Per capire la violenza bisognerebbe ascoltare le vittime e incoraggiarle a parlare.ecco perchè celebrò il 25 novembre anche se odio le giornate a tema

   segnalo  questa  interessante  iniziativa  


Quando sei vittima di violenza, domestica, non sei solo una donna che ha subito un trauma con cui dovrà convivere tutta la vita.
Spesso sei anche una madre che ha condiviso quella violenza con i suoi figli, che la condivide, che ha il dovere di esorcizzarla.
In un sforzo continuo e in divenire: perché il violento non si arrende mai. Non è mai una dinamica post traumatica, ma sempre in elaborazione. Così come il pericolo e la minaccia.La natura dell'orco è quella di continuare nel suo intento distruttivo, utilizzando i mezzi a propria disposizione (altre persone, ricorsi legali, minacce sui social, aggressioni, violenza economica, subalterni o sottoposti, nuove partners, denigrazioni costanti, sistemando magari testimoni in case e macchine più comode per le ritrattazioni in tribunale) e soprattutto accanendosi sui figli a cui viene fatta pagare la non sottomissione della madre alla violenza.
In tutto questo, le istituzioni vanno a rilento.
Peraltro la vittima di violenza non può nemmeno indicare come catarsi la causa del suo calvario. Il suo calvario, pur avendo un' identità precisa, un nome e cognome, non può essere nominato. Benché indagato, rinviato a giudizio, conosciuto dalle forze dell'ordine e anche dal resto del mondo, gode di una sorta di complicità mafiosa per la quale può continuare ad agire indisturbato, (peraltro facendo pure altre vittime) ma da innocente fino a terzo grado di giudizio, così come vuole il nostro stato di diritto.La vittima di violenza si trova così in una sorta di alienazione in cui non può nemmeno giovarsi della parola condivisa come alleggerimento. Vive come una malata senza però poter dire di cosa soffre, legge negli occhi dei suoi figli la richiesta disperata di soluzione, e vive con la rassegnazione di dover morire di un male che non ha cura.La cura, in realtà, esiste: solidarietà e riprovazione sociale della violenza.E invece accade il contrario: solidarietà al carnefice e riprovazione sociale della donna che parla e che non è stata zitta, mettendo tutti in imbarazzo.Ogni giorno le donne muoiono di morte fisica, sociale, psicologica, e con loro muoiono i loro figli, semplicemente perché è più comodo accettare un uomo violento che non una donna che dice la verità.E Patrizia Cadau una dei relatori ne sa qualcosa: è una sopravvissuta e continua a denunciare la violenza e i suoi merdosi complici finché avrà respiro e lucidità per farlo.

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