17.8.24

Marco Pinosa sindaco di Lusevera ( udine ) dona 35 frigoriferi ai carcerati, un gesto che parte da lontano: «È un modo per sdebitarmi. In carcere ho capito cosa vuol dire essere privati della libertà

Un gesto autentico, generoso e per niente scontato  a mio  avviso  ,  quello compiuto da Mario Pinosa, sindaco del piccolo comune di Lusevera che conta 600 abitanti, in provincia di Udine.
Ecco la  vicenda     trovata  su msn.it   
 Il primo cittadino ha dato vita a un'iniziativa lodevole: ha aderito alla raccolta fondi e si è fatto così carico dell'intera somma necessaria all'acquisto di 35 frigoriferi per i detenuti in carcere: 5.250 euro, che saranno investiti nell’operazione anti canicola.
Un frigo per ogni cella, questo lo slogan dell'iniziativa. Un gesto che parte da lontano, precisamente dal 1980, anno in cui Pinola è stato detenuto nello stesso carcere a causa di un'irregolarità nel porto d'armi, per otto giorni. Il sindaco ha avuto modo di sdebitarsi, nei pochi giorni in carcere Pinosa ha capito cosasignifica essere privati della libertà.
35 frigoriferi per i detenuti
Il Sindaco Mario Pinosa ha rilasciato delle dichiarazioni a la Repubblica, spiegando come il suo gesto sia stato un modo per sdebitarsi: «Non appena liberato mi ripromisi di fare qualcosa per quel carcere. Rimasi in via Spalato soltanto 8 giorni, ma mi bastarono per capire cosa vuol dire essere privati della libertà. Scoprii un mondo diverso, che non avrei mai immaginato di conoscere. Ero terribilmente avvilito, ma i compagni con cui dividevo la cella non smisero mai di confortami». Un impegno che Pinosa si è preso 44 anni fa e che ha mantenuto.
Il carcere
Il Sindaco ha spiegato l'incoveniente che gli è costato la reclusione per otto giorni, al centro c'è la sua grande passione, la pistola da tiro a segno: «Era ed è la mia grande passione. L’avevo appena comprata e, non vedevo l’ora di andare al poligono a provarla. A due mesi di distanza da quando avevo portato tutti i documenti per il rinnovo del porto d’armi in Questura, a Udine, telefonai all’ufficio armi per sapere a che punto fosse la pratica e mi fu risposto che era tutto a posto e che mancava solo il visto del responsabile per consegnarmi la documentazione. Questione di ore, insomma». Successivamente è arrivata la disattenzione fatale: «Il sabato mattina richiamai, ma non rispose nessuno.
Essendo stato rassicurato sulla regolarità delle carte, decisi comunque di andare al poligono di Udine. Lì, consegnai l’arma per il consueto controllo di polizia e fornii anche copia dei documenti portati in Questura. Ottenuto il via libera, mi dedicai ai tiri. Alla fine della gara, però, lo stesso poliziotto mi disse che doveva portarmi in Questura, perché, non avrei dovuto muovermi da casa con la pistola senza avere ricevuto il porto d’armi. Questo, mi disse, mi sarebbe costato una contravvenzione. Ma andò peggio. In Questura si presentò un anziano poliziotto che, mortificato, mi spiegò che in quel frangente, era il periodo della Brigate Rosse: qualche giorno più tardi avrebbero ucciso Vittorio Bachelet, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, le disposizioni sui controlli di armi e porto d’armi erano rigidissime e che, di conseguenza, era costretto a portarmi in carcere. Mi crollò il mondo addosso»

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