Ma ora basta parlare di me , altrimenti rischio di cadere nella nostalgia e nella tristezza oltre a rischiare di piangermi addosso . E veniamo alla storia di Carlo G e di Carlo C .
Unione sarda 15\9\2024
Il loro campionato lo hanno vinto quando sono usciti dalla sala operatoria dopo il trapianto, di fegato in un caso e di rene nell’altro, riprendendo a vivere come tutti e facendo sport. Questo grazie al gesto,meraviglioso, di un donatore e della loro famiglia. Ma Carlo Garbarino, cagliaritano di 60 anni, autista del Ctm da due mesi in pensione, e Carlo Cicalò, 50enne di Cagliari ora residente con la famiglia a Elmas, hanno vissuto anche l’emozione di disputare, da protagonisti, un campionato del Mondo di calcio: a Formia, nella settimana che si è appena conclusa, si è giocata la prima edizione della competizione mondiale per trapiantati. Alla fine gli azzurri hanno chiuso al quinto posto. Ma il risultato passa in secondo piano rispetto al messaggio che hanno voluto lanciare: «Un’emozione unica poter vestire la maglia della nazionale per diffondere la cultura della donazione che permette a tante persone di rifarsi una seconda vita».Passione in comuneGarbarino, fresco di pensione, e Cicalò, impiegato in una grande azienda, hanno dunque indossato maglietta, pantaloncini e scarpette per difendere i colori dell’Italia e affrontare le altre nazionali: Cile (che alla fine ha vinto il campionato del Mondo), Spagna, Inghilterra, Francia, Irlanda, Australia, Galles, Usa, Irlanda del Nord e Romania. Oltre al trapianto, i due cagliaritani sono legati da un passione comune: quella per il calcio. Garbarino, ex giocatore, ha disputato tantissimi campionati di Interregionale, Eccellenza, Promozione con Selargius, Sirio, Pula, Assemini, Gialeto, Settimo, Sarroch e Villasimius vincendone più di 15, e provando anche la strada da allenatore. Cicalò da ragazzo non riusciva a staccarsi dal pallone ma a 17 anni sono arrivati i problemi ai reni. Per entrambi è arrivato lo stop forzato. Per poi ripartire.Gratitudine«Dopo la malattia ai reni e l’emodialisi, a 21 anni, ho dovuto lasciare l’attività agonistica», ricorda Cicalò. «Il trapianto, grazie a un donatore, mi ha ridato la vita. Ho ripreso così a giocare a calcio nel Sant’Avendrace, lavorare e farmi una famiglia. Dopo tredici anni però ho avuto un rigetto. E c’è stato il gesto meraviglioso, che ancora oggi mi commuove ed emoziona: mio fratello Alberto mi ha donato un rene, riportandomi ancora una volta in vita e permettendomi di riprendere con il calcio». Facendo parte da tanti anni dell’Associazione nazionale emodializzati, ha saputo che ci sarebbero stati i campionati del Mondo di calcio per trapiantati. «Mi sono candidato, ho fatto i raduni e sono stato selezionato. E ho potuto vivere questa meravigliosa esperienza, conoscendo tante splendide persone e le loro storie. E abbiamo ricordato, con grande riconoscenza, i nostri donatori e le loro famiglie: grazie a loro abbiamo avuto una seconda vita».La partita più importanteGarbarino si trova ad affrontare la sfida più difficle nel 2012, l’anno del trapianto: un anno prima, a seguito della cura per una calcolosi renale scopre – purtroppo tardi – un’allergia ai farmaci che compromette il funzionamento del fegato. Serve il trapianto. «Una domenica», ricorda Garbarino, «gioco la partita più importante della mia vita in una sala operatoria. Grazie a Gianmario Milia, il mio angelo morto in un incidente stradale, e alla sua famiglia che ha acconsentito alla donazione, ho avuto una seconda possibilità. Ho ripreso a lavorare, a correre e a giocare a calcio. E nel 2014 è nata mia figlia Dalia». Scendere in campo, per un ex calciatore come lui, con la nazionale trapiantati (vicendo anche i campionati Europei con l’Italia nel 2019) è quasi naturale: «Divulgare la cultura della donazione degli organi è la nostra missione. Per dimostrare che si può ritornare a vivere al massimo, grazie a un dono che moltiplica la vita e l’amore».
