Cade il tabù della mafia: il padrino autorizza il triangolo amoroso
Un'intercettazione rivela come Cosa Nostra abbia cambiato il concetto di onore: a San Giuseppe Jato l'amante era un boss più importante del marito quindi la relazione venne approvatadal nostro inviato SALVO PALAZZOLO
20 febbraio 2017
Un'intercettazione dei carabinieri
SAN GIUSEPPE JATO (PALERMO)
Cade anche l'ultimo tabù di Cosa nostra, non c'è più onore mafioso che tenga. Un boss della provincia di Palermo ha autorizzato il triangolo amoroso che era ormai diventato pietra di scandalo. Perché i protagonisti della storia, il marito e l'amante della moglie, sono entrambi mafiosi di un influente clan, uno di quelli che si vanta ancora di custodire l'ortodossia dei vecchi padrini. Nella piazza del paese non si parlava ormai d'altro; in chiesa gli sguardi correvano, al bar si ridacchiava. "Non c'è più la mafia di un tempo".
Qualche tempo fa, il pettegolezzo era diventato un caso d'onore per il marito, ma anche per l'amante, accusato dagli anziani dell'organizzazione di violare le regole di Cosa nostra. Perché "non si guardano le mogli degli amici nostri", recita il secondo punto del decalogo sequestrato a uno dei superlatitanti di Palermo, Salvatore Lo Piccolo. L'antica legge dell'onore mafioso. Non era davvero più un caso privato quel triangolo amoroso. Le voci erano arrivate sino a Palermo. Una decisione si imponeva da parte del giovane capomafia del paese. Una decisione attesa dal popolo di Cosa nostra. Non si è fatta attendere, ed è stata una sorpresa per tutti: la donna potrà continuare a frequentare il suo amante. E il marito non avrà nulla a che pretendere. Ecco, il verdetto, registrato in diretta da un'intercettazione dei carabinieri del Gruppo Monreale, che in questi ultimi mesi con il pm Francesco Del Bene hanno radiografato le continue trasformazioni che stanno avvenendo nella Cosa nostra della provincia palermitana. Il via libera al triangolo amoroso-mafioso è davvero una rivoluzione per il vecchio codice d'onore di Cosa nostra, quello che imponeva una punizione esemplare per la fedifraga e il suo amante.
Negli anni Ottanta, bastava anche il sospetto del tradimento per uccidere una donna, non importa che fosse la figlia o la sorella di un mafioso. Qualche mese fa, l'anziano padrino Mariano Marchese era tornato ad evocarla una punizione esemplare, per la moglie di un ergastolano accusata di essere troppo libera nei suoi atteggiamenti. Poi, un blitz bloccò il progetto.
Ma c'è amante e amante. Andando a fondo alla storia del triangolo amoroso-mafioso si scopre che l'amante era un boss in carriera e il marito era l'ultimo arrivato in Cosa nostra, addetto alla raccolta del pizzo. Insomma, il capomafia non poteva dire di no al più rampante degli esponenti del clan. In tempi di crisi per l'organizzazione, fra arresti e sequestri di beni, non ci si può permettere di scontentare uno dei quadri dirigenti che promettono di più. È ormai il tempo della morale liquida della mafia, anche a costo di introdurre una deroga ad personam alle regole dell'onore criminale. Che, però, può essere subito smentita alla bisogna. Anche questo è accaduto, ancora una
volta non per sacre questioni di principi criminali, ma per interesse. I vertici di Cosa nostra volevano spodestare il reggente di Monreale, era accusato di non distribuire adeguatamente gli introiti delle estorsioni. Quale migliore accusa, dire che aveva una relazione extraconiugale. Poco importa che la donna fosse ormai l'ex moglie di un detenuto. Il boss fu costretto ad andare in esilio al Nord Italia. Ma dopo aver rinunciato al potere (non all'amante) potè tornare in Sicilia.
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