8.8.24

Diario di bordo n 70 anno II «La Sardegna è la mia terra»: la parola alla pastora 23enne Beatrice Marcia ., Un'indagine sulla condizione femminile: discriminazioni politiche, sociali e religiose le foto della yemenita Boushra Almutawakel e dell' iraniana Shadi Ghadiriandi., La Tornanza: il movimento culturale che sfida lo spopolamento del Sud Italia., esitudine , La Tornanza.


«La Sardegna è la mia terra»: la parola alla pastora 23enne Beatrice Marcia
Figlia di genitori sardi, vive in Toscana, dove fa la pastora. La Sardegna? la sua terra, senza se e senza ma. «La Sardegna è una terra che ho nel sangue, amo tutto ciò che la riguardi... quest’Isola è tutto per me. I miei genitori – nonostante siano in Toscana da molto tempo – hanno sempre cercato di mettere un po’ di Sardegna in tutto ciò che fanno, io infatti mi ritengo sarda al 100% e ne vado super fiera.»
«La Sardegna è una terra che ho nel sangue, amo tutto ciò che la riguardi: le tradizioni, i suoi profumi, la mia gente… quest’Isola è tutto per me. Ci tengo anche a dire che i miei genitori – nonostante siano in Toscana da molto tempo – hanno sempre cercato di mettere un po’ di Sardegna in tutto ciò che fanno, io infatti mi ritengo sarda al 100% e ne vado super fiera. Poi, come si fa a non amarla? È la terra più bella al mondo, dove non manca niente, i paesaggi, l’ospitalità delle persone, le infinite tradizioni. In più, mi ha trasmesso il più bel lavoro del mondo.»
Beatrice Marcia, 23 anni, abita nel Casentino, in un piccolo borgo, ma i suoi genitori sono sardi doc: la mamma è nata e cresciuta nell’Isola, mentre il padre è figlio di emigrati sardi arrivati in Toscana negli anni Sessanta.
Molto legata alle sue origini e alla sua terra, la Sardegna, Beatrice – insieme ai suoi genitori – è una pastora. E porta avanti questo mestiere con fierezza.
«Ho studiato come segretaria d’azienda, ma all’età di 16 anni ho lasciato la scuola perché la mia passione per la pastorizia ero molto più forte e il mio cuore mi ha portato a seguire quella strada» racconta. «Adesso, anche se ho solo 23 anni, mi sento molto realizzata. Certo, i sogni da realizzare nel cassetto sono molti, quello più importante è sicuramente ingrandire l’azienda e riuscir a portare avanti tutto ciò con orgoglio.»
In azienda la 23enne si occupa degli animali insieme al babbo e della parte casearia insieme alla mamma.
«La mattina ci svegliamo presto, portiamo in gregge al pascolo, torniamo e mungiamo a mano. Finita la 
fase della mungitura, portiamo il latte in caseificio e lo lavoriamo subito, trasformiamo il latte a crudo e come la mungitura anche il formaggio viene fatto a mano… la sera procediamo allo stesso modo. Aiuto mia mamma anche con le vendite, con i clienti: abbiamo infatti anche la vendita diretta.»
La pastora, un mestiere che, prima prettamente maschile, si sta – finalmente – diffondendo anche tra le donne: «Sono contenta che adesso le ragazze che fanno questo mestiere siano molte, questo significa che questo mestiere non andrà a morire. Però ho osservato che, da quando ho mostrato sui social la mia quotidianità con i miei animali, molte più ragazze non hanno avuto più paura dei pregiudizi delle persone e si sono mostrate per quello che sono e per quello che fanno. Sapere che siamo molte mi riempie il cuore di gioia… ma poi: sono una più bella dell’altra, viva le donne sempre!»
Lei la pastorizia ce l’ha nel cuore, del resto fa parte della quarta generazione.
