DIARIO DI BORDO ( n°1 anno I ) .Sgarbi contro i direttori stranieri nei musei italiani: “No, la destra sovranista confonde il patriottismo con il provincialismo”

 come  accennavo nel   n°4  del diario   della settimana   ecco  la  nuova  rubrica  , diario di bordo  ,  del blog  .

Foto Pietro Masini / LaPresse 22-01-2021
 il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt  riapre la galleria dopo la chiusura per COVID ,

Nel Sì&No del giorno, spazio al dibattito sulla giusta attribuzione – o meno – degli incarichi di direzione dei musei italiani a personale straniero: l'intervento di  Vittorio Sgarbi, Sottosegretario alla Cultura del governo Meloni, provoca polemiche  .
 
Infatti  Sgarbi   , oltre a difendere a spada tratta e bambinescamente il generale Vannacci arrivando  a paragonare   il suo libercolo ( scaricato appositamente da telegram ho letto introduzione compresa i primi due capitoli disgustato lo eliminato ) , pur  superare Salvini in retromarcia  - tenetevi forte - Vannacci e Papa Francesco.  All su considerare   finita la stagione degli stranieri a capo dei musei del Belpaese, gli ha  risposto   Maria Elena Boschi, parlamentare Iv, la  quale ritiene, al contrario, che sia una scelta giusta e opportuna.
Stavolta  ha  ragione  . Qui di seguito, il    parere di Maria Elena Boschi.  dal https://www.ilriformista.it


Vittorio Sgarbi ci ha abituato negli anni alle sue provocazioni e uscite controcorrente. L’ultima riguarda la “crociata” contro i direttori stranieri di alcuni dei principiali musei italiani al grido di “siamo arrivati noi, se ne devono andare loro” che Sgarbi ha lanciato qualche giorno fa dalla Toscana.Smentito, seppur senza troppa convinzione dal ministro Sangiuliano che già in passato aveva rilevato “l’anomalia” di troppi – suo dire
– direttori stranieri in Italia, ha fatto marcia indietro sostenendo che si trattava solo della battuta di un brigante (essendosi presentato all’evento travestito, per l’appunto, da brigante ciociaro).A prescindere dal travestimento, non possiamo dimenticare che sotto gli abiti, Vittorio Sgarbi resta non solo uno dei più noti critici d’arte italiani ma soprattutto l’attuale sottosegretario alla cultura. E quindi non possiamo prendere troppo sul ridere la sua provocazione anche se speriamo resti tale.In realtà, le parole più o meno serie di Sgarbi portano alla luce un pensiero molto diffuso nella destra italiana sovranista, specie in casa Meloni, che ritiene che essere patriottici significhi trasformarsi in provinciali e precludere al proprio Paese delle occasioni di scambio e di arricchimento.Nel 2014 con il governo Renzi e il ministro Franceschini varammo una importante riforma che apriva i musei italiani anche ai direttori stranieri e soprattutto concedeva maggior autonomia ai musei anche in termini organizzativi e di scelta dei collaboratori.All’esito di una procedura pubblica, con una commissione di esperti molto qualificata, il ministro e il direttore della direzione dei musei di allora scelsero 20 nuovi direttori di musei. Tra questi 7 erano stranieri, gli altri 13 erano italiani alcuni di rientro da prestigiose esperienze all’estero. 10 donne e 10 uomini.Il mandato del presidente Renzi fu quello di portare i musei italiani nel futuro e devo dire che in gran parte la sfida è stata vinta se pensiamo, ad esempio, al rinnovato dialogo tra Brera e Milano e alla apertura di nuove sale, ai risultati straordinari anche in termini di visite degli Uffizi, o alla trasformazione incredibile in ottica di sostenibilità ambientale di Capodimonte o al Bosco Reale riconsegnato alla città.Ho avuto modo di visitare tutti questi musei personalmente negli ultimi anni e, grazie anche alla mia esperienza in Commissione Cultura, di poter studiare i dati e conoscere da vicino il lavoro eccellente di molti di questi direttori. Di recente, con il direttore Bellenger abbiamo visitato una mostra straordinaria di Capodimonte al Louvre inaugurata da Mattarella e Macron che è un grande successo per Parigi e per Napoli.I direttori stranieri sono stati scelti per il loro curriculum non per la carta di identità. Poco interessava dove fossero nati, ma dove avessero studiato, si fossero formati e il prestigio della loro precedente esperienza personale. Sono state scelte persone competenti a livello mondiale, come Schmidt, uno dei più stimati esperti di arte fiorentina, ma anche managers capaci di portare una visione diversa e una nuova organizzazione.I risultati sono arrivati e sono oggettivi in termini di aumento delle opere esposte al pubblico, restauri, ammodernamento delle strutture, digitalizzazione, mostre temporanee e scambi, progetti educativi, percorsi specifici per portatori di bisogni speciali, pubblicazioni e donazioni private.E anche di numero di visitatori con annessi biglietti che tanto stanno a cuore al ministro Sangiuliano e che hanno sicuramente una loro importanza per far quadrare i conti, sebbene i musei non possano essere visti solo in ottica commerciale ma come grande servizio educativo per le persone.E allora gli italiani? Gli italiani sono per fortuna considerati, grazie anche alle nostre università, tra i più bravi al mondo. Non a caso, non solo guidano la maggior parte dei musei italiani, ma molto spesso sono chiamati a farlo in musei, fondazioni, istituti tra i più prestigiosi al mondo.La bellezza della cultur aè proprio questa: si arricchisce con gli scambi, il confronto, il dialogo, le esperienze con mondi diversi. Soprattutto nella cultura e nell’arte non ci possono essere stupidi confini nazionalisti o sovranisti perché da sempre la potenza e la bellezza dell’arte e della cultura sono stati capaci di superarli. Oggi allora la sfida è continuare a scegliere i migliori, italiani o stranieri. Del resto, nessun italiano vorrebbe che gravasse su di lui il dubbio che è stato scelto per la sua nazionalità anziché per la sua competenza.Spero che il ministro Sangiuliano, a cui spetta l’ultima parola, individui le persone più capaci senza farsi attrarre dalle sirene sovraniste già all’opera in vista delle prossime europee e non dimentichi i molti talenti femminili che ci sono anche nel mondo della cultura. Non vorremmo mai che alla fine dovesse prevalere l’antico detto “Arlecchino si confessò burlando”, anche se se sotto le spoglie di un brigante ciociaro.


 

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