Oltre 215mila beni sequestrati alle mafie, ma l'arma della confisca è spuntata da burocrazie e risparmi

 da republica  online 

Le misure di prevenzione patrimoniale, introdotte dalla legge Rognoni-La Torre e oggi disciplinate dal codice antimafia (artt. 16 ss.) costituiscono uno strumento fondamentale nel contrasto alla criminalità organizzata, perché consentono di
acquisire i patrimoni accumulati con i proventi di attività illecite. Il sequestro (si tratta di oltre 215.000 beni dal 1997 al 2020, che non includono peraltro quelli sequestrati nei processi penali ordinari: soprattutto immobili, ma anche autovetture, aziende etc.) non solo colpisce la forza economica dei clan mafiosi ma ne indebolisce la capacità di infiltrazione nel tessuto economico e sociale ed il consenso fondato sulla distribuzione di posti di lavoro.

Le disposizioni del codice antimafia acquistano ancora più importanza se si considera che la perdita dei beni viene percepita dalle organizzazioni criminali, come risulta dalle intercettazioni telefoniche, in termini addirittura superiori alle stesse misure di custodia cautelare o di condanna penale, per la perdita di prestigio sociale e di potere di fronte agli associati. Un ulteriore salto di qualità è rappresentato dalle norme che prevedono la destinazione di beni simbolo del potere criminale per fini di utilità pubblica o sociale, offrendo così nuove opportunità di lavoro e di sviluppo sociale nei territori dove sono ubicati.

La procedura di confisca e destinazione dei beni

Il sequestro dei beni appartenenti ai boss mafiosi è disposto dalla sezione misure di prevenzione del tribunale: nel periodo 2010-2020 si registra una media annua di 500 nuovi procedimenti di prevenzione (che riguardano generalmente una pluralità di beni), con una crescita significativa, negli ultimi anni, delle misure di prevenzione adottate dagli uffici giudiziari dell’Italia settentrionale, a ulteriore conferma della forte presenza delle organizzazioni criminali in aree diverse da quelle di radicamento tradizionale. Molto rilevanti i dati sulle confische relative a beni ubicati nel Lazio (e soprattutto a Roma) e in Sicilia.

Con il sequestro il bene è sottratto alla disponibilità dei loro proprietari;  viene contestualmente nominato un amministratore giudiziario per la gestione provvisoria e la manutenzione ed il giudice competente a coordinare e verificarne l’attività. Si tratta di una fase molto importante perché occorre risolvere una serie di rilevanti problemi. Per i beni immobili si devono verificare i diritti dei terzi (ad esempio il bene può essere occupato dal nucleo familiare del soggetto cui il bene è stato confiscato o da un soggetto agli arresti domiciliari) e lo stato dei beni (sanatoria degli abusi esistenti, realizzazione delle opere di ristrutturazione e manutenzione, messa a norma degli impianti etc.). Per le aziende si tratta di riavviare in tempi brevi l’attività, procedendo anche alla liquidazione dei creditori, superando le difficoltà che emergono spesso per l’interruzione delle linee di credito e per il “costo” derivante dalla “emersione dalla illegalità”: le aziende confiscate sopravvivevano spesso in situazioni di palese illegalità (lavoro nero o comunque irregolare, con mancato versamento contributi; evasione fiscale; emissione di fatture false; inosservanza delle disposizioni sulla sicurezza dei luoghi di lavoro; riciclaggio proventi illeciti, assenza di scritture contabili), rappresentando perciò un ostacolo alla libera concorrenza, con danni rilevantissimi per le imprese che invece rispettano tutti gli adempimenti previsti dalle norme di legge.