«Mio babbo è stato molto bravo a tramandarmi tutto ciò. Basta dire che mia mamma, per farmi fare i compiti, mi minacciava: se non li avessi fatti, non mi avrebbe fatta andare con babbo dalle pecore. L’amore per questo mestiere è nato fin da subito, forse anche perché ci sono cresciuta: per me è stato tutto abbastanza naturale e normale. Il sogno che ho avuto fin da piccola che era quello di avere un caseificio, un marchio tutto nostro, così nel 2019 dopo tanti sacrifici ci siamo riusciti: il nostro caseificio è la mia vita, è tutto ciò che ho.»
La soluzione?
«Dovrebbe cambiare il commercio italiano, cioè non far esportare latte estero, ma dare valore al nostro latte. Per quanto riguarda il commercio dei prodotti caseari, dovrebbero essere più tutelate le piccole aziende che producono il proprio prodotto in modo sano, senza essere calpestate dalle grandi industrie e dalle grandi catene commerciali. Tutto ciò porterà a lungo andare alla chiusura delle piccole aziende e l’agricoltura diventerà industria: come tutti noi sappiamo l’industria tende a fare quantità e meno qualità.»
Ma Beatrice non molla, nonostante le difficoltà ha una tempra di ferro, granitica, sarda.
«Non ritengo che il mio lavoro sia pesante, è vero che non esiste un giorno di festa senza aver pensato prima a sistemare gli animali, ma quando scegli di fare questa vita è perché loro sono la tua vita. Il nostro non è un mestiere ma uno stile di vita, la libertà che ti dà questo mestiere è talmente grande che è impagabile, le soddisfazioni che ti dà non danno peso a nessuno sacrificio. A volte mi rendo conto che non faccio la stessa vita dei giovani della mia età, ma a me non interessa perché la mia felicità e la mia giovinezza la voglio vivere così, piena di valori e sacrifici che mi porteranno ad avere una vita piena di obbiettivi da portare a termine.»
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Un'indagine sulla condizione femminile: discriminazioni politiche, sociali e religiose.
Boushra Almutawakel è la prima donna fotografa riconosciuta in Yemen, con le sue foto, indaga sulla condizione femminile nei paesi islamici, mettendo in risalto la discriminazioni politiche, sociali e religiose che subiscono.
La donna è di proprietà dell’uomo che è il suo guardiano e padrone, mentre lei non ha alcuna autonomia legale. Infatti, vale metà in materia di testimonianza legale perché non è riconosciuta come persona con piena capacità giuridica in tribunale. Inoltre, la testimonianza di una sola donna non è presa sul serio se non è sostenuta da quella di un uomo.
Il 60% delle donne è analfabeta, contro il 25% degli uomini. La violenza domestica non è reato, e il tasso di mortalità per il parto è altissima. Le donne non possono uscire di casa, senza il permesso, nemmeno in caso di emergenza o per motivi di salute, e nei casi rarissimi in cui escono lo possono fare solo se accompagnate dal guardiano e coperte completamente dal velo. Sono relegate in cucina insieme alla servitù, e il loro compito è meramente riproduttivo, in quanto la loro maggiore funzione è quella di sfornare figli in quantità.
Il matrimonio infantile è accettato e incentivato, e non è raro che bambine di otto o dieci anni sposino uomini di 28 o 30 anni: il 52% delle ragazze è venduto prima dei 18 anni, il 14% sotto i 15, di cui oltre la metà intorno agli 8 anni, soprattutto in zone tribali e arretrate del Nord-Ovest.



