16.9.24

c'è chi rinuncia Dopo la morte di Luca Salvadori arriva un bellissimo gesto da parte dei suoi avversari nel campionato National Trophy 1000: non scenderanno in pista nelle ultime due gare stagionali in modo da far vincere il titolo al compianto pilota e youtuber e chi no







di cosa stiamo parlando Chi era Luca Salvadori?

A trentadue anni, Luca Salvadori, figlio del noto produttore Maurizio Salvadori di Milano, aveva combinato la sua carriera come pilota con quella di creatore e youtuber di grande successo. Aveva accumulato 500.000 follower su Instagram e quasi 600.000 abbonati al suo canale Youtube. Come pilota professionista, Salvadori aveva debuttato nel 2009 nel Campionato Italiano Velocità. Dopo alcune stagioni di progressione, tra il 2010 e il 2015 aveva preso parte a numerosi tornei in Stock 600 e Superstock 1000, migliorando costantemente i suoi risultati, compreso un podio nel Campionato Europeo del 2013.Tra il 2016 e il 2018, questa persona ha partecipato a competizioni nazionali e internazionali, terminando frequentemente tra i leader, sebbene senza ottenere vittorie significative. Nel 2023, ha fatto il suo ingresso nel Motomondiale con il team Pramac Racing, nella categoria MotoE, ma problemi di salute gli hanno impedito di terminare la stagione, pur classificandosi al 17° posto. Questo corridore era noto per la sua partecipazione a corse su strada, considerate tra le più rischiose al mondo.


 da    https://www.fanpage.it/


I rivali di Luca Salvadori non correranno le prossime gare: “Così vincerà il campionato che


sognava”Dopo la morte di Luca Salvadori arriva un bellissimo gesto da parte dei suoi avversari nel campionato National Trophy 1000: non scenderanno in pista nelle ultime due gare stagionali in modo da far vincere il titolo al compianto pilota e youtuber milanese.


La prematura morte del pilota e youtuber Luca Salvadori ha sconvolto il mondo del motociclismo. In seguito alla notizia della scomparsa dovuta ad un'incidente durante una gara su strada valida per l'International Road Racing di scena a Frohburg, in Germania, appassionati, piloti e amici (compreso il campione in carica della MotoGP Pecco Bagnaia) hanno voluto rendere omaggio alla memoria del 32enne milanese affidando i propri sentimenti a post, messaggi e storie, sui propri profili social.Luca Salvadori infatti oltre ad essere molto conosciuto nell'ambiente era anche molto amato e rispettato per le abilità di guida ma anche per il suo modo di comunicare, offrendo il punto di vista del pilota, che ha avvicinato tantissime persone a questo sport. Amato e rispettato anche dagli avversari, tanto che proprio da quest'ultimi arriva uno dei gesti più nobili fatti nei suoi confronti.

Luca Salvadori e i festeggiamenti col suo team dopo una vittoria lo scorso giugno  da 

https://www.fanpage.it/sport/motori/i-rivali-di-luca-salvadori-non-correranno-le-prossime-gare-cosi-vincera-il-campionato-che-sognava/


Il Pistard Racing Team, per cui corre Filippo Rovelli, unico rivale ancora in lizza per il titolo, ha infatti deciso di non scendere in pista nelle due gare conclusive del National Trophy 1000 così da far sì che a vincere il campionato sia Luca Salvadori che aveva trionfato nelle prime quattro gare della stagione e attualmente si trova in testa alla classifica.
La decisione è stata comunicata da Gianluca Galesi, patron della squadra per cui corre diretto concorrente per il titolo del compianto Luca Salvadori. Con un video pubblicato sui canali social infatti
il numero uno del team ha prima ricordato, quasi in lacrime, le qualità del pilota/youtuber milanese ("Era un ragazzo eccezionale, bravo, dolce, simpatico, solare. Chi come me ha avuto il piacere e la fortuna di poterlo conoscere, sa chi era Luca Salvadori") e poi annunciato la decisione presa per rendere omaggio alla memoria di quello che in pista era il principale avversario del suo team:
"Volevo comunicare che con Filippo Rovelli abbiamo parlato di se andare a Imola o meno e abbiamo concluso che naturalmente non c'è neanche da chiederselo. Noi non saremo presenti a Imola (in programma il 29 settembre, ndr) né a Cervesina (dove il 13 ottobre è in programma il gran finale del campionato, ndr) a fare la gara", ha difatti annunciato il numero uno del Pistard Racing Team riferendosi alle ultime due tappe conclusive del calendario del National Trophy 1000 2024.