Quando la confisca è definitiva  l’Agenzia nazionale per i beni confiscati può procedere alla destinazione dei beni agli enti locali o ad altre amministrazioni pubbliche a fini istituzionali o sociali, a seguito di un’attenta valutazione delle manifestazioni d’interesse e dei progetti di riutilizzo da parte dei soggetti interessati; i beni possono essere gestiti direttamente oppure affidati in concessione, tramite avviso pubblico, alle associazioni che ne fanno richiesta; gli immobili potranno essere anche locati a persone che versano in particolare condizione di disagio economico e sociale. La legge prevede inoltre possibilità di vendita al miglior offerente: le ipotesi più frequenti sono quelle delle aziende che non risultano in grado di sopravvivere in una condizione di piena legalità ovvero di immobili non riutilizzabili perché in pessime condizioni. Si ricorre inoltre alla vendita per soddisfare le richieste legittime dei creditori.

Aspetti problematici

Come affermato dal ministro della Giustizia in Commissione antimafia, Marta Cartabia, “l’Italia è considerata dagli altri Paesi un modello nella lotta alle mafie…. la legislazione riguardante la gestione dei beni tolti ai criminali è considerata da tutti un patrimonio e un pilastro fondamentale, sia per la sua capacità effettiva di generare ricchezza, sia anche per il suo valore simbolico. Un bene, un’azienda, un immobile sottratto alla criminalità organizzata e restituito alla collettività è un messaggio forte che lo Stato manda alle organizzazioni criminali e soprattutto ai cittadini”.

Peraltro, a fronte dell’enorme patrimonio dei beni sequestrati alle organizzazioni mafiose, e l’impegno della magistratura nell’esecuzione delle indagini patrimoniali realizzate nei procedimenti di prevenzione, sono emersi una serie di rilevanti problemi, che hanno ostacolato una compiuta attuazione della normativa. 

Un primo elemento negativo, ai fini di una esatta valutazione dei meccanismi di sequestro e riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie, è rappresentato dalla mancata integrazione dei diversi sistemi informativi, che ostacola anche la trasmissione in via telematica della documentazione tra le diverse amministrazioni; come affermato dalle stesse relazioni semestrali del ministero della giustizia (l’ultima relazione riporta i dati disponibili al 31 dicembre 2021), i dati della Banca centrale del ministero sono ancora largamente incompleti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, e non consentono di avere un quadro effettivo ed aggiornato della situazione processuale dei singoli beni oggetto di sequestro e dei problemi emersi nel corso della gestione provvisoria né di conoscere puntualmente il loro valore. 

Un secondo aspetto riguarda i tempi estremamente lunghi che intercorrono tra il primo sequestro, la confisca e la destinazione finale del bene, che favoriscono in molti casi il degrado e l’occupazione abusiva dei beni (si registrano anche atti di vandalismo da parte dei soggetti a cui l’immobile è stato sequestrato) e quindi pregiudicano il loro successivo riutilizzo; la celerità delle procedure assume ancora più importanza con riferimento alle aziende sequestrate. In base ai dati dell’ultima relazione del ministero della giustizia il 41% dei sequestri è poi oggetto a confisca; e, rispetto al totale dei beni confiscati, la percentuale di quelli effettivamente destinati è inferiore al 10 per cento. 

Procedure farraginose

Ciò è dovuto, innanzitutto, alla complessità delle procedure (la recente relazione della Commissione antimafia formula una serie di proposte per coniugare efficienza e trasparenza delle procedure con la tutela dei soggetti che subiscono il sequestro) e alle carenze dei sistemi informatici; inoltre, solo a molti anni di distanza dalla sua istituzione (2010), si sta finalmente procedendo alla copertura integrale dei larghi vuoti di organico dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, ciò che ha avuto inevitabili riflessi negativi sull’attività istruttoria necessaria per una sollecita e corretta individuazione della migliore destinazione. Sarebbe inoltre molto utile un maggior ricorso all’assegnazione provvisoria dei beni immobili, al fine di evitare il loro degrado e l’accumulo di debiti dovuti al mancato pagamento delle rate condominiali.