Ma, come chiarisce la 23enne, non sempre è tutto rose e fiori.
«Ci sono anche delle piccole difficoltà, nel nostro mestiere. A volte non tutti i mesi le cose vanno bene in ambito economico, perché comunque ci sono dei periodi in cui ci sono solo uscite: il cambiamento climatico ci rende le cose difficili. Essendo in Toscana abbiamo problemi con la predazione, come gli attacchi dei lupi, e un’altra parte molto complicata è anche la troppa burocrazia, le troppe regole e i troppi limiti da rispettare.»

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La scomparsa della donna. La fotografa yemenita Boushra Almutawakel ( la  prima )  e quella dell'Irania Shadi Ghadirian (  la  second  ) parlano della condizione femminile nei paesi islamici.
La condizione della donna nello Yemen


Shadi Ghadirian è una fotografa iraniana che scatta fotografie che esasperano i costumi della sua cultura iraniana e gli stereotipi arcaici che pone sulle donne contemporanee
In Iran le donne possono contrarre il matrimonio già a 13 anni, anche prima della pubertà se c’è il permesso del tutore.Non sono libere di sposarsi con chi vogliono, senza rischiare di andare incontro al delitto d’onore.Non hanno il diritto di cantare, se non in un pubblico esclusivamente di sole donne, di ballare, di recarsi negli stadi (eccetto per le partite della nazionale).Non possono ricevere un’eredità adeguata.Non possono vestirsi come vogliono, ma hanno l’obbligo di indossare l’hijab.Non possono viaggiare all’estero da sole, se sposate, e hanno bisogno del permesso del marito.Non possono esercitare la carica di Presidente della Repubblica.Non possono condurre la bicicletta.L’età di una donna è di 9 anni per essere considerata penalmente responsabile (per i maschi 15). È prevista la pena di morte per l’adulterio tramite lapidazione. Spesso avviene anche se vengono stuprate.106 donne sono state impiccate nel 2018 e nel 2019, ma i dati dichiarati probabilmente sono per inferiori a quelli reali.Non esiste un numero ufficiale di femminicidi per “violazioni delle norme islamiche o delle consuetudini sociali”.Il 66 % delle donne sposate che hanno partecipato ad una indagine aveva subito violenza domestica almeno una volta nella vita, un numero probabilmente sottostimato rispetto ai casi reali.40 milioni di donne vivono in Iran.40 milioni di donne i cui diritti più basilari vengono quotidianamente calpestati.Queste donne devono essere tutelate.

 

Leggi alcune storie di donne iraniane:

Marziyeh Ebrahim, deturpata con l’acido perché guidava l’auto.  

Samira Zargari, la head coach della squadra iraniana femminile, il cui marito le ha proibito di partecipare ai Mondiali. 
Zahra Esmaili, impiccata già morta per aver ucciso il marito che picchiava lei e figli. 

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Un libro, un podcast, un festival ma anche un hub e un’academy
La Tornanza: il movimento culturale che sfida lo spopolamento del Sud Italia. Le testimonianze
Un processo di rinascita dei territori che parte dall’innesto tra chi, dopo aver viaggiato, decide di tornare nel paese d’origine e mettere a frutto la propria conoscenza, e chi è rimasto; tra il tornante e il restante. Al centro, il viaggio




Non tutti lasciano la propria città o paese d'origine per sempre. C'è chi torna e sono in tanti a farlo. E non solo ritornano, ma cambiano il loro modo di vivere nel loro luogo d'origine e fanno impresa: nasce il progetto “La Tornanza”, il movimento culturale che vuole far rivivere i borghi italiani. La Tornanza è un libro, un podcast, un festival ma anche un hub e un’academy: il progetto di Antonio Prota e Flavio Albano che sfida lo spopolamento del Sud Italia puntando su origine, viaggio e innovazione. Un movimento di rinascita dei territori che parte dall’innesto tra chi, dopo aver viaggiato, decide di tornare nel paese d’origine e mettere a frutto la propria conoscenza, e chi è rimasto; tra il tornante e il restante. Al centro di questi due poli, il viaggio, come innesco del cambiamento, e l’innovazione, come strumento a servizio del capitale umano e del territorio. 

La Tornanza: il libro

Tutto inizia con un libro: “La Tornanza - ritorni e innesti orientati al futuro” - il saggio di Antonio Prota e Flavio R. Albano (Laterza edizioni), due esperti di turismo e marketing territoriale e digitale - che è in realtà il manifesto stesso del movimento. È qui, infatti, che ci sono tutti i concetti fondanti del progetto che poi vengono messi in pratica: l’importanza di tornare dopo il viaggio e scegliere di ristabilirsi nel paese d’origine, portando con sé un background nuovo, una trasformazione che può innestarsi con la conoscenza dei restanti per partecipare attivamente allo sviluppo del territorio. Una crescita fatta di azioni concrete, volte a creare una nuova economia e una nuova società nei territori che da sempre e sempre più spesso vengono abbandonati. Come il progetto FAME (Food, Art, Move, Energy), un movimento culturale che avvia un circolo virtuoso in cui le comunità lavorano insieme per la crescita dei propri territori attraverso una visione comune e una sinergia che unisce agricoltura, turismo, artigianato e commercio, o la teoria dell’innesto, che pone al centro del dibattito socio territoriale i borghi, intesi come una via di ricostruzione sociale e culturale.

La Tornanza: il podcast

Il racconto della tornanza dalla viva voce dei tornanti diventa la base del video podcast itinerante, una serie di narrazioni per raccontare le storie di chi ha deciso di rientrare a casa. Dalla Puglia, alla Basilicata, dalla Campania alla Calabria e non solo: una volta a settimana, un tornante racconta la sua storia, da dove è partito e dunque dove, dopo un lungo viaggio, ha deciso di tornare, ma anche il perchè di questa scelta e il progetto che sta cercando di portare avanti nella sua terra d’origine, forte dell’esperienza maturata durante la sua assenza. 

