4.10.24

IL NEO-ANTISEMITISMO PROVOCATO DA “BIBI”.benjamin netanyahu

 

.IL NEO-ANTISEMITISMO. .PROVOCATO DA “BIBI”.

IL CONFRONTO La violenza del 7 ottobre è stata il frutto della scelta terroristica di uccidere i civili. I morti di Gaza sono opera di uno Stato che si proclama democratico, ma colpisce anche i vecchi e i bambini

FOTO ANSA
L’uomo e la sua guerra Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu

La trasformazione di Israele in un Paese autoritario avanza, la polizia attacca ogni manifestazione di dissenso, le prigioni sono piene di cittadini arabo-israeliani e dei Territori detenuti senza processo, le dichiarazioni razziste dei ministri si moltiplicano.

Una parte non indifferente della società civile reagisce nonostante le crescenti difficoltà: chiede la cessazione delle ostilità, la liberazione degli ostaggi, le dimissioni del governo. Ci sono militari che rifiutano di andare a combattere a Gaza, preferendo la prigione. Si è formata addirittura un’organizzazione di genitori che invita i figli a rifiutare di combattere questa guerra. Basterà a rallentare o a fermare il suicidio di Israele? Come fermarlo se non attraverso una sollevazione della società? E come possono partecipare gli ebrei della diaspora? Quanto avviene si delinea infatti sempre più come una catastrofe non solo per lo Stato ma anche per il resto del mondo ebraico. L’antisemitismo non è mai morto del tutto nel mondo, nemmeno nell’europa i cui ebrei sono stati quasi completamente distrutti nella Shoah. Originariamente appannaggio dell’estrema destra neonazista, e fondato sul negazionismo della Shoah, si è saldato fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento con l’ostilità terzomondista verso Israele e con la posizione antisionista assunta dopo il 1954 dal blocco sovietico, in forme non sempre e non necessariamente antisemite, e fortemente dipendenti dalle vicende mediorientali, in particolare dopo la Guerra dei sei giorni e l’inizio dell’occupazione: “Dichiarazioni intempestive – scrive lo storico Eli Barnavi, ambasciatore israeliano in Francia dal 2000 al 2002 – insediamenti minuscoli e inutilmente provocatori, confische di terre arabe, peraltro spesso sconfessate dall’alta Corte di Giustizia, internamenti amministrativi, distruzione di case con la dinamite, espulsioni, repressione fondata sul principio della responsabilità collettiva: tutto questo forma la trama della vita di un’occupazione che si è voluta ‘liberale’, (...), ma che non per questo è meno odiosa, e danneggia l’immagine di Israele nel mondo” .

Come respingere l’assimilazione fra israeliani ed ebrei quando nella diaspora le voci contro Netanyahu sono flebili e accusate troppo spesso di antisemitismo? È necessario ricorrere a una definizione dell’antisemitismo che consenta di mettere dei paletti. Ma anche qui la situazione è complicata. Di definizioni ne abbiamo due recenti. Una è quella dell’international Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), del 2016, adottata da 43 Stati, Italia compresa, che pone un legame stretto tra antisionismo e antisemitismo. L’altra è quella di Gerusalemme del 2021, opera di ambienti accademici israeliani e americani preoccupati delle conseguenze che la definizione dell’ihra avrebbe avuto sul piano della delegittimazione delle critiche a Israele come antisemite. Il documento di Gerusalemme definisce l’antisemitismo come “la discriminazione, il pregiudizio, l’ostilità o la violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o le istituzioni ebraiche)”.

Tutto ciò è diventato ancora più importante oggi. Infatti, come possiamo limitarci a condannare l’antisemitismo che cresce, estendendo il termine “antisemitismo” a ogni condanna della guerra di Gaza? Paragonare il clima di oggi a quello che in Italia accompagnò le leggi razziali del 1938, come è stato fatto, mi sembra una forzatura. (...) Non è che a forza di estendere a dismisura la nozione di antisemitismo finiremo per perderne la specificità?

Che fare, ad esempio, quando gli studenti (...) si battono contro dei veri e propri massacri? Limitarci a denunciarli come antisemiti? Non riesco a non riconoscere in molte di queste loro parole d’ordine, sia pur confuse e inadeguate, che la Shoah debba essere un insegnamento e un monito per tutti i genocidi, che questo non debba succedere più. È vero che in molti casi siamo di fronte a movimenti che per attaccare la politica israeliana giungono anche ad attaccare gli ebrei in quanto tali.

