Benita di © Daniela Tuscano

IL condominio ha i mattoni a vista, cupi, tristi. Ma in questo scorcio d'estate dànno una piacevole sensazione d'ombra. Benita è la donna alla finestra, la prima. Si affaccia direttamente sul viale, una zanzariera la separa dal mondo. Protezione che reclude: "Sono qui in

prigione", si lamenta dopo avermi fermata per
strada. Cerco d'intravedere l'interno, forse un corrimano, ma non è una casa di riposo e lei ne possiede le chiavi. Indossa lo stesso scialle di certe mie remote zie, un occhio è semichiuso, l'altro emana una luce azzurrina che si espande sulla pelle, fresca e sottile. In altre età Benita doveva esser stata affascinante. Altre vite l'hanno vista a Forte dei Marmi, di dov'è originaria e che rimpiange, con quello sguardo dei vecchi indistinto ma vero, contenente le spume del Tirreno, lunghe passeggiate, abiti di percalle, automobili da corsa, ammiratori e persino quel nome così duro e rivelatore. Illusione di padre - ne sono sicura, lo scelse lui -, e poi il matrimonio, il figlio "lavoratore di qua e di là", un nipote in Brasile ora ventenne e mai conosciuto, "mi ha promesso che viene, viene, ma non arriva mai". A Benita oggi resta la sponda sul viale e il dialogo con una sconosciuta, che appena la tocchi va di fretta, poi concede un attimo di tempo (da piccola, invece, coi vecchi parlava per ore), poi si prende un bacetto dalla zanzariera, e sente la frescura di quelle mani da bimba antica, rinverdite d'innocenza. La famiglia e i parenti non salvano dalla solitudine, nelle vite mediane c'è troppo, e ti spogli pian piano, da dentro. Ma sei ancora al mondo, assetata d'un futuro grande quanto una noce, e ti affacci a una labile speranza. Forse domani quella sconosciuta passerà, e verrà a trovarti. Te l'ha promesso.



© Daniela Tuscano

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