"Saremo presenti lì come team solo per fare un saluto. Con questo gesto vogliamo far sì che Luca anche se non c'è più, da lassù possa festeggiare il titolo che ha inseguito per tanti anni. Quest'anno avrebbe potuto vincerlo perché aveva 4 vittorie su 6, ma purtroppo non potrà festeggiarlo. L'unico modo per fargli un saluto da parte nostra è quello di non partecipare alle ultime due gare per far sì che Luca possa festeggiare e vincere il titolo che ha sempre voluto", ha quindi aggiunto Gianluca Galesi nel messaggio con il quale ha svelato il modo in cui il team Pistard e il suo pilota Filippo Rovelli hanno voluto omaggiare la memoria di Luca Salvadori, pilota che evidentemente si è fatto amare da tutti, avversari compresi.

PERDONACI e PERDONA, GIOELE 💔💔💔💔💔💔💔💔💔. replica e chiusura definitiva spero della polemica ai fans ( e non solo ) di fedez

i  Post  incriminati 

https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2024/09/ozieri-gioele-putzu-10-anni-muore.html
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2024/09/la-replica-di-fedez-sul-caso-di-ozieri.html

Per  rispetto  della  famiglia  del ragazzo morto  questo sarà  il mio ultimo post   sulla polemica   del concerto  di Fdez  onde evitare  battibecchi irrispettosi   come   questo 

  e  simili  commenti al  post  facebook  in cui  il padre  si sfoga  con fedez  . Ma soprattutto perchè dalle semplici critiche si sta montando una campagna di odio verso Fedez che i più stanno disapprovando, io credo che per rispetto del povero bambino dobbiamo si debba mettere fine a tutto questo tam tam, chi deve, cerchi seriamente le cause affinché non accada mai più una tragedia simile. 
Rispondo   a    a fans  di fedez    ( e non  ) che  m'accusano  di   : <<  basta  cazzate >>  , oppure  fedez  non ha   colpa  ha lanciato un messaggio di  solidarietà     alla famiglia  ed   ha  chiesto  al pubblico un minuto  di silenzio ,  odi  fedez  , ecc  .
Iniziamo dall'ultima accusa  io  non  odio  fedez   come  persona  in se  ma  i  suoi atteggiamenti  .Infatti è  vero che   F   ha  chiesto un minuto di silenzio  come  si può   vedere  dal  video , lasciatomi   nel commento al mio secondo  post  ( vedere   ulr  sopra  )  riportato  prima della  correzione  su   twitter  , ripreso  in presenza  \  dal vivo   dall'utente   twitter  SilMaliSayuri10   \ Silvia Fraccari  una  fans     sfegattata   del cantante  dal commento   in  cui  riportata  il video    : << Così la smetterete di inventarvi cagate.Cuore Federico❤️  >> ma  però  è  un  video incompleto   rispetto  a quello  da me trovato e  ripreso nella modifica  del post incriminato in  rete    in quanto    sempre  nello  stesso video   dice  : <<  prima  d'iniziare  a  divertirci  . .... >>   . Lui   poteva ,  se  è come  dice   dalle  sue prese  di posizione  ( vedere  concerto   del primo maggio di qualche ano fa  )  un artista  coraggioso  ,  dire   No anche  a  contro  di  riuncie  economiche    ,  non lo faccio   e  dire   al  pubblico  come  ha  annuciato  l'ipocrita   silenzio  di raccoglimento  ,  il concerto  è annullato  o  rinviato per  riuspetto della  famiglia   . Opure   se   per  motivi   d'ordine  pubblico   ti  obbligano a   cantare  \  farlo   , scusa  ridicola  in quanto  la  notizia  del fatto si sapeva  già  da  tre  ore   prima   e  c'era  tutto il  tempo   per  far defluire  la gente   e  convincerla   a  rinunciare    se  F   avesse   come ha ennunciato   il  minuto   di raccoglimento     gli dice   he  il concerto non si fa   per  gli stessi motivi ,   poteva evitare  la  frase   detta  all'inizio   e dire  a  pubblico    che  per  rispetto   di comportarsi a modo evitando atteggiameti di  poco consoni   alla situazione  .  

