sensi di colpa e solidarietà -aiuto non pelosa

nel corso della  mia  vita  , fin qui  trascorsa  ,  da  solo     e  nelle  sedute   di psico analisi   ho appreso che il senso di colpa  ed la paura   fanno danno  e  tarponano le  ali  se  non affrontati e  trasformati  \ incanalati nella  giusta maniera  . Infatti , ed  è proprio questo il caso , posso anche  se   affrontati   salvare  le  vite  .

da  https://storiedeglialtri.it/storie/

“Ancora mi capita di non riuscire a dormire per la paura. Mio figlio ora è qui, non so se per fortuna, se qualcuno da lassù ci ha aiutati o semplicemente perché ha funzionato la manovra, so solo che è importante fare il corso di primo soccorso”.


 Lei è Naomi. Ha 25 anni. Vive a Roma. È fidanzata con Daniele, hanno due figli. Giuliano ha 5 anni, Aureliano ha spento da poco due candeline. È marzo, una sera come tante. Naomi è sola davanti al computer, d’improvviso sente la voce del suo compagno. È nella stanza accanto, ripete il nome del figlio, Aureliano. Il tono è preoccupato. Naomi corre, guarda il bambino, respira in modo insolito. Che cosa è successo? Che ha fatto? Il compagno non riesce a capacitarsi. Intanto il bambino

peggiora, le labbra sono socchiuse, boccheggia. Naomi ha un lampo. Ha ingoiato qualcosa! Daniele comincia a urlare. Che facciamo? Naomi prende il figlio, agisce d’istinto, gli infila due dita in gola. Daniele la blocca. Tesoro, tempo fa non avevi imparato le manovre di primo soccorso? Naomi ha gli occhi sbarrati, il cuore in gola. Sono passati tanti anni. Tenta di ricordare. Zero, la sua testa è vuota, annebbiata. Intanto le labbra di suo figlio diventano viola, gli occhietti rotolano all’indietro, si chiudono. Naomi è disparata, si conficca le unghie nel viso. Non è possibile, stiamo perdendo! Sbrigati chiama i soccorsi! Daniele afferra il telefono, ma è nel panico, non ricorda il numero. L’ambulanza sta arrivando, il figlio è diventato bianco come un lenzuolo. Naomi è fuori di sé. Apre la porta di casa, grida, chiede aiuto, intanto spinge con le mani sulla schiena di Aureliano. Erano questi i gesti? Ti prego, fa che siano questi. Non può essere, il suo bambino le sta morendo tra le braccia. D’improvviso sente un colpetto di tosse, sotto i suoi piedi rotola una pallina di legno. In quel momento arriva l’ambulanza. Visitano il piccolo. Sta bene. Naomi e Daniele lo stringono tra le braccia, piangono. È tutto finito. La paura e il senso di colpa li tengono svegli ancora oggi. Si sono iscritti entrambi al corso di primo soccorso. Naomi credeva che certe cose capitassero solo agli altri. Non è così. Sono stati fortunati.


stavo  per  premere  pubblica    quando mi arrivata  la  notifica    di  un aggiornamento  del sito     in questione  ed  ho letto    quest' altra  storia  


Grazie al suo intervento, molto migranti e rifugiati hanno ottenuto un permesso di soggiorno e trovato lavoro. Di recente Daniel ha abbandonato il ruolo di sacerdote, ma continua a vivere in chiesa in mezzo alle persone a cui offre rifugio.

Lui è Daniel. Nasce nel villaggio di Flanders, in Belgio, nel 1944. In famiglia sono in dodici, il padre fa i salti mortali per portare il pane in tavola. Daniel ha 10 anni. Sta giocando nella sua stanza. Bussano alla porta di casa. Si sentono delle urla, poi un pianto disperato. È sua mamma. Daniel corre. Che succede? Suo padre è morto, ha avuto un incidente. Daniel punta subito verso il suo letto, vuole andare a nascondersi sotto le coperte. Non può. Un fratellino si lamenta nella culla, un altro lo chiama per giocare. Ora bisogna pensare a loro. Daniel ingoia lacrime amare, e si rimbocca le maniche. Fa il garzone, il portalettere, aiuta le donne del villaggio a lavare e stendere i panni. Guadagna pochi spiccioli, ma
l’alternativa è la fame. Ogni notte la mamma gli rimbocca le coperte e gli dà un bel bacio. Amore mio, siamo poveri, ma ricordati che una casa grande non vale quanto un cuore grande. Passano gli anni. Daniel riesce anche a studiare, prende la laurea, si trasferisce a Bruxelles e diventa professore di Filosofia. Gli piace stare con i ragazzi, ma gli manca qualcosa. Entra in seminario, dirige la Caritas, non gli piace stare dietro una scrivania. Si fa assegnare una parrocchia e diventa il pastore di una piccola comunità. Daniel si prodiga, è apprezzato, ma è sempre inquieto, non trova pace. Una sera entra in chiesa e per poco non gli prende un colpo. Le navate sono state letteralmente invase da famiglie intere. 


Donne, uomini, bambini sono stesi per terra, sul pavimento. Daniel acchiappa il diacono e chiede subito una spiegazione. Cosa sta succedendo, che cos’è questo casino? Il ragazzo balbetta. Sono senzatetto, migranti, non sanno dove andare, ho provato a cacciarli. Daniel cammina su e giù, poi si siede a terra, parla, ascolta, osserva. Il suo cuore si riempie di gioia. Distribuisce coperte, vestiti, cibo, non nega un aiuto a nessuno. Restate, questa è casa vostra. Oggi Daniel ha 77 anni, la sua chiesa non è una casa abbastanza grande, ma ha un cuore grande.






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