Johnny, clochard italiano in riva alla Darsena di Milano: «Vivo grazie all’aiuto di rider e venditori di rose



dopo   quella  raccontata     qui   su  queste  pagine ecco  Ancora   un altra storia  ai margini 

 corriere della sera 10 novembre 2021 | 07:46


Johnny, clochard italiano in riva alla Darsena di Milano: «Vivo grazie all’aiuto di rider e venditori di rose» La gara di solidarietà dei lettori
Johnny, 31 anni, senzatetto dopo la morte dei genitori, ha perso il lavoro interinale e non riesce a pagare l’affitto: «Conciato così non mi prendono neanche per fare il lavapiatti». Vive accanto al distributore di sigarette in piazza XXIV Maggio per chiedere le monetine del resto: «Mi negano anche i centesimi». E per una doccia dai frati c’è la lista d’attesa di un mese


                             di Andrea Galli






Vita e sopravvivenza di Johnny, italiano 31enne, senza più famiglia, casa e lavoro, stanziale dalle 20 all’alba davanti al distributore di sigarette in corso di Porta Ticinese, prima della Darsena, di fronte al McDonald’s.
Questa la sua storia, questa la sua Milano.



«A volte le cose vanno veloci. Con me, sono andate velocissime. Figlio unico, papà morto di infarto a 57 anni, mamma morta di tumore nel giugno 2020. Avevano una piccola impresa nel tessile: crisi del settore, chiusura, debiti che si sono mangiati i risparmi, casa in affitto che è rimasta una casa in affitto. Non mi piaceva studiare ma non mi sono adagiato a fare il bamboccione: sono stato muratore, ho fatto lunga esperienza nei calzaturifici, ho fatto facchinaggio, traslochi, e via elencando. Nella fase finale della malattia di mia madre sono restato a spasso: c’era la pandemia ma già cominciavano a non rinnovare i contratti prima. Con le agenzie interinali funziona così, hai il periodo di prova, il primo step, il secondo, il terzo, fin quando ti tocca il tempo indeterminato e ti salutano. Avanti il prossimo sfigato, nuovo giro dell’oca. L’affitto costava 600 euro più le spese; l’ultimo mio stipendio era di 800 euro. Ho tirato e tirato, ma alla lunga mi hanno mandato via. Parenti? Qualcuno, in lontane zone d’Italia, ma per orgoglio, per dignità, preferisco non chiedere aiuto. Non voglio farmi vedere conciato così e infatti ok la foto, ma tengo giù il cappuccio... Abitavo nell’hinterland, ma se devo stare per strada tanto vale farlo qui sui Navigli. I locali, i soldi. Ho scelto di fermarmi vicino al distributore, chiedo le monete di resto. Chi abita qui, dopo un po’ sbuffa: «Se mollo un euro di elemosina ogni giorno, fumare mi costa un capitale». Ma non generalizziamo: il titolare del ristorante pugliese mi regala da mangiare. Il signore del negozio di scarpe è cortese. Questi di fianco, invece, piuttosto il cibo che avanza lo buttano nel cesso. I ristoranti asiatici lasciamo perdere, nemmeno una sigaretta danno... Per fortuna ho l’amico del Bangladesh. Vende cappelli di Inter e Milan, le statuette del Duomo, quelle cose lì. Il mattino prende una brioche per me. Cascasse il pianeta. I venditori di rose, se avanzano dei centesimi li allungano. Quelli del McDonald’s mi fanno andare in bagno. Mi pulisco al lavandino. Del resto ho la doccia il 27».
In che senso? «Nel senso che, tanti siamo e tante sono le procedure per il Covid, che la lista d’attesa alle docce pubbliche è infinita. Ho addosso le stesse mutande da una settimana. Le scarpe non le tolgo da un mese. Tra le scarpe sformate e i piedi conciati dal freddo, il rischio è che se le levo poi non mi entrano
più. E comunque te le rubano. Motivo per cui nei dormitori non ci vado. Ti portano via tutto, pure gli occhi se non stai attento. Gente che delira, chi schiatta, quello che ti salta addosso… Chiaro, dormo all’aperto, ma lo faccio dalle sette in avanti, quando fa meno freddo. Di notte, meglio stare in piedi».
Tre rider sostano, chiacchierano, ridono tra loro. «Con ’sti cristiani sono in debito. Quando hanno un ordine che torna indietro, perché magari la pizza del fighetto di turno non era bollente e quello non la vuole più, la dividono tra di noi. Dico “noi”: siamo una marea. Hai visto in Darsena? Una marea invisibile. A me non mi vedi dormire. Mi imbosco. Più che altro imbosco la roba: l’altra volta stavo sul tram e mi hanno fregato le salviette umidificate, quelle dei bambini. Sono essenziali, riesci a lavarti un minimo. Anche se adesso arriviamo al vero problema».
Quale? «Ti giuro amico, i locali della zona li ho girati tutti. Per come sono messo, pulirei anche i cessi con le mani. Ma puzzo come una carogna, si capisce che non c’ho una casa, passo per uno non affidabile, e manco a fare il lavapiatti riesco… Mi basterebbe davvero poco, con venti euro ci campo pure quattro, cinque giorni. Però non è il punto. Il punto è che servirebbe un mestiere un attimo stabile, così da avere uno stipendio per un posto letto. Sincerità per sincerità, ho delle denunce per delle risse, robe di strada, di disperazione, ma non ho mai fatto male a nessuno. Non nascondo che quando mi risveglio, circondato dal casino, dalle occasioni — e certo, amico, le occasioni — mi dico, Dio santo, Dio santissimo, ora punto quella passante, le rubo qualsiasi cosa... Invece no, mi calmo, cammino... Ci sono servizi per i poveri ma certi servizi devi prenotarli al telefono e non ce l’ho un cellulare... Ci aiutiamo, tra di noi. Lì in Darsena un altro ragazzo di strada mi ha regalato la cintura. Mi cascavano i pantaloni. Li avevo chiesti in parrocchia, ero disperato, mi avevano dato quelli che avevano. Larghissimi. Pochi giorni fa mi scappava, stavo in una zona di ressa, non c’erano angoli, in un locale non mi facevano entrare manco pregando, non avevo gli spicci per un caffè… Vicino ai palazzi, se gli abitanti mi vedevano chiamavano la polizia… Insomma, mi sono pisciato addosso. Io quella doccia del 27 la sogno più del pane. Pulito, magari qualcuno mi concederà una possibilità. Fidati: me la saprei giocare con chiunque».

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