15.9.24

la replica di fedez sul caso di Ozieri è peggio . avrebbe fatto meglio a stare zitto cosi come il comitato della festa

in sintesi
Pessimo Fedez, che non solo si è esibito ieri ad Ozieri, come che nulla fosse accaduto, ma che non ha speso una sola parola pubblica per manifestare vicinanza alla famiglia che ha tragicamente perso un bambino di nove anni, né verso il bambino stesso. Si è preso le diverse decine di migliaia di euro che il comitato organizzatore ozierese gli ha dato ed è rientrato a casa preoccupandosi dire un Padre Nostro perché il cane Silvio gli ha rotto un disco in sua assenza. Guardatevi tutte le story [ se sono ancotra disponibili visot che si dice che le abbia rimosse ] che ha pubblicato da ieri ed avrete la conferma di ciò che ho scritto. PESSIMO

da cronachedallasardegna.it

 



Non si  è fatta attedere  la replica di Fedez alle critiche   stanno   piovendo    e  che   ancora     dopo queste  sue  dichiarazioni    continueranno    nei suoi confronti, per essersi esibito ad Ozieri  nonostante 
 la morte del piccolo Gioele. Il rapper afferma di aver saputo della morte del bambino solo poco prima di salire sul.palco ed esibirsi. Dice che ha chiesto un minuto di silenzio prima di esibirsi e che NESSUNO ha detto niente per fermarlo.IL che conferma quanto detto nel precedente post , ovvero che show must go on, lo spettacolo deve andare avanti comunque, anche se a pochi metri dal palco è morto poco prima un bambino di nove anni ed anche se la famiglia del bambino morto vive nello stesso quartiere nel quale si sta esibendo . Ma davvero c'è chi crede Fedz che non sapesse nulla o lo abbia saputo prima di salire sul alco ? Uno che ha tante persone nel suo entourage ? Uno che lavora con la comunicazione e soprattutto dopo che la notizia della morte del povero Gioele alle 20 di ieri sera era già su tutte le testate giornalistiche regionali e nazionali ad iniziare dal Corriere della sera ?Ma questo crede veramente che abbiamo l'anello al naso ? E badate bene: ne parla solo per prendersela contro i giornalisti ( pochissimi purtroppo ) che lo criticano, per lavarsi la faccia e mandarci pubblicamente a cagare perché la sua reputazione non può essere sporcata dall'essersi esibito comunque nonostante la tragedia e il classico e la classica ed    richiesta   del  di   minuto di silenzio  

