Era il 18 agosto 2015 quando Vincenzo Curtale è diventato, suo malgrado, un piccolo grande eroe di Giampaolo Cassitta

 Era il 18 agosto 2015 quando Vincenzo Curtale è diventato, suo malgrado, un piccolo grande eroe salvando la vita ad altri ed offrendo la sua. Questo pezzo uscì sulla Nuova Sardegna e ve lo ripropongo per riflettere, per amare il mare e per rispettarlo.

E per ricordare gli eroi.
Bisogna amarlo molto il mare. Occorre sentirne il frastuono anche quando è calmo, riconoscerne gli umori, assaporare i colori che disegnano tutto il nostro orizzonte. Dal mare non si fugge. Lo sa chi arriva sulla battigia a scrutare tramonti e sperare che all’alba qualcuno o qualcosa ti trasporti verso
un’altra terra, verso un’altra vita. Lo sanno i marinai che raccolgono amori e regalano promesse, tra i porti gonfi di salsedine e di odori tra il fritto e la malinconia. Lo sanno i sardi che lo vivono dalla nascita come un solco azzurro adatto alla solitudine e alla bellezza. Il mare si muove. Per questo va ascoltato. I turisti dedicano un approccio fugace ai contorni. In vacanza conta vivere intensamente l’attimo e postarlo sul social, affinché tutti possano ammirare il luogo e la percentuale di azzurro e di limpidezza del mare che incontri. Come quello di Sardegna. Il mare trasporta. I bambini lo sanno e raccolgono metri cubi di spiaggia, costruiscono paesaggi fantastici che, come d’incanto, quel mare sornione e silente, pian piano riporterà nel suo ventre. Il mare si rispetta. Lo dicono i vecchi e lo insegnano ai giovani. Ma i giovani, a volte, non ascoltano. Non solo. Ci sono giovani cresciuti e rimasti piccoli ed esuberanti, con il viso stagliato per la sfida perenne: uomini capaci di sfidare il drago con le proprie mani. Ma non conoscono il mare. Non sanno della forza e della costanza dell’acqua, della naturale ed egoistica propensione a raccogliere tutto, a limarlo e arrotondarlo. Questo fa il mare e lo fa inconsapevolmente: elimina gli angoli delle cose. Lentamente ma inesorabilmente. Bisogna amarlo molto il mare e rispettarlo. Lo osservi lontano e ne misuri le onde, quelle braccia che accolgono e ti spostano. Diventi un fuscello quasi invisibile nella schiuma, diventi conchiglia da levigare. Il rispetto ti porta a contemplarlo in silenzio quel mare. Ecco: tra le tante cose che non si riescono mai a fare d’estate è quello di sedersi sulla battigia e registrare il rumore del mare. Non si ha mai tempo per queste cose. Ci servono i tuffi e la sfida tra noi e lui. Eppure, a ben leggere, ci sono sempre racconti terribili, di un mare cattivo e nemico che ha ucciso uomini e donne. Anche bambini. Ma il mare, per alcuni, è solo lo strumento per coltivare speranze. Sono i mezzi con i quali si affronta ad essere sbagliati. Figuriamoci, poi, se si sfida così, a mani nude, per una nuotata tra le onde alte e spumose, per un’istantanea da regalare agli amici che potrebbe diventare l’ultima foto della tua vita. Come è accaduto a Cabras, nella penisola del Sinis, mare forte e dolce, lento e smisurato ma quando si muove, da rispettare. Vincenzo Curtale, un uomo di 41 anni, sardo, con addosso il rumore del mare lo aveva capito subito. Non faceva il bagno. C’erano altri a farlo. Ad ingoiare onde e sorridere dentro un’acqua che avvolgeva e ti allontanava dalla riva. Lui, ha capito quello che stava per accadere. Lui ed altri amici si sono buttati dentro quell’acqua forte e rigogliosa nel tentativo di salvare chi, invece, quell’acqua non l’aveva saputa non solo sentire, ma neppure osservare. Non c’è riuscito. Ha salvato gli altri ma lui non è morto. Da quell’acqua è nata la tragedia, la polemica sui soccorsi, l’impossibilità di presidiare tutte le coste della Sardegna. Perché è sempre così: la colpa è sempre di qualcun altro. Se c’è un incidente cerchiamo l’Anas, se tuo figlio di sedici anni muore per una pastiglia di ecstasy, la colpa è della discoteca. Adesso la polemica è legata alla mancanza di soccorsi, in un luogo quasi solitario, non il lido di Alghero o Platamona o al Poetto. Bisogna amarlo molto il mare. E rispettarlo e capire quando si può affrontare con un sorriso e quando, con lo stesso sorriso, si deve solo fotografare. Per questo eroe moderno ci saranno solo poche parole. Il mare avrà anche i suoi occhi, come quelli di molti migranti. E’ un quadro di Picasso, il mare. Da contemplare e da decifrare.

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