Ora nel momento in cui scrivo la campagna di boicottaggio #CancelNetflix ha raccolto 640mila firme in tutto il mondo e causato una grossa perdita in borsa al titolo del gigante americano. Soprattutto, #CancelNetflix si è dimostrata una campagna estremamente simbolica di alcuni meccanismi chiave del nostro tempo. Questo, in breve, il riassunto di quello che è accaduto: Netflix ha messo online Mignonnes,
<< Va da sé che un alieno che vedesse su un ipotetico TwitterGalaxy questi tweet terresti che denunciano, riportandoli, i manifesti e i video del film potrebbe lanciare un boicottaggio contro i boicottatori perché mostrano immagini compromettenti di bambine. Il punto di tutta la vicenda è, infatti, che quando l’intera architettura comunicativa della piattaforma digitale permette l’estrapolazione emotiva di un contenuto dal suo contesto – anzi l’incentiva perché chi denuncia un presunto scandalo ottiene attenzione, la moneta corrente del mondo social – nessun discorso che non sia quello dell’oltraggio subito è più possibile, perché non è più possibile alcuna reale argomentazione, solo ombre di significati, reazioni morali istintive che finiscono per ottenere il risultato opposto a quello che si prefiggono e nascondo, con il loro rumore assordante, ogni possibile obiezione. Tantomeno è possibile ogni forma di critica, visto che per definizione la critica deve riproporre al suo interno anche l’oggetto di cui sta parlando e questo mette in moto il circolo vizioso descritto qui sopra. I boicottatori vanno dal senatore repubblicano Ted Cruz ai numerosi complottisti di QAnon, un gruppo di persone che crede che Hollywood e l’industria dell’intrattenimento siano dominate dai pedofili. Molti di loro hanno ammesso di non aver visto Mignonnes (Cuties, nella sua versione inglese), sottintendendo che non ci sia bisogno di vedere un film tanto oltraggioso prima di condannarlo. Per la cronaca io Mignonnes l’ho visto, ed è un bel film, molto divertente nella prima parte, quella in cui si forma la piccola gang di teppistelle ossessionate dai video online, proprio come le loro coetanee nel mondo reale sono consumatrici e produttrici di video di balletti su TikTok su YouTube, e poi mano a mano più drammatico, fino ad un finale che si interroga sulla prematura perdita dell’innocenza delle bambine nella nostra epoca. La regista è Maïmouna Doucouré che per sua fortuna – visto quello che è accaduto – almeno non è un maschio bianco etero con antenati vichinghi ma una franco-senegalese e ha un tocco assieme leggero e drammatico, realistico e poetico, insomma, è brava. Non edulcora nemmeno per un momento la drammatica condizione subalterna delle donne all’interno della comunità musulmana in cui vive la protagonista del film – la madre della protagonista deve subire obtorto collo il secondo matrimonio del marito, poligamo proprio come il padre della regista – racconta anche le ossessioni per la magia delle donne di famiglia e insomma mette ben in chiaro come anche il decadimento dei nostri costumi, rispetto a tutto questo, possa risultare attraente per una bambina che cresce a cavallo di due culture e che in quella occidentale può comunque trovare più riconoscimento per il suo corpo e per la sua libertà individuale. Come questo richiamo non però sia a sua volta privo di rischi è precisamente il tema del film. Insomma, parecchia carne al fuoco ma Doucouré la gestisce sempre con sicurezza. Questo non le ha impedito – una volta scatenatosi il boicottaggio globale – di ricevere numerose minacce di morte, ma anche il sostegno del governo francese che ha annunciato che il film sarà usato come materiale didattico nelle scuole (ve la immaginate il ministro Azzolina prendere una decisione del genere? ). Due altre osservazioni che si possono ricavare da questa ennesima campagna di boicottaggio.>>
Il boicottaggio. "Mignonnes" (Cuties) è un film duro, ma educativoNon si spiega la campagna contro Netflix: non c’è alcuna «scandalosa sessualizzazione di adolescenti» come hanno scritto alcuni tra i 600mila firmatari di una petizione
Gli utenti che si sono indignati con Netflix lanciando una campagna di sabotaggio contro la piattaforma online per il film Mignonnes, conosciuto con il titolo internazionale Cuties, o non l’hanno visto o si sono limitati davvero alla locandina. Altrimenti non l’hanno capito o l’hanno guardato con occhi sbagliati. Il film della regista franco-senegalese Maïmouna Doucouré non ruota intorno a una «scandalosa sessualizzazione di adolescenti » né ovviamente «incentiva la pedofilia», come invece hanno scritto alcuni tra gli oltre 600 mila firmatari di una petizione contro il colosso della distribuzione di film e serie tv via internet.
Non si è molto credibili a difendere il diritto di critica dopo che con una leggerezza imperdonabile assieme a degli autentici colpevoli si sono aggredite anche le vite, le carriere e le famiglie d’innocenti – vale a dire anni di lavoro, d’impegno, di legami e di emozioni umane – e tutto per il solo piacere lungo trenta secondi di un tweet. È probabile che ora nelle parole di coloro che riscoprono la libertà di espressione solo quando riguarda la loro tribù, il resto del mondo riesca a sentire solo rumore di unghie sugli specchi. Perché quando si distrugge il discorso pubblico, si rinuncia al dialogo e al dibattito, alla sfida intellettuale, al confronto per sostituirlo con la censura e si divide la società in infiniti sottogruppi che hanno la pretesa di definire in toto una persona, si apre un vaso di Pandora le cui conseguenze possono diventare del tutto fuori controllo.
Non ho una frase univoca e a effetto per concludere il ragionamento: in generale la polemica che è montata – come fa notare questo interessante articolo di http://https://www.rollingstone.it/ - e che sta purtroppo continuando a montare – mi sembra basata sul nulla, originata più dai timori, dall’ipocrisia e dalle inibizioni del pubblico adulto. È però purtroppo lo specchio (l’ennesimo) del tempo malato in cui ci tocca vivere, che gode nel vedere solo del marcio ovunque, in Woody Allen, in Roman Polanski, in Via col vento, nel trailer di We Are Who We Are di Luca Guadagnino, in Jodie Foster che interpreta una prostituta adolescente in Taxi Driver, in Amy e nelle Mignonnes. Un tempo malato in cui la gente non sa decodificare più nulla, e che mi lascia con un’unica, laconica certezza: preparatevi, ché ad andare avanti così si salverà solo Peppa Pig. E se invece fosse solo una storia molto verosimile che non sappiamo (o vogliamo) accettare ed la nascondiamo sotto i tappeto o faciamo crescere i nostri figli\e sotto una cappa falsamente ed ipocritamente iperprottettiva non allenandoli alle brutture e a cercare di ridurle del mondo che ci circonda ?
Nessun commento:
Posta un commento