 ed affermando che la stampa sta montando la vicenda, già diventata da ieri virale, per nascondere la notizia della sua gaffe dell'autotune in Sicilia?  Alla vergogna si unisce vergogna.
Ovviamente non è solo Fedez ad avere colpa . La colpa è della gente che è andata al concerto, a lui penso che non freghi niente del piccolo che non conosceva ma agli ozieresi si, avrebbe dovuto importare. Il sindaco e il comitato della festa , si dovrebbero vergognare d'aver voluto continuare a tutti i costi e pur inventarsi la giustificazione :  motivi d'ordine pubblico  . Una  giustificazione che  non regge  . Infatti  << Dovevate annullare il concerto di Fedez ieri e dedicare la processione della Beata Vergine del Rimedio a Gioele.Troppo comodo pubblicare oggi un post pubblico [ foto sotto a destra ] nel quale non si possono neanche scrivere commenti e lavarvi le mani scrivendo che la scelta di andare avanti ieri con la festa ed il concerto di Fedez, sia stato dettato da motivi di ordine pubblico. La notizia della morte del piccolo Gioele è arrivata alle 19.30 massimo. Lo sapeva tutto il paese. Il concerto di Fedez era previsto alle 23. C'era tutto il tempo di far andare via la gente con calma dalla fiera di San Nicola ad Ozieri.Dovevate annullare tutto ieri e dedicare piuttosto la processione della Madonna prevista per stasera al piccolo Gioele. Non vi avrebbe criticato nessuno così facendo e tutra la comunità si sarebbe raccolta oggi pomeriggio in preghiera per il bambino. Vi ricordo che la festa della Beata Vergine del Rimedio è una festa in primis religiosa, poi civile. Invece avete dato priorità a due canzonette.Per carità. >>
sempre da cronachedallasardegna di Maria Vittoria Dettoto  
 Cosi come una parte della colpa è della gente che festeggiava sotto il palco adirittura secondo quanto dicono alcuno commenti sui social qualcuno è salito pure sul palco per fare ridere. Senza dignità senza nessun rispetto e dolore verso questo povero bambino e i suoi genitori.  Concordo   con il  commento  riportato   sulla  pagina facebook   Cronache Dalla Sardegna  di  
Io non so come ci siano ancora persone che lo seguono sui social...non ha nessun senso..ne come personaggio ne come persona..siamo noi a doverci vergognare e soprattutto per non avere lasciato vuoto lo spazio antistante ma essere andati comunque a dargli importanza...


niente    altro  d'aggiungere  

la vita può far male . ma si deve andare avanti i casi La storia di Mattia, un bambino di 8 anni che ha perso la vita in un’alluvione nelle Marche rivisitata in un fumetto dal titolo “La mamma mi stringeva forte”.,Veronica e Paolo Origliasso: “Ecco chi era la nostra Laura, uccisa a cinque anni da una Freccia Tricolore. Per vivere ci serve giustizia” .

 In occasione del secondo anno dalla tragica alluvione nelle Marche del 15 settembre 2022, che ha causato 13 decessi e ingenti danni, è stato rilasciato un fumetto in memoria di Mattia Luconi.



 Mattia, un bambino di soli 8 anni, era uno dei 13 sfortunati che persero la vita nel disastro, rapito dalla furia delle acque del fiume Nevola mentre si trovava in

