smontare il sovranismo ? semplicissimo prendendoli alla lettera . il caso di Antonio Silvio Calò, 60 anni, professore di Storia e Filosofia, nel 2015, insieme alla moglie Nicoletta, ha deciso di compiere un atto rivoluzionario: ha accolto nella propria casa di Treviso sei ragazzi richiedenti asilo africani.


Quante volte lo abbiamo sentito dire: “ Perché non te li prendi a casa tua? ”
Antonio lo ha fatto davvero, dando loro una casa, un lavoro, un futuro. proprio per questo, in tutti questi anni è stato insultato, minacciato dai neofascisti   di forza  nuova  e  dalla    lega .
Quest  ultimi , hanno circondato l’abitazione con sei bandiere dell’indipendenza veneta, gli hanno augurato che stuprassero la moglie e la figlia . Ma  lui    non  se n'è  curato  è andato avanti per la sua strada. E, alla fine, ha vinto la sua scommessa. “Oggi i miei figli lavorano tutti, pagano le tasse e alcuni hanno deciso di sposarsi - ha detto di recente - Se ci sono riuscito io che sono un insegnante, può farlo a maggior ragione lo Stato. Se si vuole, si può fare!".
Quelli come Antonio e Nicoletta fanno paura perché, con le loro azioni, smontano anni di retorica razzista e sovranista, dimostrano che l’accoglienza non solo si può fare ma funziona se  si  vuole  .



E questa è la loro meravigliosa famiglia.

 concludo citando   quest  articolo  di VANITY FIRE del 21 NOVEMBRE 2021
Migranti, Antonio Calò: «L'accoglienza si può fare»
Il professor Antonio Silvio Calò ha accolto sei ragazzi africani in casa sua. «Io, mia moglie e i nostri quattro figli siamo gente comune. Se l’abbiamo fatto noi, può ben farlo lo Stato, i comuni» dice. Il Parlamento europeo lo ha eletto Cittadino europeo 2018 e il Presidente della Repubblica lo ha premiato come Ufficiale al merito. Ha raccontato la sua storia in un libro
DI CHIARA PIZZIMENTI
Migranti Antonio Calò L'accoglienza si può fare
«Se non si vuole non si potrà mai, lo abbiamo dimostrato noi facendolo. È chiaro che manca la volontà politica». Il professor Antonio Calò non è tipo da mezze misure e da mezze parole. Quello che ha dimostrato insieme alla sua famiglia è che l’accoglienza può essere realtà. Nella sua casa in
provincia di Treviso, insieme alla moglie e ai quattro figli ha ospitato sei giovani profughi arrivati dall’Africa. Questa esperienza è diventata un libro: Si può fare. L’accoglienza diffusa in Europa, edito da Nuova Dimensione, scritto da Antonio Silvio Calò insieme a Silke Wallenburg, giornalista, in versione italiana e inglese. È una forma di accoglienza che il professore definisce diffusa e che, a suo parere si potrebbe fare in tutta Europa. «La nostra esperienza è diventata un progetto europeo, Embracin, fatto in sei città compresa Padova: ogni comune con 5000 abitanti può accogliere sei persone e così a salire in base al numero di abitanti. Contando che in Europa ci sono 500 milioni di abitanti, applicando questo sistema l’invasione non c’è più». Quando il professore è andato la prima volta in prefettura a chiedere di ospitare un gruppo di rifugiati è stato guardato come se fosse pazzo. «All’inizio siamo stati visti come disgraziati, persone pericolose. Siamo stati minacciati. La gente non ci salutava più», spiega Calò che insegna storia e filosofia, «quando però la comunità si è avvicinata, ha capito che erano sei ragazzi». Non ha mai temuto il fallimento perché sentiva di stare creando una famiglia nuova. «Non abbiamo avuto difficoltà interne, non ci siamo scannati come si attendeva qualcuno. I timori che molti esprimevano per mia moglie e mia figlia non avevano alcun fondamento. Mia moglie ha sei guardie del corpo. Per loro la madre è sacra». Aggiunge con un pizzico di orgoglio di essere stato al matrimonio di uno dei ragazzi. «Siamo stati presentati ai genitori della sposa. Ci ha detto che darà il mio nome o quello di mia moglie al futuro figlio o figlia. Questo ragazzo è andato via da casa. Ha fatto otto mesi di galera in Libia, ha fatto la traversata, è arrivato qua con nulla. Adesso ha un lavoro a tempo indeterminato, una moglie, una casa, un’auto e un’autonomia». Il professor Calò parla di accoglienza in Europa, ma anche di prevenzione in Africa, con progetti a lungo termine. «È possibile fare una programmazione, ma solo con un processo di reale decolonizzazione. Accoglienza e prevenzione devono andare avanti in parallelo. La parola chiave è accompagnare. L’accoglienza non può essere una cosa di comodo per colmare il nostro deficit demografico».

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