STORIE DI COVID La specialista di un grande ospedale di Torino a 40 anni vuole lasciare la sanità pubblica

  DA  REPUBBLICA   12\11\2020 

La specialista di un grande ospedale di Torino a 40 anni vuole lasciare la sanità pubblica: "Siamo sfiniti e adirati, quanto sta succedendo, dopo l'emergenza dello scorso marzo, non è accettabile"


 Torino -  Maria non vuole rivelare il suo nome, vuole licenziarsi e ne ha parlato con il sindacato. "Ho chiesto un congedo, ma ho deciso, lascio la sanità pubblica. Così non è più possibile andare avanti". Ha 40 anni, è specialista di area medica e lavora in un grande ospedale torinese. Le sue parole sono taglienti. Ad abbandonare la vita dell'ospedale per andare nel privato, ammette, aveva già pensato poco prima che il Covid arrivasse a sconvolgere la vita di medici e infermieri "perché - spiega - da tempo assisto a scelte che compromettono l'efficacia del nostro lavoro". Ora però quel proposito è diventato ben più di una tentazione.Il suo non è solo il racconto, più volte ascoltato in primavera, di una immensa stanchezza per i turni che saltano e le direttive che cambiano di continuo, dello scoramento e dell'empatia per il dolore dei pazienti, il senso di colpa per i figli piccoli trascurati. La fatica c'è, il senso di colpa pure, ma a prevalere adesso è lo sconforto per quello che si sarebbe potuto fare e non è stato fatto, la delusione per i pazienti che non sono ammalati di Covid e non potranno essere seguiti. Anche la paura di non essere all'altezza quando questa volta c'era il tempo per prepararsi: "Siamo sfiniti e adirati. Il reparto dove lavoro è diventato Covid e non lo era durante la prima ondata, ma nessuno questa estate ha pensato di organizzare qualche corso di formazione per insegnarci un mestiere che non sappiamo fare. Allora il disagio era accettabile, ora no. Tutto era totalmente prevedibile, inutile raccontarcela. Se ci fosse stata una pianificazione durante i mesi di tranquillità adesso saremmo più sicuri, non avremmo addosso questa sensazione di costante incertezza".


Le decisioni, dice ancora "non sono prese di giorno in giorno, ma di minuto in minuto. Respingo questa idea dell'emergenza e sono certa che a pensarla come me sono tutti i miei colleghi". Il rapporto con i pazienti è diventato più difficile e anche in questo caso Maria non fa sconti: "Chi non è ammalato di Covid è molto arrabbiato, deve rinunciare a visite e esami, in molti casi gli stessi che erano stati annullati mesi fa. Un diritto negato che genera intolleranza. Io capisco la loro rabbia. I pazienti Covid invece sono lì spaesati, le cure sono certamente garantite ma la modalità è quella di una maxi-emergenza, con standard che sarebbero scarsamente accettabili in una condizione ordinaria". Chi parla di missione del medico "non mi trova d'accordo. Per questo me ne vado. La nostra è una professione. Siamo chiamati a una grande responsabilità a cui non ci siamo mai sottratti, ma non siamo missionari".

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