LA SCHWA? NON È COSÌ CHESI LOTTA PER LA PARITÀ La linguista e accademica Cecilia Robustelli boccia la schwa anche in nome delle battaglie femministe.

Sono  stato accusato  perchè non   ho  usato   ɐ  ( lo schwa )  d'essere  ,  accuse che mi  scivolano  via e  di cui  non  m'importa  ......   (beh ci  siamo capiti )   politicamente  scorretto    e  d'informarvi meglio  . Ora    leggo pareri contrastanti sull’utilizzo del simbolo grafico “schwa” ɓ . Essa Dovrebbe tutelare l’uguaglianza anche nel linguaggio. E invece, addirittura, una linguista della Crusca la attacca in nome delle lotte femministe!   !  IL  che mi  conferma     che  la  questione     è  di poco conto    è più importante    se  mai  il linguaggio  d'odio e  violento che  orami   è  sempre  come  un onda  nera  appiccicosa   presente  ovunque  non solo in  rete  e sui  social  purtroppo  .  Ora  sulla piccola “e” rovesciata che alcuni vorrebbero aggiungere o sostituire alle desinenze italiane per includere tutti i sessi e le identità di genere se ne sono dette tante . Personaggi autorevoli e qualificati (linguisti, filosofi, sociologi) hanno espresso pareri anche molto diversi; e quando il dibattito è uscito dall’accademia i toni sono spesso stati poco rispettosi delle idee altrui . Personalmente, quando mi è capitato di leggere dei testi in cui la schwa veniva usata diffusamente - non solo, per esempio, in apertura o in chiusura di discorso - ho sempre fatto una gran confusione    non basta  quanto  ne  faccio   già  di mio  causa  forti problemi di vista  e  uditivi  .
Comprendo bene che esiste un uso sessista della lingua, e lo trovo molto ingiusto, ma sono convinta che non sia la grammatica l’ambito in cui si  devono   combattere  questioni come la parità e l’inclusione. Credo inoltre che la funzione sia sempre più importante del sesso di chi la esercita. Detto questo, ho
cercato di documentarmi  come     mi  hanno suggerito   e ho trovato in Rete l'intervento   della professoressa Cecilia Robustelli  ( foto a   sinistra  ) , ordinaria di Linguistica italiana presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, che da anni lavora con l’Accademia della Crusca  e  che  si  occupa    del linguaggio  di genere  . Sono rimasto colpito dalla chiarezza del ragionamento e alcuni concetti mi sembrano inoppugnabili: innanzitutto, la distinzione tra il genere grammaticale (assegnato ai termini che si riferiscono agli esseri umani in base al sesso) e il genere socioculturale (cioè la costruzione, la percezione sociale, di ciò che comporta l’appartenenza sessuale); poi, il fatto che un sistema linguistico ha come scopo la comunicazione e dunque introdurre delle modifiche che la rendono difficoltosa - sia pure con le migliori intenzioni - fa sì che il sistema si inceppi; infine, il fatto che senza dubbio la lingua è un organismo vivo (come dimostrato dal fatto che ogni anno nei dizionari entrano parole nuove e altre, invece, cadono in disuso), ma i cambiamenti non possono essere altrettanto rapidi né altrettanto frequenti quando si parla delle sue strutture. In conclusione, credo che la schwa non rappresenti la soluzione dei problemi, e soprattutto che la prepotenza e l’arroganza di tanti suoi sostenitori rappresentino al contrario un problema in più del quale non sentivamo la mancanza. Ed lo  schwa  insieme  all'uso   degli asterischi alla  fine della  parola   o  nel mezzo in certi siti  per   coprire  come  una  foglia  di  fico (  meglio    i  puntini  di sospensione    o  un sinonimo  )  una     parola  volgare    sono   le  copse  di cui  appunto  non  si sente la mancanza  e  di cui   se  ne  può fare  a meno  

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