Antisemitismo e simboli «inamovibili»
Paolo Salom corriere della sera | 15 giugno 2022
Il caso del bassorilievo offensivo che adorna la chiesa di Wittenberg e che secondo i giudici tedeschi deve rimanere come monito a quello che è stato
È durata due anni la vicenda legale intorno al bassorilievo che adorna la chiesa di Wittenberg (dove Lutero aveva affisso le sue 95 tesi) ma promette di andare avanti ancora per molto. I giudici della Corte suprema federale tedesca hanno infatti respinto il ricorso avverso a due sentenze di tribunali minori stabilendo che la «Judensau» deve rimanere dov’è. Judensau, ovvero «scrofa ebraica» (in Germania ce ne sono una trentina), figura medievale che rappresenta due ebrei nell’atto di suggere il latte dai capezzoli dell’animale, mentre quello che dovrebbe essere un rabbino ne ispeziona il deretano sollevando la coda. Un’opera «educativa» ai tempi che raffigurava gli ebrei come «corpo separato e bestiale» e contribuiva così ad alimentare l’antisemitismo popolare.
Nel Paese della Riforma e dell’Olocausto, era forse venuto il momento di mostrare un atteggiamento differente. La causa era stata intentata da un membro della comunità ebraica di Bonn, oggi settantottenne, scandalizzato dalla presenza di quell’immagine, accompagnata soltanto da un avviso che la contestualizza.
Certo le motivazioni dei giudici federali tedeschi appaiono anche condivisibili. In un mondo ideale, considerare l’opera non più un’istigazione all’odio ma un monito a quello che è stato può apparire giusto, efficace addirittura.
Ma altrove l’opinione pubblica si solleva per molto meno. La cosiddetta cancel culture arriva ad abbattere monumenti a personaggi storici del passato lontano per il loro ruolo nella società del tempo (quando, tanto per fare un esempio, era «normale» avere schiavi o promuovere il colonialismo). Per una figura, la Judensau appunto, che resta altamente offensiva per gli ebrei contemporanei, all’indomani dello sterminio di un mondo intero (la Shoah non può essere sganciata dai sentimenti che hanno permeato la società europea, e tedesca in particolare, nel corso dei secoli), il silenzio che ne ha accompagnato il percorso nelle aule di tribunale appare quanto meno sospetto. Per fortuna, l’autore della denuncia, Michael Düllmann, ha promesso di non arrendersi.
Ma altrove l’opinione pubblica si solleva per molto meno. La cosiddetta cancel culture arriva ad abbattere monumenti a personaggi storici del passato lontano per il loro ruolo nella società del tempo (quando, tanto per fare un esempio, era «normale» avere schiavi o promuovere il colonialismo). Per una figura, la Judensau appunto, che resta altamente offensiva per gli ebrei contemporanei, all’indomani dello sterminio di un mondo intero (la Shoah non può essere sganciata dai sentimenti che hanno permeato la società europea, e tedesca in particolare, nel corso dei secoli), il silenzio che ne ha accompagnato il percorso nelle aule di tribunale appare quanto meno sospetto. Per fortuna, l’autore della denuncia, Michael Düllmann, ha promesso di non arrendersi.
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