La Tornanza: i festival

Non solo podcast, però. Proprio nel segno della collaborazione e della condivisione, la tornanza è anche una serie di eventi dal vivo, i Tornanza festival, per guardarsi negli occhi e raccontarsi le proprie esperienze, ma soprattutto le proprie idee, affinché possano essere d’ispirazione. Il primo è stato lo scorso 28 giugno, a Padula, in Campania, e a breve ce ne saranno altri, alcuni in collaborazione con l’Università. Il 17 e il 18 settembre a Potenza, poi il 20 settembre a Matera e il 1 ottobre a Bari.

 

La Tornanza: gli hub

Innovazione per costruire startup, accoglienza dei tornanti e dialogo tra tornanti e restanti: in questo consistono gli hub, i luoghi in cui si lavora e si comincia a creare la base concreta di un’idea. L'obiettivo è costruire hub in vari territori e per il primo sono già pronte le coordinate: aprirà a settembre a La Certosa di Padula in Campania e a Gravina in Puglia.

 

La Tornanza: l’academy

Vera e propria espressione dei concetti fondanti della Tornanza (origine, viaggio e innovazione) l’academy è lo spazio dedicato alla formazione dei tornanti e per coloro che vogliono diventarlo


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Luigi e Luigia litigavano su tutto, ma il cane Tobia ha salvato il loro matrimonio

Luigi e Luigia sono sempre stati una coppia molto litigiosa. Riuscivano a non essere d’accordo su qualunque aspetto: dalle cose importanti ai progetti della vita sino ad arrivare alla scelta della pizzeria del sabato sera.L’uno ha sempre tentato di prevaricare sull’altro e il loro rapporto è sempre stato una sorta di braccio di ferro disfunzionale che non li ha mai portati a una risoluzione effettiva dei disagi. Anche in terapia avevano l’abitudine di interrompersi, sovrastarsi, insultarsi e a volte di
scappare dal setting terapeutico sbattendo la porta del mio studio.Nel momento in cui l’uno andava via dallo studio o dalla relazione, l’altro lo inseguiva.Tra un litigio efferato e un altro anche l’amore scricchiola ma la coppia non riusciva a seppellire l’ascia di guerra.Nonostante gli impegni da parte di tutti, la coppia continuava a essere una coppia altamente disfunzionale. Quando iniziavano a stare un po’ meglio, tornavano a litigare per un nonnulla e il benessere faticosamente costruito svaniva.I partner erano ben consapevoli di non poter mettere al mondo dei bambini, perché loro stessi si consideravano tali, così di comune accordo - almeno questa volta - avevano rinunciato
L’incontro L’amico del cuore di Luigi, Giuseppe, nome di fantasia, fa l’addestratore cinofilo e ha una pensione per cani. Quando Luigi e Luigia vanno a cena con lui e altri amici, l’argomento principale è il lavoro di Giuseppe. Così, tra una pizza e una
birra, l’amico del cuore incanta tutti i commensali con le sue storie.
Racconta di quel cagnone di nome Gigi che soffriva di disturbi del comportamento e che in realtà aveva bisogno d’amore, e che lui aveva curato.
Di Frida che con i suoi disturbi psico-somatici raccontava il disagio della famiglia in cui abitava e che iniziava a stare bene solo quando si trasferiva in pensione. Di Poldo, che aveva l’abitudine di mangiare le sue feci perché era sin troppo solo, annoiato e trascurato.
E poi c’era Tobia, un Bassotto Tedesco a pelo lungo con due occhi neri penetranti e liquorosi, e un caratteraccio. Allegro, giocherellone, buffo, testardo e vivace al tempo stesso, ma veramente impegnativo. Tobia aveva rapito il cuore di tutti.
Tobia e la pensione

