un uomo diverso dalla “belva” campione del mondo dei pesi massimi. Ora si confessa in un libro. Emanuela Audisio l’ha incontrato a New York
Mike Tyson, c'era una belva: "Cerco solo tranquillità gettatemi nella polvere"
Mike Tyson Arrogante, rabbioso e violento, picchiatore sul ring, disperato fuori: una vita di pugni e droga, alcol e solitudine. L'ex pugile si confessa mentre esce la sua autobiografia
dalla nostra inviata EMANUELA AUDISIO
Mike, c'era una belva Cerco solo tranquillità gettatemi nella polvere
NEW YORK - La sua arroganza sul ring era splendida. Una rabbia genuina, i sottotitoli non servivano. Un mostro attraente. Brutto, sporco, cattivo. Ora ha gli occhi bui, le cosce grosse, e sbadiglia spesso. Un animale stanco che sbatte tristemente la coda. Da campione dell'eccesso a uomo dimesso. Letargico, cloroformizzato. Chiede un piatto di spaghetti con gamberetti. La solita voce da gattina. Il tatuaggio maori che copre metà del viso non mette più paura, un vecchio graffito stinto. Più vere le cicatrici sulle sopracciglia. Mike Tyson, 47 anni, tanti soprannomi, da King-Kong al Cannibale, da Iron Mike a conte Ugolino della boxe. Ma anche tanta sostanza: il più giovane campione mondiale dei massimi della storia a soli 20 anni. Un picchiatore, il re dei ko: 44 in 58 incontri. Vi staccava la testa senza problemi. Pure l'orecchio, masticato e sputato come un chewing-gum. Se soffrivate, meglio. A lui non fregava. Un bruto. Molto bravo e very fast. Ci sono cattivi mediocri, lui non lo era. Puntava al bersaglio grosso. Era ripagato: vita da nababbo, 300 milioni di dollari in tasca. Tutti bruciati. In bancarotta dal 2003. Come e dove lo racconta nella sua autobiografia "True" (Piemme edizioni, dal 19 novembre in Italia) scritta con il giornalista Larry Sloman. Una vita pesante: droghe, pugni, alcol, dolore, solitudine, tradimenti. Un angolo disperato. Da cui oggi implora di uscire. Vuole una mano.
La sua arroganza sul ring era splendida. Una rabbia genuina, i sottotitoli non servivano. Un mostro attraente. Brutto, sporco, cattivo. Ora ha gli occhi bui, le cosce grosse,e sbadiglia spesso. Un animale stanco che sbatte tristemente la coda. Da campione dell'eccesso a uomo dimesso.
Letargico, cloroformizzato. Chiede un piatto di spaghetti con gamberetti. La solita voce da gattina. Il tatuaggio maori che copre metà del viso non mette più paura, un vecchio graffito stinto. Più vere le cicatrici sulle sopracciglia.
Mike Tyson, 47 anni, tanti soprannomi, da King-Kong al Cannibale, da Iron Mike a conte Ugolino della boxe. Ma anche tanta sostanza: il più giovane campione mondiale dei massimi della storia a soli 20 anni. Un picchiatore, il re dei ko: 44 in 58 incontri. Vi staccava la testa senza problemi. Pure l'orecchio, masticato e sputato come un chewing-gum. Se soffrivate, meglio. A lui non fregava. Un bruto. Molto bravoe very fast. Ci sono cattivi mediocri, lui non lo era. Puntava al bersaglio grosso. Era ripagato: vita da nababbo, 300 milioni di dollari in tasca. Tutti bruciati. In bancarotta dal 2003. Come e dove lo racconta nella sua autobiografia "True" (Piemme edizioni, dal 19 novembre in Italia) scritta con il giornalista Larry Sloman.
Una vita pesante: droghe, pugni, alcol, dolore, solitudine, tradimenti. Un angolo disperato. Da cui oggi implora di uscire.
Vuole una mano. «Sono diventato vecchio troppo presto e intelligente troppo tardi». Ha otto figli, una, Exodus, è morta a quattro anni nel 2009 strozzandosi per sbaglio con una corda.<
Erba e cocaina, insieme. Morfina. Allucinogeni. Malato di sesso. Abbonato alle orge, se non eravamo in venti non mi divertivo. Un manesco che sragionava. Per dirla con uno slogan: boxing, bitches and babies. Pugni, puttane,e bambini. Non mi sono mai sentito amato, a quel punto chissenefregava di comportarsi bene. Sono stato a Saint-Tropez, belle feste e yacht da sogno, ma c'erano solo bianchi. Mi sono sentito a disagio, io sono un topo da strada, vengo dal ghetto. Da ragazzo non sapevo nemmeno cosa fosse l'igiene, nessuno mi aveva detto che bisognava pulirsi il sedere. Nel libro non ci faccio una bella figura. Ma non mi importa: io rivendico il ghetto, gli appartengo, non mi vergogno».
