C’erano una volta gli album e le vendite. Ora, spiega Paola zkar lamanager che ha fatto da chioccia a Clementino, Fabri Fibra, Marracash e scoperto Madame, è tutto cambiato. Adecretare il successo di un brano può essere Tik Tok. Un computer. O un confessionale a un concerto
Ricorda che la svolta, per il rap in Italia, è stata nel 2016. Santo streaming. «Però, nei dieci anni primaera stata dura», ammette Paola Zukar, genovese, 54 anni, manager discografica che assomma due faticosi primati per il nostro Paese: è donna e si occupa di rap. Adesso sembra quasi facile parlare dei successi di Madame che di anni ne ha 20, si è fatta conoscere nel 2019, ha conquistato anche il grande pubblico a Sanremo 2020 con il brano Voce e nel 2021 si è imposta come artista dell’anno, in campo musicale. Fino al sold out del suo Madame in Tour, che, dalla primavera e per tutta l’estate 2022, sta diventando un appuntamento con la libertà per migliaia di giovani e giovanissime, ma anche giovanissimi. Che sia fiuto per il marketing o sentimento, Madame ha inserito nei suoi concerti un “momento confessionale”. Dopo aver rassicurato i presenti che sono al sicuro e per questo possono esprimersi liberamente e dire quello che non hanno mai voluto o avuto il coraggio di dire, cede loro il microfono. Funziona. È il paradosso tutto attuale dell’intimità collettiva, quasi uno specchio dal vero dei social: «Adesso i brani non si scaricano neanche più, si ascoltano sulle piattaforme come Spotify o Apple, fino a sfinimento, quando piacciono», spiega Zukar. «Ma anche chattare e connettersi, soprattutto dopo due anni di pandemia, è diventato insufficiente. I ragazzi vogliono condividere, ballare, stare insieme».
Da quando la musica si è smaterializzata, è difficile pure capire che fa una discografica come lei. In sintesi?
«Io sono un hub, una centrale di smistamento: seguo la parte discografica, ovvero ascolto nuovi artisti e brani e valuto quali possano funzionare. Adesso lo faccio meno, perché sono concentrata sui miei “ragazzi”: Madame, Clementino, Marracash e Fabri Fibra. Poi mi occupo di tutto il resto: dai rapporti con i promoter, che organizzano i concerti e i tour, a quelli con le agenzie di pubblicità».
Ed è sempre convinta che, in epoca Tik Tok, ovvero dei video di pochi secondi sui social, bisogna produrre album?
«Sì, è quello che gli americani chiamano “the body of work”, il “corpus di opere”: raccogliere i brani singoli sotto un unico titolo mette gli artisti su un altro livello. Dopodiché è vero che agganciare un album a Tik Tok è complicato. Però il brano Propaganda di Fabri Fibra, Colapesce e Dimartino è esploso proprio grazie a Tik Tok. Non ci avreimai creduto. Invece i ragazzi lo reinterpretano, lo fanno andare accelerato, lo reinventano. Non accade ovviamente con tutti i brani e a volte succede con pezzi vecchi, che vanno a ripescare. Ma poi è un vero volano».
Streaming, social e pandemia: è con questi “complici” che è riuscita a far esplodere il rap in Italia, il Paese del Belcanto?
«Il rap è l’anti-Italia: obbedisce ad altri canoni estetici. Da noi non lo consideravano neanche musica. La gente si indignava: è pieno di parolacce, non cantano, non hanno una bella voce…».
E lei insisteva?
«L’ho scoperto negli anni ’80 negli Stati Uniti. Per me è necessario per esprimere un certo mondo giovanile e una certa rabbia. Certo, ci abbiamo messo tempo per adattare l’italiano alle metriche rap. Non è una musica autoctona. Ma esistono anche il rap giapponese, tedesco e francese e nascono dallo stesso bisogno di esprimere concetti brutali».
Un recinto per giovani?
«Marracash ha appena compiuto 43 anni: fa una musica adulta. Fabri Fibra ne ha 45: per i ragazzi è una specie di macchina del tempo».
Per le femministe, invece, è stato un nemico. In Su le mani canta: «Non conservatevi datela a tutti anche ai cani/ Se non me la dai io te la strappo come Pacciani». Come faceva a sopportarlo, da donna?
«Non è stato capito: lui raccontava un mondo. Brutale, appunto. Il rap è questo. AncheMadame ha una penna affilata. I testi sono complessi. Alcuni li ho capiti dopo anni. Dentro c’è un po’ di tutto, ma certo non è un genere accomodante. E contiene cose artisticamente pregevoli. Non è facile scrivere in rima rispettando la metrica. Kendrick Lamar, tra i miei preferiti, ha vinto il Pulitzer per la musica nel 2018. Noi non abbiamo un premio equivalente. Però adesso i testi rap vengono studiati anche all’Università».
Eppure molti rapper sono passati al pop.
«Già, da Jovanotti in poi. È una tentazione legittima e forte: magari il pop lo sanno fare meglio».
È la sirena Sanremo-Eurovision?
«Il rap entra poco in questi mondi. Non è arrivato in tv. È difficile da raccontare. Ma poiché i media tradizionali sono invecchiati e spenti, forse non è così importante: non si può fare a meno di radio e tv, ma ci sarà un ricambio».
Può spiegare a chi è di un’epoca precedente a Madame perché alcuni artisti, come Kina, Zef e Marz, si chiamano “produttori”?
«Perché sono compositori che utilizzano i computer e chiamano spesso altri musicisti per i loro brani e fanno scrivere ad altri i testi. Sono i moderni compositori, direi. Ma gestiscono tutta la filiera musicale».
Sia che che si condivida o meno è sempre interessantissimo ascoltarla ed leggerla per imparare. Una delle figure più importanti di tutto il game, colei che ha mediato tra artisti e discografia, un merito è che essendo donna ha saputo districarsi in un ambiente maschio e colmo di machismo anche fine a se stesso.
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