Il quattrozampe frequentava abitualmente la pensione di Giuseppe perché i suoi amici umani viaggiavano spesso per lavoro. Durante la pandemia, i proprietari di Tobia sono rimasti per oltre due mesi in Giappone, lasciandolo in pensione.Al loro rientro il quattrozampe si era talmente affezionato a Giuseppe e ambientato nella sua nuova casa che stentava ad andar via.Anche Giuseppe dal canto suo aveva instaurato un rapporto di profondo affetto con Tobia pur consapevole di doverlo restituire alla sua famiglia.In realtà, Tobia non ha mai avuto un carattere particolarmente facile: non amava rimanere da solo in casa e tutte le volte che accadeva distruggeva qualcosa. Questo suo comportamento aggressivo e disfunzionale aveva messo a dura prova la pazienza dei suoi amici umani, così, un po’ per scherzo, un po’ per sondare il terreno hanno chiesto a Giuseppe se per caso volesse diventare la nuova famiglia di Tobia.Giuseppe non ha esitato neanche un istante e ha ripreso Tobia con sé facendolo diventare un aiuto-addestratore cinofilo.Estate, cane mio non ti conosco. La triste storia di Penelope: dal balcone alla sua nuova vita
La sceltaIl carattere prepotente ed esuberante di Tobia ha messo a dura prova il lavoro di Giuseppe, rendendolo particolarmente complicato.Non voleva rimanere da solo in casa e lo dimostrava con tutte le monellerie in suo possesso. In pensione entrava in competizione con gli altri cani di sesso maschile e man mano che passavano le settimane diventava sempre più morboso e simbiotico nei confronti del suo nuovo amico umano.La vita di Giuseppe era diventata un inferno, ma non poteva più restituirlo perché sentiva una responsabilità enorme.Una sera, tra una pizza e una birra, raccontava a Luigi e Luigia la storia di Tobia. I coniugi, nonostante fossero occupati a litigare, hanno immediatamente mostrato un interesse a dir poco dirompente nei confronti dell’esuberanza di Tobia.(Con il senno di poi, probabilmente, si erano entrambi identificati nelle angosce abbandoniche del quattrozampe e nei frequenti rituali che metteva in atto per attirare l’attenzione).A fine serata hanno chiesto a Giuseppe di incontrare Tobia e di poter stare un po’ con lui.
La sorpresa
Tobia, come sempre, era particolarmente schivo e anche un po’ imbronciato. Non amava ricevere visite, ma preferiva trascorrere la serata sul divano in compagnia di Giuseppe. Ogni persona o cane che frequentava quella casa era considerato per lui una chiara intrusione di campo e di cuore.Quella sera, però, l’incontro tra Tobia, Luigi e Luigia aveva sin da subito presentato delle caratteristiche inedite.Il quattrozampe si è mostrato incuriosito e interessato; probabilmente ha subito sentito l’interesse da parte della coppia.Tutti e tre hanno giocato per l’intera serata, lanciandosi palline e calzini e ridendo a crepapelle. Per la prima volta Luigi e Luigia hanno dimenticato di essere una coppia litigiosa e in crisi e si sono occupati di un altro essere vivente diverso da loro. E Tobia, dal canto suo, ha dimenticato di essere un cane con un carattere difficile e diffidente e si è concesso al gioco.Luigi e Luigia hanno chiesto a Giuseppe di poter adottare Tobia e di poterlo portare a casa con loro. Giuseppe, per poter continuare a vivere a lavorare serenamente, ha acconsentito con una sorta di tacita postilla: nel caso in cui ci fossero stati problemi il quattrozampe sarebbe ritornato a casa sua.
Un anno dopo
La settimana scorsa ricevo una telefonata inaspettata e affettuosa di Luigi e Luigia, che nel mio immaginario erano già separati. In realtà mi raccontano che la loro vita è cambiata profondamente da quando Tobia è entrato a far parte del loro quotidiano. Mi hanno raccontato la loro storia e mi hanno chiesto di scriverla per La Zampa.Hanno poi concluso il racconto dicendomi che grazie all’adozione di Tobia hanno salvato il loro matrimonio, e sempre grazie a Tobia hanno smesso di essere due persone egocentriche e infantili e hanno imparato ad amare e ad essere amati.Tobia ha imparato a rimanere a casa da solo, a non distrugge più nulla e non ululare al silenzio. Luigi e Luigia hanno imparato ad interpretare le esigenze di Tobia e ad ascoltarlo, e nel frattempo hanno imparato ad ascoltarsi l’un l’altro.

Ringrazio Luigi e Luigia per aver avuto fiducia in me e per avere affidato alle mie parole il racconto della loro storia, scritto in esclusiva per La Zampa.





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