macchina con la madre nel territorio di Senigallia, Ancona. Silvia e Tiziano, i genitori di Mattia, hanno voluto questo tributo per dare un significato alla tragedia che ha sconvolto le loro esistenze. L’intero fumetto, intitolato “Le avventure di Mattia”, è disponibile su Instagram tramite l’account “Mattia a matita” e l’intera striscia è opera dell’artista Veronica Janise Conti, amica di famiglia.
Il piccolo Mattia viene rappresentato nel fumetto insieme ai suoi adorati gatti, che parlano per lui. Una delle scene più commoventi descrive Mattia che racconta l’ultimo ricordo della madre, i suoi occhi: “Mi teneva stretto, poi… – continua – poi sono arrivato qui”, “dopo un lungo viaggio”. La scena finale mostra Mattia in compagnia dei suoi due gatti sulla riva di un fiume pacifico, un dettaglio enfatizzato dall’illustratrice attraverso le parole del ragazzino stesso.La tragica notte del 15 settembre 2022 vide un torrente inghiottire Noemi Bartolucci, una ragazzina di soli 17 anni, che nel fumetto viene raffigurata sorridente mentre accanto a Mattia, lo rassicura dicendogli: “Non ci hanno dimenticato”. Le comunità dei paesi di Barbara e Ostra, tra i più afflitti dall’alluvione, insieme a tutta la regione delle Marche, “non dimenticheranno mai lei o le altre vittime”, affermano gli abitanti di questi due paesi che commemorano la tragedia con momenti di preghiera e contemplazione.
“Mi premeva creare un manifesto. Per me sia Mattia che Noemi, – afferma l’autrice del fumetto introducendo il suo lavoro – rappresentano il simbolo di un’infanzia e una giovinezza strappate via per negligenza, disinteresse, mancanza di previsione del futuro. Dovevo sottolineare che no, non tutti gli adulti sono negligenti, disinteressati e con gli occhi serrati. Ed è per questo che il fiume scorre pacifico e limpido, perché ci sono persone che non dimenticano ciò che è accaduto. È un modo per dire che la vostra memoria è protetta e quindi voi siete al sicuro”.“Poi, – continua – avevo bisogno di sentire il peso del loro sguardo su di me. Quando Noemi dice al piccolo: ‘Guarda, Mattia’, sta rassicurando lui e nella stessa occasione sta parlando a noi: ‘Vedete, ci siamo e vi osserviamo, che cosa state facendo? Perché il mondo sia degno di noi'”.“E queste 15 illustrazioni – conclude Veronica Janise Conti – sono un richiamo alla nostra coscienza, un avvertimento ma anche una carezza, un abbraccio, un sentimento di presenza”.Due anni addietro, l’orribile nottata portò rovina e decesso: 13 individui persero la vita, 50 rimasero feriti, 150 costretti a spostarsi e lesioni pari a due bilioni di euro. Mattia, che era stato sommerso dalla violenza del Nevola, venne scoperto otto giorni successivi, disteso nel fanghiglia, con addosso la sua favorita maglietta verde e gialla, a una distanza di 13 chilometri in discesa dal luogo dove era stato sommerso dal fiume straripato.


......

Come una gran tempesta/ noi scuotemmo l’albero della vita/ fino alle più occulte fibre delle radici/ ed ora appari cantando nel fogliame/ sul più alto ramo che con te raggiungemmo. –

                        Pablo Neruda (Il figlio)

Paolo dice che non è riuscito a fare il miracolo. Non si era reso conto che le fiamme avevano già invaso la sua auto. Ha estratto dall’abitacolo prima sua moglie Veronica paralizzata dallo choc. Poi Andrea, il figlio più grande. Erano pieni di ustioni tutti e due. E lui, con il corpo che esplodeva dal calore, ha provato ad aprire lo sportello posteriore per mettere in salvo anche la piccola Laura legata al seggiolino. Il fuoco ha sigillato la lamiera e il suo sforzo sovrumano non è servito a niente. Non ce l’ha fatta a salvarla. Laura e i suoi cinque anni sono scivolati via per sempre davanti ai suoi occhi.
Paolo non se lo perdona. Come se questo disastro fosse colpa sua e non dell’Aermacchi

