Si continua a negare il dominio della 'ndrangheta, della massoneria deviata e della politica che le unisce. Per cambiare bisogna avere il coraggio di raccontare la realtà, di scrivere e dire la verità. Basta con l'ipocrisia, soprattutto con quella intellettuale.
Emiliano Morrone
Possiamo ripeterci che la Calabria è bellezza, incanto, magia; agricoltura, gastronomia, olio e vini eccellenti. Possiamo esaltare l'umanità, l'accoglienza e la generosità del suo popolo. Possiamo dirci dell'antica tradizione della nostra terra, delle fatiche, dei sacrifici e del talento di giuristi locali, medici, accademici, imprenditori e artigiani, emigrati o residenti. Possiamo compiacerci ricordando la scuola pitagorica di Crotone, l'utopismo di Gioacchino da Fiore e Tommaso Campanella, la carità di Francesco di Paola, i natali dello scrittore Corrado Alvaro, del “Nobel” Renato Dulbecco, dello stilista Gianni Versace o del filosofo Ermanno Bencivenga. A compendio possiamo sbandierare le origini calabresi di uno degli intellettuali più famosi, Gianni Vattimo, o di artisti come Steven Seagal, Raul Bova, Chick Corea e John Patitucci.
Nulla cambierebbe la realtà: la Calabria è forse l'ultima regione d'Europa per servizi, diritti e indicatori economici, ma sta in cima per tasso di spopolamento. Qui comandano la 'ndrangheta, la massoneria deviata e una politica immorale che spesso lega cosche e logge. L'amministrazione pubblica è attraversata dalla corruzione; gli incarichi illegittimi fioccano in libertà e buona parte della burocrazia obbedisce ai governanti di turno e relativi faccendieri: “trucca” concorsi, istruttorie, autorizzazioni, concessioni e perfino bilanci. La sanità agonizza, il mare puzza, la montagna brucia, le strade crollano e i paesi muoiono.
In Calabria la fantasia supera la realtà: vige un diritto speciale che, plasmato alla bisogna, aggira e sotterra le norme comuni. Non di rado i concorsi sono una farsa, i peggiori occupano posti di responsabilità e i migliori sono respinti, isolati e indotti a partire.
La recente operazione “Stige” (della Dda di Catanzaro) ha confermato la pervasività dell'organizzazione criminale e l'adesione, le aderenze politiche diffuse. E ha ribadito che l'economia è alterata da un sistema, di connivenze, violenza e favori, che aumenta le disparità e la massa proletaria, divisa, costretta alla sopravvivenza e resa inabile alla rivolta.
Il negazionismo ha di solito due facce. La prima è quella dei conservatori integrali, che alle spalle alimentano l'odio verso chi scrive, racconta, denuncia, esorta, ammonisce; la seconda, più ingannevole, è quella degli apologeti, i quali, traendo lauti benefici dal ruolo raggiunto, dipingono una Calabria da sogno, immaginaria, mitica, unica. Della regione costoro decantano le potenzialità, che restano proiezioni, suggestione e motivo di orgoglio posticcio, strumentale al mantenimento dei rapporti di forza vigenti.
Per battere la 'ndrangheta strutturata e culturale occorre demolire due assunti falsi e propagandistici, pure utilizzati tra gli ingenui. Il primo è che siamo perfetti e non potremmo vivere meglio; il secondo è che la Calabria è la prima al mondo in quanto a paesaggio, storia e natura.
Abbiamo tanto, sì. Ma abbiamo perduto la memoria, a causa della cementificazione dei luoghi e dello spirito, della distruzione dei simboli e della capacità di giudizio.
Nulla cambierebbe la realtà: la Calabria è forse l'ultima regione d'Europa per servizi, diritti e indicatori economici, ma sta in cima per tasso di spopolamento. Qui comandano la 'ndrangheta, la massoneria deviata e una politica immorale che spesso lega cosche e logge. L'amministrazione pubblica è attraversata dalla corruzione; gli incarichi illegittimi fioccano in libertà e buona parte della burocrazia obbedisce ai governanti di turno e relativi faccendieri: “trucca” concorsi, istruttorie, autorizzazioni, concessioni e perfino bilanci. La sanità agonizza, il mare puzza, la montagna brucia, le strade crollano e i paesi muoiono.
In Calabria la fantasia supera la realtà: vige un diritto speciale che, plasmato alla bisogna, aggira e sotterra le norme comuni. Non di rado i concorsi sono una farsa, i peggiori occupano posti di responsabilità e i migliori sono respinti, isolati e indotti a partire.
La recente operazione “Stige” (della Dda di Catanzaro) ha confermato la pervasività dell'organizzazione criminale e l'adesione, le aderenze politiche diffuse. E ha ribadito che l'economia è alterata da un sistema, di connivenze, violenza e favori, che aumenta le disparità e la massa proletaria, divisa, costretta alla sopravvivenza e resa inabile alla rivolta.
Il negazionismo ha di solito due facce. La prima è quella dei conservatori integrali, che alle spalle alimentano l'odio verso chi scrive, racconta, denuncia, esorta, ammonisce; la seconda, più ingannevole, è quella degli apologeti, i quali, traendo lauti benefici dal ruolo raggiunto, dipingono una Calabria da sogno, immaginaria, mitica, unica. Della regione costoro decantano le potenzialità, che restano proiezioni, suggestione e motivo di orgoglio posticcio, strumentale al mantenimento dei rapporti di forza vigenti.
Per battere la 'ndrangheta strutturata e culturale occorre demolire due assunti falsi e propagandistici, pure utilizzati tra gli ingenui. Il primo è che siamo perfetti e non potremmo vivere meglio; il secondo è che la Calabria è la prima al mondo in quanto a paesaggio, storia e natura.
Abbiamo tanto, sì. Ma abbiamo perduto la memoria, a causa della cementificazione dei luoghi e dello spirito, della distruzione dei simboli e della capacità di giudizio.
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