Però Hollywood veniva ai suoi incontri.
«Adoro Barbra Streisand, anche lei è di Brooklyn. È sempre stata carina con me, le ho anche detto che ha un naso molto sexy. Con Naomi Campbell ci siamo attratti, eravamo tutti e due agli inizi, mi hanno subito detto che dovevo lasciar perdere, lei stava diventando una modella importante. Sono andato a Neverland da Michael Jackson che continuava a ripetermi quanto fosse importante riposarsi la notte e mi chiedeva: tu dormi? Come potevo sapere che si faceva fare delle pere micidiali per prendere sonno? Magic Johnson venne a testimoniare per me quando si trattò di ridarmi la licenza dopo il morso a Holyfield, ma le sue parole non mi piacquero per niente. Disse che voleva insegnarmi a diventare un uomo d'affari, che conoscevo i soldi, ma non li capivo, e li davo via.
Che c'è da capire sui soldi?
O li hai o non li hai».
E John Kennedy Jr. arrivò a trovarla in carcere.
«Nel '99 quando ero rifinito in prigione nel Maryland per un tamponamento, anche umano. Cinque mesi in cella. Conoscevo John da quando andava in bicicletta a New York, mi aveva invitato nell'ufficio dove pubblicava "George". John venne in aereo con l'istruttore.
Mi pregò di non dire alla sua famiglia della visita, non ero ben visto. Mi spiegò che era male aggredire verbalmente e fisicamente qualcuno. E che il mondo è pieno di stronzi da mandare a quel paese, ma dentro di te, senza urlare davanti alla gente.
Diceva che ero lì solo perché nero. Voleva portami con lui ad Aspen. Ma non ci sono neri ad Aspen, gli dissi. Ne convenne.
Allora gli chiesi di raccomandarmi a una sua cugina, governatrice del Maryland. Avevo già fatto quattro mesi, me ne aspettava un altro. Non la conosco, mi rispose. Ma se giocate insieme a football ad Hyannis Port, replicai. Sorrise e se ne andò.
Guarda caso, poco dopo fui liberato».
Le sue prigioni però non sono state un dramma.
«Tre anni per uno stupro non commesso. Ho fatto sesso sì, ne ero malato, ma in tante si sono approfittate e mi hanno fatto causa. Ho anche filmato i miei incontri a letto, ho comprato video porno nei negozi, usato il Viagra, dormito negli stripclub, ho tradito e ritradito, preferivo le spogliarelliste, già nude. Non ne vado fiero, ma l'ho fatto. In carcere mi incontravo con una donna, varie volte al giorno, usavo lo stratagemma del vestito allacciato con dei bottoncini. Ordinavo i pasti fuori, pure per gli altri. Se qualcuno aveva bisogno, risolvevo io. Pagavo anche i funerali dei miei amici che nel frattempo venivano uccisi. Chiamavo al telefono a carico del destinatario, poi mi sono anche procurato un cellulare. Il carcere non riabilita, anzi disabilita, diventi paranoico. Larry King venne ad intervistarmi, mi lamentai, non potevo mica dirgli la verità che Versace mi mandava gli inviti.Sono sempre stato un material boy». Tanto, tutto, troppo.
«Cafone, volgare, miserabile.
Ce l'ho scritto in faccia. Entravo nei negozi e compravo tutte le Rolls, le amplificazioni dentro costavano più dell'auto. Presi la casa più grande del Connecticut: 13 cucine, 19 stanze da letto, volevo metterci 19 ragazze, la mia camera era di oltre 600 metri quadrati, mi sembrava di essere Scarface. Per più di una settimana ho dimenticatoa terra una sacca con 100 mila dollari. Mi piaceva la storia dei grandi pugili: Jack Johnson, campione dei massimi, avvolgeva un fazzoletto attorno al pene per farlo sembrare più grande e suscitare l'invidia sessuale dei bianchi. Joe Louis si faceva di coca e di donne. Ma di lui nessuno parla male. Il cattivo sono sempre stato io, non i falsi buoni. In tutte le cliniche di disintossicazione che ho frequentato c'erano attori, cantanti artisti. Di loro non si sarebbe mai detto, eppure venivano da me a cercare roba. Io avevo tutto del tossico, ero riconoscibile, loro no. E questa è la gente che vuole insegnarmi come vivere? Si fottano con le loro belle maniere. Io sono scoppiato ogni volta che hanno tentato di rendermi mansueto. Non è la mia identità fare la scimmia ammaestrata. Prendete Holyfield: sul ring mi ha dato 15 testate, ma per tutti era un santo perché cantava i gospel. Mi hanno dovuto tenere in cinquanta. Ero una belva, molto più della mia tigre».
