6.9.24

Ana Maria Vitelaru è bronzo olimpico: "Al mio fratellino che non c’è più"

Ana Maria Vitelaru, classe 1983, è nata in Romania prima di trasferirsi in Italia appena diciassettenne. Un incidente mentre era alla stazione ferroviaria l’ha costretta all’amputazione di entrambe le gambe e a diversi interventi chirurgici. Lo sport è sempre stato nel suo dna. Appassionata di trekking in montagna, per quasi un decennio ha giocato ad alti livelli a basket in carrozzina, facendo parte anche della nazionale italiana femminile dal 2004 al 2009. Da sempre attratta dal ciclismo, ha poi iniziato ad allenarsi con l’handbike assieme al team di Obiettivo3, raggiungendo in breve tempo la Nazionale. Per prepararsi Vitelaru ha preso un anno di aspettativa dal lavoro (in una industria tessile), cercando di mettersi in moto soprattutto in questi ultimi mesi, nonostante il lutto, con due ritiri da 20 giorni ciascuno. Se ripensa al passato, spiega che le cose sono cambiate molto da quell’incidente: «Fino al 2004 non sapevo quasi nulla delle discipline paralimpiche, perché a livello mediatico c’è una lacuna immensa, anche se ora meno di un tempo. Ho iniziato con il basket quasi per caso, poi con l’handbike è stato amore a prima vista. L’incontro con Alex Zanardi mi ha cambiato la prospettiva, con lui ho iniziato a pedalare e a vincere le prime gare».

Il resto è storia, ma se le si chiede cosa si può fare ancora per migliorare la sensibilità e l’attenzione delle persone verso lo sport paralimpico, risponde così: «Dal 2005 vado nelle scuole a parlare di disabilità e sport, dalle elementari all’università, perché manca ancora tanta informazione. Vado anche negli ospedali e cerco di fare raccolte per aiutare le persone in difficoltà: le persone devono sapere che c’è un mondo là fuori, che tutto è possibile. All’inizio per me era tutto difficile, mi sentivo sola, ma con il tempo ho capito che la mia è una vita, non una vita da disabile. Conoscere aiuta a sentirsi meno soli, a combattere la depressione di chi si chiude, aiuta ad uscire dal guscio». Un ulteriore porto sicuro è il sostegno della famiglia: «La mia famiglia purtroppo è lontana, ma ho una persona sempre molto vicino a me. Allo stesso modo credo sia fondamentale anche il sostegno della tifoseria, che dà la carica: il mio motto è che lo sport disabilita i limiti, tutti».
Sulla preparazione alle Paralimpiadi, Vitelaru ha un approccio simile a tutte le altre cose della vita: «Da bambina ho sempre avuto la passione di realizzare vestiti per bambole; mentre creavo questi vestiti li facevo a tema, e mentre facevo queste cose pensavo a cosa avrei voluto fare da grande. Oggi faccio tutto ciò che mi ero preposta da bambina; credo si debba sempre iniziare così, dalle basi, mettendo un tassello dopo l’altro, come nella preparazione alle Paralimpiadi: un passo al giorno per un obiettivo lontano nel tempo».E sul futuro? «Dopo le paralimpiadi ci sarà il mondiale a Zurigo, ma ora mi dedico a questa competizione e a rimettere insieme i pezzi dopo la mia perdita; mi piacerebbe poter arrivare a fare una dedica speciale a mio fratello, questo è il mio sogno. La cosa più grande sarebbe arrivare a medaglia per lui, che mi aveva promesso sarebbe venuto a vedermi».Oggi è alle Paralimpiadi, con le idee molto chiare: «È una cosa grandiosa – ci ha detto – avere la possibilità di esserci. Alle spalle ho una preparazione lunga e sono consapevole della grossa responsabilità e dell’onore», soprattutto in un anno particolare dal punto di vista familiare: «Quattro mesi fa ho subito una grossa perdita, il mio fratello più piccolo. È stata una cosa improvvisa e mi ha destabilizzata, perché testa e cuore viaggiano insieme». Ha dovuto lottare per riprendersi psicologicamente e rispondere alla domanda : << Come posso vivere senza due gambe? >>. Ha lottato contro La scuola diventa un incubo, dove coetanei ignoranti l'hanno fattapiangere ogni giorno bullizzandola. Ma alla fine : << "Una medaglia olimpica era il mio grande sogno e sono riuscita a realizzarlo, nonostante un anno difficile che solo qualche mese fa mi ha privata di Neculai, il mio fratellino. E’ stato devastante e ora il colore della medaglia non conta, gliela dedico tutta. Durante la gara l’ho sentito di fianco a me che m’incitava e io non ho mai mollato con il pensiero sempre rivolto a lui >>.  Sono queste leprima parole di Ana Maria Vitelaru, la 41enne atleta che ieri ha vinto il bronzo nella gara di handbike H5 alle Paralimpiadi di Parigi. Era la sua seconda olimpiade dopo quella sfortunata di Tokyo, coincisa con la prima medaglia dell’handbike femminile di Parigi e la 49ª medaglia vinta sinora dagli azzurri.Non va dimenticato comunque che la Vitelaru ha vinto la Coppa del Mondo 2024 e che la sua stagione era già comunque eccellente. "Devo ringraziare tutti e non voglio dimenticare nessuno: mio marito Nicola, le ragazze del lavoro del gruppo Max Mara, il team azzurro, la mia società di appartenenza, il gruppo Obiettivo3 e tutti quelli che mi sono stati vicini in questo periodo e durante la gara. Li ho sentiti tutti vicini, compresi i tifosi che magari seguivano la gara dall’Italia in televisione. Qui il meccanico Rino Parmigiani e il fotografo Paolo Codeluppi piangevano a dirotto per l’emozione. E poi un grazie al preparatore Michele Maggi".Partiamo dal risultato finale: prima la statunitense Oksana Masters in 1h52’14’’, definita "aliena" da Ana Maria, sulla cinese Bianbian Sun in 1h.52’25’’, la Vitelaru in 1h.52’27’’, la tedesca Andrea Eskau in 1h.52’40’’ e l’altra azzurra Katia Aere in 1h.59’01’’. Ritirata l’olandese Chantal Haenen.