Ed ulteriori rilevanti problemi emergono anche con riferimento ai beni che sono formalmente affidati alle Regioni, agli enti locali ed alle altre amministrazioni ma che non risultano però riutilizzati (una prima stima elaborata dall’Agenzia per i beni confiscati indica una percentuale di beni effettivamente riutilizzati del 50%). Ciò è dovuto all’insufficiente preparazione ed interesse delle amministrazioni locali, in particolare quelle di piccole dimensioni (le amministrazioni locali spesso non conoscono nemmeno i beni disponibili nel proprio territorio: a febbraio 2021 poco più di un terzo degli enti locali interessati aveva chiesto l’accesso alla banca dati dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati) e all’assenza di adeguati finanziamenti per i progetti di riutilizzo sociale: in mancanza di risorse economiche per le spese di ristrutturazione e gli oneri di gestione, le associazioni non partecipano alle gare ovvero restituiscono in tempi brevi il bene loro assegnato.

Le risorse da sbloccare

Da questo punto di vista, in aggiunta ai finanziamenti già previsti dal PNRR, dai fondi europei e dalle leggi ordinarie (tuttora utilizzati sono parzialmente), nonché alle risorse messe a disposizioni dalle Fondazioni, appare essenziale risolvere il problema dell’utilizzo delle risorse liquide confluite nel Fondo Unico Giustizia (denaro, valori e titoli sequestrati, somme derivanti dalla vendita degli immobili etc.), che ammontano ad una cifra complessiva di oltre 4 miliardi di euro, destinando una quota consistente di tali risorse al riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie nonché a soddisfare i creditori in buona fede. Andranno inoltre utilizzate le opportunità previste dalla legge di ricorrere a forme consortili tra i comuni o di “mettere a reddito” i beni immobili destinati, rispettando naturalmente il vincolo di destinazione a fini sociali della relativa rendita finanziaria. Ed è importante altresì che la manifestazione di interesse degli enti locali sia sempre preceduta (e non seguita) da una verifica della effettiva disponibilità dei soggetti privati interessati, in modo da fondare su basi concrete il progetto di riutilizzo del bene. Da questo punto di vista va vista con favore l’istituzione di momenti di confronto tra amministrazioni statali, regionali, locali e associazioni del terzo settore che faciliti la predisposizione di progetti di riutilizzo dei beni socialmente validi e realmente sostenibili: un esempio significativo è rappresentato dal Forum cittadino sulle politiche in materia dei beni confiscati alla criminalità organizzata di Roma capitale

Un’attenzione particolare merita sicuramente il tema della riconversione delle aziende confiscate. I dati sul campione di 2.796 aziende, già in gestione dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati, evidenziano una fortissima presenza di imprese collegate alla criminalità organizzata nei settori dell’edilizia, del commercio e dei servizi di alloggio e ristorazione.

In questo ambito un impegno specifico merita il riutilizzo dei terreni agricoli confiscati alla criminalità organizzata, che assume una rilevanza ancor maggiore nell’attuale fase di crisi internazionale degli approvvigionamenti alimentari. Come già detto, si pone per molte di tali aziende un “costo della emersione dall’illegalità”: le difficoltà nel reperire le risorse necessarie per il riavvio dell’attività in un sistema concorrenziale conduce spesso alla liquidazione delle imprese, a partire da quelle a conduzione familiare e alle ditte individuali. Si tratta di un tema molto importante, che necessita l’adozione, da parte degli amministratori giudiziari, di misure tempestive di rilancio dell’’impresa, perché il sequestro determina inevitabilmente un rapido processo di deterioramento della situazione finanziaria ed economica, con conseguenti riflessi negativi dal punto di vista occupazionale.

Si corre cioè il rischio che l’intervento dello Stato, agli occhi dei lavoratori dell’azienda sequestrata, sia percepito come la causa della perdita del posto di lavoro e non costituisca invece l’occasione per ottenere finalmente condizioni di lavoro e di retribuzione regolari. Anche a tale proposito la relazione della Commissione antimafia illustra alcune misure utili a garantire il mantenimento delle linee di credito per le aziende confiscate che hanno avviato il percorso per un ritorno alla legalità. Storie di mafia assicurerà un costante lavoro di informazione sullo sforzo compiuto da tante amministrazioni pubbliche ed associazioni per assicurare nuovi servizi alla collettività tramite il riutilizzo dei beni confiscati.

 

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