leggendo , le cronache spesso feticiste , della strage di tempio pausania , sulla nuova nuova sardegna Olbia-Gallura del 20\5\2014 mi sono imbattuto in questo articolo .
Descrive un epoca di mezzo fra calcio puro e calcio corrotto , cioè u quando la corruzione stava iniziando a prendere piede ecco perchè come tag ho scelto calciopoli antelitteram ) . Insomma un epoca che se ne và e che rimane solo nei ricordi .
Nella chiesa di San Paolo i funerali dello storico allenatore dell’Olbia. Una vita dedicata ai valori sani dello sport Una maglia bianca per l’addio a Palleddu
Descrive un epoca di mezzo fra calcio puro e calcio corrotto , cioè u quando la corruzione stava iniziando a prendere piede ecco perchè come tag ho scelto calciopoli antelitteram ) . Insomma un epoca che se ne và e che rimane solo nei ricordi .
Nella chiesa di San Paolo i funerali dello storico allenatore dell’Olbia. Una vita dedicata ai valori sani dello sport Una maglia bianca per l’addio a Palleddu
OLBIA Non ha fatto in tempo a rivedere l’Olbia nella serie C unica. La
sua Olbia è uscita troppo presto dai playoff per un posto nel calcio che
conta. Quel mondo in cui lui, Palleddu Degortes, l’aveva portata nel
1968. Più forte degli avversari, più forte della slealtà sportiva del
Latina. Perché, calcisticamente parlando, il suo nome sarà per sempre
legato a quell’impresa. L’Olbia del primo boom economico che salta il
Tirreno per sfidare Ascoli, Siena, Empoli, e poi il Genoa... Una
piccola, grande epopea. Perché sì, è stato l’allenatore di molte
squadre, dalla Nuorese al Calangianus, e ovunque ha lasciato un grande
ricordo, ma Palleddu è l’Olbia, come dimostra la maglia bianca sulla sua
bara, ieri pomeriggio, nella chiesa di San Paolo stracolma di persone
arrivate per dargli l’ultimo saluto. Non può che essere così, con quel
cognome, Degortes, così terranovese, lui che è nato quando la città si
chiamava ancora Terranova, appunto.
Non può che essere così perché
quella promozione, nel caldo 1968, ha proiettato l’Olbia, piena di
olbiesi, nel migliore calcio italiano. La serie C, allora, era una cosa
seria. Così come, con la riforma che partirà proprio nella prossima
stagione, vuole tornare a essere. Il Nespoli, a quel tempo, era sempre
pieno in ogni ordine e grado, come dicevano i vecchi cronisti. I bianchi
giocavano nel girone F della serie D. Contro Tempio, Calangianus,
Carbonia, e poi Rieti, Tevere Roma e Latina. E proprio contro i laziali,
l’Olbia di Palleddu, si giocò la promozione. Con un finale da thriller.
Olbia-Latina all’ultima giornarta. Con la vittoria dei rivali per 2-1.
Con l’Olbia che aveva mancato il salto di categoria. Ma quel campionato
non era regolare. Troppi sospetti, tutti sul Latina. Una piccola
Calciopoli con alcuni decenni d’anticipo. Ci vollero molti elementi, per
ristabilire la verità e dare all’Olbia ciò che le fu ingiustamente
sottratto. Palleddu e con lui il presidente, Elio Pintus, combatterono
una lotta apparentemente persa.
Ma alla fine il muro di omertà che aveva
coperto il Latina iniziò a vacillare. Tutto cominciò a Tempio, in casa
dei rivali per eccellenza. Con i galletti giocava un olbiese, Balzano, e
fu lui a capire che il Latina aveva comprato alcuni suoi compagni (non
galluresi) perché perdessero. Quello squarcio divenne poi una rottura
quando il presidente del Tempio, Gianni Monteduro, fece collaborare
tutti i suoi uomini. Venne fuori che il Latina aveva barato, e la
federazione lo punì: 13
in una foto recente |
punti di penalizzazione, promozione annullata.
L’Olbia andò in serie C. Per merito. Perché Palleddu, come tutta la sua
vita ha poi confermato, era un uomo giusto. Non a caso, ormai fuori dal
giro per limiti di età, andò a insegnare calcio ai ragazzi della
comunità Arcobaleno di don Raffatellu. Una meravigliosa esperienza, per
un uomo che amava il sociale e trasmetteva valori sani, veri. Il suo
primo anno in serie C fu straordinario. L’Olbia arrivò settima, in un
girone dominato dall’Arezzo e in cui c’erano Ascoli, Massese, Prato,
Pistoiese, Viareggio, Ravenna... Tutte grandi città, rispetto alla
piccola Olbia di allora. Era l’Olbia di Bruno Selleri, di Pelè Marongiu,
di Benvenuto Misani. Ma era, soprattutto, l’Olbia di Palleddu. Che ora,
lassù, tornerà a indossare quella maglia candida come la sua anima.
(g.pi.)
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