delle Frecce Tricolore che schiantandosi sulla strada si è trasformato in una bomba, mandando in pezzi la sua esistenza e quella dell’intera famiglia Origliasso.Erano le 16 e 50 del pomeriggio. E domani è passato un anno. Anche il tempo si è bloccato. I ricordi sono un elastico che riporta gli Origliasso sempre nello stesso punto, alla stessa ora, nello stesso inferno. «Ho reagito troppo lentamente», dice Paolo. Sua moglie, Veronica, gli accarezza un braccio. «Non è vero. Senza di te, io e Andrea non saremmo qui. È successo tutto in quindici secondi, lo sai, e tu rimani il nostro eroe». È bella Veronica. Fa la maestra elementare e ha uno sguardo dolce, la voce ferma, le idee pulite, i segni delle fiamme ben visibili sulle braccia e sulle gambe. Anche lei fatica a rimettere il cuore in equilibrio mentre aspetta una giustizia che non arriva, incapace, in 365 giorni, di consegnare anche solo la perizia sul motore del Caccia. Con questo ritmo ci vorranno dieci anni. «Ma noi, per ripartire, per sederci attorno al tavolo da pranzo tenendoci per mano, pronti ad andare avanti, abbiamo bisogno di risposte».Come ti rialzi quando muore un figlio? Come li rimetti assieme i cocci? È l’inimmaginabile, l’inaccettabile. Al punto che nella nostra lingua non esiste neppure una parola per dirlo. Se viene a mancare un marito sei vedova. Se perdi un padre sei orfano. Ma se perdi Laura? Non solo non sai cosa sei, ma non capisci neppure “come” potrai continuare ad essere. Dov’è lo Stato quando hai bisogno di lui? Quando è lui ad averti fatto del male?San Francesco al Campo, cintura elegante di Torino. Villette curate, basse, circondate dal verde. Il silenzio è rotto solo dal rumore degli aerei che decollano dall’aeroporto di Caselle, otto chilometri più in là. È la prima volta che gli Origliasso, accompagnati dall’avvocato Luigi Chiappero, raccontano la loro storia, ripercorrendo le tappe di una via Crucis infinita. Sono piemontesi discreti, abituati alla bellezza delle piccole cose. «Come mille altre famiglie». La pesca, le partite di pallone di Andrea e la felicità di Laura, che invece di camminare saltellava. «Non piangeva mai. Voleva che tutti fossero felici. E quando litigavamo ci sgridava. Dormivamo nella stessa stanza, perché stavamo ristrutturando il piano di sotto. Quando lei si svegliava, alzava la testa e mi guardava con quello sguardo furbetto che voleva dire: mamma posso venire lì a farmi coccolare? Non può capire quanto mi manca quel momento. Il 16 settembre dell’anno scorso è stata l’ultima volta. Eravamo in casa solo io e lei. L’ho tenuta stretta a lungo. Eravamo felici». Il racconto scorre lento, pieno, difficile, doloroso. Impossibile non sentire il battito accelerato di cuori pieni di amarezza.Le finestre abbassate per ripararsi dal sole di mezzogiorno. I nonni seduti sul divano di una sala da pranzo con i mobili in legno. C’erano anche le loro braccia a sostenere la famiglia quando tutto rischiava di andare a pezzi. Adesso il primo pensiero è per Andrea, il figlio grande, una promessa del calcio, che a 13 anni fa i conti con una rabbia che non se ne vuole andare. «È un ragazzo magnifico. Cerchiamo di essere forti anche per lui. Che nei primi giorni, quando mi vedeva andare in bagno a piangere, mi correva dietro e sussurrava: “mamma, come stai? Se vuoi un bacio io sono qui”. Non è facile per lui. Non lo è per nessuno».Paolo, un omone con gli occhi di un azzurro trasparente che lottano con le lacrime, dice che Andrea pretende di sapere perché è successo proprio a loro. È una cosa che lo manda ai matti. «Vorrebbe che qualcuno glielo spiegasse. Ma una spiegazione non c’è. Io a 50 anni lo posso accettare, ma lui come fa? Non è facile gestire questa rabbia fine a se stessa».In attesa che un processo ricostruisca ufficialmente i fatti, gli Origliasso restituiscono i fotogrammi precisi dei minuti che precedono il disastro, ripercorrendo le assurde curve del destino. Erano appena tornati da una partita di pallone di Andrea e Laura non doveva essere con loro. Solo che aveva appena cominciato un corso in piscina e così Paolo e Veronica avevano approfittato dell’uscita in macchina per andare a comprarle un costume. «Arrivati a Caselle ho sentito un boato. Poi le fiamme alte. Il fungo sulla pista d’atterraggio dell’aeroporto. Gli alberi si piegavano. Non sapevo nulla dell’esercitazione delle Frecce Tricolori. Istintivamente ho pensato a un attacco russo. Erano giorni pieni di tensione, mi sono detto: ecco, ci