Che fine ha fatto Kenya?
gelosa di me. Dormivamo a letto insieme, la portavo ai miei incontri, la lasciavo in albergo e lei distruggeva la stanza. Ho dovuto comprare un camion con 18 ruote per trasportarla. Si è mangiata il tetto di una mia Maserati e ha mozzicato anche una signora che era venuta ad ammirarla. Gli animali sono strani, ti fanno avvicinare, e un bel giorno decidono che ne hanno abbastanza».
Las Vegas non è il posto migliore per una tigre.
«Nemmeno per un leone, stava in giardino, metteva pauraa tutti. Mi ha morsoa un braccio, all'ospedale mi hanno dato sei punti, non ho detto che era stato lui, anche se l'avrei ammazzato». Più bello stare lassù, in cima al mondo, o a terra? «Meglio ora. Senza gloria.
Non bevo più champagne, non ho la Ferrari ma sono più consapevole. Cerco di stare lontano dai guai, di non avere problemi, di non tradire mia moglie, di fare una vita normale. Mi sveglio presto, alle 4-5, faccio ginnastica, accompagno i bimbi a scuola, vado in palestra nel pomeriggio e la sera a nanna alle sette. Mi mantengo facendo l'ospite, documentari, pubblicità. Guardo avanti, ringrazio di non essermi preso l'Aids, con tutti i rapporti non protetti con professioniste del mestiere. Ho avuto fifa quando ho iniziato a perdere peso, anche perché io sono ciccione di natura, ho tempestato i dottori, invece era solo un'intossicazione alimentare presa a Cuba».
La boxe di Ali aveva altre letture. La sua?
«Non ero Ali. Sono un depresso cronico, lo era anche mia madre, morta alcolizzata, mia sorella, obesa, si è fatta un tiro di coca sbagliato, e non si è più risvegliata, io ho fumato l'eroina da ragazzo, da piccolo mi addormentavo con un bicchiere di gin Gordon, a 11 sono passato alla cocaina. Di cosa stiamo parlando? La mia lista di farmaci è stata sempre lunga: Decapote, Neurontin, Zyprexa, Abiligy, Cymbalta, Wellbutrin XL, Tricor, Zocor. A parte qualcosa per il colesterolo sono tutte droghe, stabilizzano l'umore. Mi battevo per me, per chi non ha soldi, ho rubato per comprarmi i vestiti per il funerale di mia madre, buttata lì senza una lapide. Mia madre non mi ha mai baciato, picchiava i suoi uomini, mai vista dare una carezza. Quando il reverendo Jackson mi ha ribattezzato, da grande, io mi sono portato a letto una corista, che avevo subito adocchiato. Volevate discorsi intelligenti sulla società?». Il pugilato l'ha salvata o condannata? « La boxe mi ha dato una grande opportunità. Non è colpa sua. Ancora non capisco come Cus D'Amato, che mi ha preso dal riformatorio e che per me è stato come un padre, abbia potuto vedere in me un campione del mondo. Avevo solo 13 anni, e nessuna autostima. Ma nella boxe ci sono squali e profittatori. Gente che si avvantaggia e guadagna su dolori e debolezze umane. I pugili sentono, mica sono scemi, D'Amato agli inizi mi aveva perfino portato da un ipnotizzatore». Come va la disintossicazione? «Sono pulito da due mesi e mezzo. Cerco tranquillità.
Quando muoio voglio una lapide con la scritta: Ora sono in pace. Chiedo il funerale più povero del mondo. Nessun abito bello, nemmeno la bara voglio, buttatemi nella polvere. Ma sono sicuro che i pugili del futuro verranno a trovarmi, così come io sono andato sulle tombe dei grandi del passato. Prima ero qualcosa. Ora mi basta essere qualcuno. Per me e la mia famiglia»..
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