È antisemitismo, certo, ma non un antisemitismo di Stato. È un antisemitismo con cui si può provare a discutere, a spiegare. Per questi movimenti, il sionismo è colonialismo, apartheid, razzismo. Considerando la guerra di Gaza tout court come un genocidio, la maggior parte degli studenti, credono di battersi contro il Sudafrica dell’apartheid, il razzismo dell’america degli anni Cinquanta, l’imperialismo americano in Vietnam. (...)

La questione se il termine genocidio si possa o meno applicare a Gaza è controversa, soprattutto per la condizione di intenzionalità, necessaria a definire il genocidio. Meno controverso dal punto di vista giuridico è però l’uso del termine “crimine contro l’umanità”. (...) Cosa cambia per chi muore sotto le bombe se definiamo la sua morte “massacro” o “genocidio”? Le distinzioni verranno dopo, nei processi, che speriamo ci siano, delle Corti internazionali.

Personalmente, non riesco a condividere l’allarme del mondo ebraico diasporico sull’antisemitismo. Uno degli aspetti che mi preoccupa è quello delle università che chiedono l’interruzione dei rapporti culturali con Israele. Il movimento Boycott, Divestment, Sanctions (BDS), nato nel 2005 all’università di Bir Zeit, nella West Bank, fino a qualche mese fa minoritario nella sinistra, è cresciuto dopo l’inizio della guerra di Gaza fino a diventare una presenza forte e influente. Il risultato però è quello di accrescere il senso di solitudine di Israele.

Non quello del governo, che si fa un vanto del suo isolamento, ma quello delle forze progressiste israeliane scoraggiandole nella loro battaglia contro il governo. È vero, c’è oggi un’ondata di antisemitismo nel mondo, (...) la parola sionismo sembra diventata una bestemmia, in Italia il movimento delle donne “dimentica” gli stupri del 7 ottobre e il pride emargina i movimenti LGBTQ+ ebraici, di nuovo “dimenticando” gli omosessuali impiccati da Hamas a Gaza. Tutto vero. Ma la colpa non è certo solo dell’antisemitismo, (...) ma del comportamento di Israele e del suo governo dopo il 7 ottobre, dei morti innocenti causati nella guerra di Gaza, dei proclami di pulizia etnica (...). D’altra parte, durante le manifestazioni anti-israeliane viene ripetuto lo slogan “dal fiume al mare, Palestina libera”. Si tratta o meno di uno slogan antisemita, nel senso che vorrebbe la scomparsa di Israele sostituito da una grande Palestina, proprio come per i sionisti religiosi a dover scomparire da Giudea e Samaria sono i palestinesi? So che è possibile interpretarlo anche come libertà per tutti e come immagine di uno Stato binazionale, come ha scritto recentemente uno studioso attento come Enzo Traverso. Ma chi lo grida nelle manifestazioni ha in mente questa interpretazione, (...) o si limita a gridare uno slogan contro l’esistenza stessa di Israele?

Percorrere la via stretta tra il governo di Netanyahu e Hamas è difficile, soprattutto nel mondo ebraico abituato a denunciare ogni crescita dell’antisemitismo e ormai convinto che si debba far un tutt’uno di antisemitismo e antisionismo. Intanto Israele è sempre più isolata, il mondo condanna la distruzione di Gaza. I più stretti alleati di Israele si distanziano dalla sua politica.

(...) Come possiamo celebrare la memoria della Shoah oggi, senza parlare del 7 ottobre e di Gaza? Ma è davvero possibile confrontarli, come fa Netanyahu, mettendo entrambi sotto lo stesso ombrello dell’antisemitismo? L’uno, il 7 ottobre, frutto dell’antisemitismo, l’altro, la distruzione di Gaza, come necessità di difendersi dall’antisemitismo? La violenza del 7 ottobre può anche essere apparsa come il desiderio di uccidere gli ebrei, (...) ma è stato il frutto di una scelta deliberata, e terroristica, di uccidere i civili e di esporre alla morte gli abitanti di Gaza per una battaglia che Hamas vuole fare apparire come una lotta di liberazione. Ma i morti di Gaza sono opera di uno Stato che si proclama democratico, ma che non esita a colpire vecchi e bambini per uccidere un solo capo di Hamas. Un capo che sarà sostituito da un altro dopo pochi giorni. E gli ebrei del mondo (...) come possono accettarlo senza reagire?

L’unico modo in cui possono farlo è se davvero credono che tutti gli arabi, che tutti i palestinesi, siano terroristi pronti a sgozzarli. Non voglio pensare che sia così, preferisco vedere in questo il volto terribile della vendetta.

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