Giuseppe Sartorio il mariorana sardo

nuova sardegna del 20\9\2022

 Sassari
Il caffè è pronto e un cameriere lo va quindi a chiamare. Prima uno sguardo in sala da pranzo, poi una occhiata direttamente in cabina. Ma niente da fare: Giuseppe Sartorio non si trova. Svanito nel nulla a bordo del piroscafo che collega Terranova [l'attuale  Olbia ]  con Civitavecchia. È l’alba del 20 settembre 1922 e l’uomo che ha scolpito centinaia di tombe e monumenti in tutta Italia è appena diventato un fantasma. Le ipotesi sono tre: disgrazia, suicidio o delitto. Nessuno lo saprà mai. Ma quel che è certo è che proprio lui, genio indiscusso dell’arte funeraria tanto da essere chiamato il Michelangelo dei morti, dentro una tomba alla fine non c’è mai finito. Restano però le sue opere. Tantissime. Solo nel cimitero di Sassari se ne contano un centinaio. E poi naturalmente il suo lavoro per eccellenza, il più famoso da queste parti: la statua di Vittorio Emanuele II che dal 1899 domina con sguardo severo il centro di piazza d’Italia. Lo scultore Nato nel 1854 a Boccioleto, in Piemonte, Giuseppe Sartorio scolpì busti, statue, lapidi e altari. E arrivò in Sardegna quasi per caso, dopo gli studi
e i primi lavori tra Torino e Roma, quando vinse un concorso per la realizzazione di un monumento da dedicare a Quintino Sella, a Iglesias. «L’isola conobbe così l’arte di Sartorio. Ben presto aprì quindi un laboratorio a Cagliari e un altro ancora a Sassari. Aveva anche molti allievi» racconta Fabrizio Vanali, sassarese, appassionato di storia e grande conoscitore dell’arte di Sartorio, al quale ha anche dedicato una pagina Facebook che conta più di 1300 iscritti. «I suoi monumenti sono molto realistici – spiega Vanali –. Sono veri, nei lineamenti e in particolare negli occhi, e quando li fissi sembra quasi che ti parlino. Per questo mi piace la sua arte. Un’arte che ha raccontato e che continua a raccontare la vita di molte persone». Le sculture di Sartorio e dei suoi allievi – monumenti dedicati a personaggi illustri e tantissime tombe – si trovano un po’ dappertutto. Da Cagliari a Iglesias, da Ozieri a Oschiri, da Ittireddu a Pattada, da Nuoro a Oristano, da Ploaghe a Porto Torres. E poi Sassari, dove il cimitero monumentale

è pieno zeppo di scuture firmate  Sartorio .Basta pensare alla tomba del tipografo Giuseppe Dessì, a forma di piramide, o a quella del giovane Andreino Guidetti, scolpito in divisa all’interno di un sarcofago con il coperchio spostato. «Nel nostro cimitero si contano circa cento tombe realizzate da lui – prosegue Vanali –. E altre opere si trovano all’interno di diversi palazzi, come nel vecchio ospedale civile di piazza Fiume, nel palazzo della provincia, a palazzo ducale, nell’ospizio di San Pietro». E poi c’è la statua di piazza d’Italia, quella che ritrae Vittorio Emanuele II di Savoia. Per l’occasione Sartorio lavorò su un enorme blocco di marmo arrivato da Carrara, il più grande mai trasportato in Sardegna. All’inaugurazione della statua, nel 1899, parteciparono anche il re Umberto I e la regina Margherita. E
proprio per salutare i reali, Sassari organizzò una grande sfilata di costumi sardi. Fu la prima edizione – se si esclude quella del 1711 – della Cavalcata sarda. Il mistero della morte Celebre in tutta Italia, Sartorio fece perdere le sue tracce a 68 anni nella notte tra il 19 e il 20 settembre 1922, cento anni fa esatti, a bordo del piroscafo Tocra, tra il porto di Terranova, l’attuale Olbia, e quello di Civitavecchia. È certo che si imbarcò, ma la mattina del 20 non venne trovato da nessuna parte. Come ha ricostruito alcuni anni fa nella sua tesi anche Carolina Onnis, ex studentessa dell’Accademia di Sassari, le piste d’indagine furono tre. Forse suicidio, visto che Sartorio aveva da poco perso la moglie. O magari una disgrazia, considerato che lo scultore soffriva di una sindrome vertiginosa che avrebbe potuto fargli perdere l’equilibrio. Oppure un delitto a scopo di rapina, visto che il suo portafoglio non fu mai ritrovato

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