stanno bombardando. Un’idea che mi ha accompagnato per l’intera giornata, anche quando siamo andati all’ospedale ed era chiaro che i russi non c’entravano niente. Volevo salvare la mia famiglia. Ce l’ho quasi fatta. Ma quasi non basta».La voce di Paolo trema, lo sguardo si perde in un punto lontano. Veronica lo osserva con tenerezza. Dice: «Io ho ricordi più confusi. Sono una donna intraprendente, abituata ad affrontare i problemi. Ma in quel momento mi è successo qualcosa. Un black out. Non riuscivo a muovermi. È stato Paolo a tirarmi fuori dall’abitacolo. In mezzo alla strada ho incrociato il pilota dell’aereo. Ricordo di avergli detto che mia figlia stava bruciando in macchina. Si è messo le mani tra i capelli». Il pilota era il maggiore Oscar Del Dò, oggi accusato di disastro aereo e di omicidio colposo. Nessuno sa perché abbia perso il controllo. Si sa che il suo Aermacchi era decollato assieme ad altre nove Frecce Tricolori dirette a Vercelli per le prove dell’Air Show e che dopo pochi secondi Del Dò si è paracadutato all’esterno. Forse un difetto meccanico, forse una manovra sbagliata, forse un Bird strike, uccelli andati a infilarsi nel motore, magari a causa di una disattenzione dell’aeroporto che pure in giornata era intervenuto più volte per allontanare cornacchie e gabbiani. Forse. Nient’altro che forse. Un mucchio di forse.Per ora sono queste le risposte a disposizione di Paolo e Veronica, mentre la procura di Ivrea, titolare non solo di questa indagine, ma anche di quella per il disastro ferroviario di Brandizzo, è travolta da una montagna di fascicoli da smaltire. Quasi duemila per ogni singolo sostituto contro una media nazionale di quattrocento. Per rimediare il ministero, dopo avere definito Ivrea la Cenerentola delle procure nostrane, ha deciso di inviare nel 2025 tre uditori giudiziari di prima nomina. Una barzelletta. Risate incivili sulla pelle di famiglie come quella degli Origliasso. «Io lo vorrei incontrare Del Dò, non c’è stata ancora l’occasione», dice Paolo. «Io non sono pronta», dice Veronica abbassando lo sguardo per la prima volta. Si è ripromessa di non piangere. «Per Laura. Glielo devo. Lei era la nostra luce. Quest’anno sarebbe andata in prima».Anche a Veronica, a scuola, hanno affidato una prima. «Le colleghe mi hanno chiesto se volevo cambiare. Ho detto di no. A volte incontro le mamme delle bambine che erano in classe con Laura. Parliamo. Mi faccio raccontare come stanno. Ci tengo davvero a saperlo. Mi fa un po’ male. Ma è giusto così. Adesso mi dico che in questa nuova classe avrò venti nuovi figli miei. I bambini sono pieni di magia».Paolo sospira profondamente. I ricordi lo assalgono. Tutti tranne uno. «Non mi tornano in mente le ultime parole che mi ha detto Laura». Veronica corre in suo soccorso. Lei li ha presenti gli ultimi istanti. Le coccole. Poi quando papà è arrivato con la macchina per andare verso Venaria è stata lei ad assicurare Laura al seggiolino. «Mi ha chiesto di metterle il suo braccialetto con l’orsetto. Un braccialetto a pressione. Sa cosa mi fa più male?». No. «Che ho mentito ai miei figli». Non capisco. «Ogni volta che erano in difficoltà, che si facevano male, che avevano paura, io dicevo loro: non vi preoccupate, ci sarà sempre mamma a proteggervi. Non sono stata capace».Avrei voglia di dirle che non era possibile. Che ci sono cose più grandi di noi. Che non siamo Dio, qualunque cosa voglia dire. Che nessuno controlla il destino. Che a me lei, loro, i nonni, mi sembrano favolosi e perfetti. Solo che, per fortuna direi, le parole mi restano incastrate in gola. «È passato un anno e noi, seguendo anche i consigli degli psicologi, abbiamo ripercorso ogni singola tappa della nostra vita usuale cercando di attraversare il dolore. Il Natale, i compleanni – quello di Laura era il 30 marzo, le ho fatto la torta anche stavolta – la Pasqua, le vacanze in un camper dove mi sembrava di vederla saltare in ogni angolo, e adesso la ripresa della scuola. È complicato. Lo sarebbe un po’ meno se la giustizia non ci lasciasse in questo limbo».La vita sospesa. Collassata in un attimo eterno. La solita strada per tornare a casa. Tutti assieme. Quella felicità piccola e inarrivabile. «Quando siamo arrivati a Caselle il navigatore ha consigliato a Paolo di andare a destra. Lui lo ha ignorato come sempre perché d’abitudine fa una strada diversa, più rapida. Così ha girato a sinistra. E io l’ho rimproverato. Poi una palla di fuoco ha travolto le nostre vite