Il loro campionato lo hanno vinto quando sono usciti dalla sala operatoria dopo il trapianto, di fegato in un caso e di rene nell’altro, riprendendo a vivere come tutti e facendo sport. Questo grazie al gesto,meraviglioso, di un donatore e della loro famiglia. Ma Carlo Garbarino, cagliaritano di 60 anni, autista del Ctm da due mesi in pensione, e Carlo Cicalò, 50enne di Cagliari ora residente con la famiglia a Elmas, hanno vissuto anche l’emozione di disputare, da protagonisti, un campionato del Mondo di calcio: a Formia, nella settimana che si è appena conclusa, si è giocata la prima edizione della competizione mondiale per trapiantati. Alla fine gli azzurri hanno chiuso al quinto posto. Ma il risultato passa in secondo piano rispetto al messaggio che hanno voluto lanciare: «Un’emozione unica poter vestire la maglia della nazionale per diffondere la cultura della donazione che permette a tante persone di rifarsi una seconda vita».Passione in comuneGarbarino, fresco di pensione, e Cicalò, impiegato in una grande azienda, hanno dunque indossato maglietta, pantaloncini e scarpette per difendere i colori dell’Italia e affrontare le altre nazionali: Cile (che alla fine ha vinto il campionato del Mondo), Spagna, Inghilterra, Francia, Irlanda, Australia, Galles, Usa, Irlanda del Nord e Romania. Oltre al trapianto, i due cagliaritani sono legati da un passione comune: quella per il calcio. Garbarino, ex giocatore, ha disputato tantissimi campionati di Interregionale, Eccellenza, Promozione con Selargius, Sirio, Pula, Assemini, Gialeto, Settimo, Sarroch e Villasimius vincendone più di 15, e provando anche la strada da allenatore. Cicalò da ragazzo non riusciva a staccarsi dal pallone ma a 17 anni sono arrivati i problemi ai reni. Per entrambi è arrivato lo stop forzato. Per poi ripartire.Gratitudine«Dopo la malattia ai reni e l’emodialisi, a 21 anni, ho dovuto lasciare l’attività agonistica», ricorda Cicalò. «Il trapianto, grazie a un donatore, mi ha ridato la vita. Ho ripreso così a giocare a calcio nel Sant’Avendrace, lavorare e farmi una famiglia. Dopo tredici anni però ho avuto un rigetto. E c’è stato il gesto meraviglioso, che ancora oggi mi commuove ed emoziona: mio fratello Alberto mi ha donato un rene, riportandomi ancora una volta in vita e permettendomi di riprendere con il calcio». Facendo parte da tanti anni dell’Associazione nazionale emodializzati, ha saputo che ci sarebbero stati i campionati del Mondo di calcio per trapiantati. «Mi sono candidato, ho fatto i raduni e sono stato selezionato. E ho potuto vivere questa meravigliosa esperienza, conoscendo tante splendide persone e le loro storie. E abbiamo ricordato, con grande riconoscenza, i nostri donatori e le loro famiglie: grazie a loro abbiamo avuto una seconda vita».La partita più importanteGarbarino si trova ad affrontare la sfida più difficle nel 2012, l’anno del trapianto: un anno prima, a seguito della cura per una calcolosi renale scopre – purtroppo tardi – un’allergia ai farmaci che compromette il funzionamento del fegato. Serve il trapianto. «Una domenica», ricorda Garbarino, «gioco la partita più importante della mia vita in una sala operatoria. Grazie a Gianmario Milia, il mio angelo morto in un incidente stradale, e alla sua famiglia che ha acconsentito alla donazione, ho avuto una seconda possibilità. Ho ripreso a lavorare, a correre e a giocare a calcio. E nel 2014 è nata mia figlia Dalia». Scendere in campo, per un ex calciatore come lui, con la nazionale trapiantati (vicendo anche i campionati Europei con l’Italia nel 2019) è quasi naturale: «Divulgare la cultura della donazione degli organi è la nostra missione. Per dimostrare che si può ritornare a vivere al massimo, grazie a un dono che moltiplica la vita e l’amore».
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