Allora, Ana Maria, che gara è stata?

"Sinceramente non ho mai pensato di poter vincere una medaglia diversa dal bronzo, salvo che a poche centinaia di metri dal traguardo ero assieme alla cinese, mentre l’americana volava sotto lo striscione. A quel punto ci ho provato con tutte le mie forze, ma non sono riuscita a ribattere la volata della Sun. In Coppa del Mondo ero caduta e mi sono portata dietro un dolore muscolare che è tornato proprio nella volata finale. Sì, poteva essere anche un argento, ma la mia gara è stata quella di seguire la Masters sino a che le forze mi reggevano".

Tecnicamente come si è sviluppata?

"Tante fughe, specie sulle salite dove le avversarie cercavano di sfoltire il gruppo. In più la pioggia ha reso pericoloso il percorso, ma alla fine me la sono giocata, con punte di velocità oltre i 65 all’ora".

Lei corre con la bici di Zanardi?

"Certamente, ci sono due esemplari di questa bici, una la ho io, l’altra è al museo di Padova. Nel 2018 promisi ad Alex che sarei diventata la sua campionessa, perché mi ha insegnato tantissimo, specie nella gara in linea. Un giorno mi chiamò a casa sua con la scusa di sistemare il mezzo che io usavo a quel tempo: lo vedevo stranamente emozionato ed era perché stava per regalarmi la sua bike, un mezzo speciale".

E ora?

"Mi godo la medaglia, riprendo subito allenamenti più leggeri e soprattutto sarò alla cerimonia di chiusura. Già non vedo l’ora".

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