Ozieri Gioele Putzu, 10 anni muore schiacciato da una porta di calcio: e intanto la festa con Fedez va avanti The show must go on ., “Siamo stanchi di aspettare che muoia”, a 16 anni il cane Nasa viene abbandonato in un rifugio. Ma lui è più forte dell’indifferenza

 E'  vero che  nessuno\a  di  noi  è  immune dal cinismo  ,  sottoscritto compreso  ,   ma   arrivare  a    tale  livello  come i casi sotto   ripresi   è  da  bastardi dentro  .

Primo  caso    fonti thesocialpost.it  e   Gossip e Tv.

Gioele muore schiacciato da una porta di calcio: e intanto la festa con Fedezva avanti. 



«Non vi fermate! È l'unico figlio che ho!». Il grido straziante di una madre si alza dal campo di calcio Raimondo Meledina, quartiere di San Nicola, Ozieri.

 Medici e sanitari stanno tentando di rianimare con il defibrillatore la sua creatura, Gioele Putzu, 10 anni, che 40 minuti dopo smette di respirare, schiacciato da una porta di calcetto. Sono le 18.30, a distanza ormai di quasi un'ora dal principio della tragedia che nella serata di ieri ha sconvolto due comunità, la logudorese, scenario della vicenda, e quella di Olbia, dove il piccolo, che era appassionato di judo, viveva con la mamma, Antonella Casula, e il padre Ivan Putzu, noto barman.
Gioele è entrato con gli amichetti nel campo di calcio, una superficie regolamentare per i grandi che si può restringere, a favore dei più piccoli, con due porte di dimensioni ridotte. E lì il dramma: il piccolo, per cause da accertare, è stato travolto dalla struttura e colpito sul petto.  L'allarme è scattato subito con medicalizzata ed elisoccorso, che è atterrata in campo mentre l'area verde si riempiva di carabinieri, di parenti, conoscenti e poi il

parroco, il sindaco Marco Peralta. Ma per il bimbo non c’è stato nulla da fare.Sul posto anche gli operatori dello Spresal per la valutazione dell'accaduto su cui indagano i carabinieri su disposizione della pm, Maria Paola Asara. La magistrata potrebbe ordinare già da domani l'autopsia in modo da far luce sulle cause del decesso.Intanto è polemica sui social perché il dramma non ha spento la festa organizzata dall'associazione Beata Vergine del Rimedio, a cui ha partecipato Fedez. Solo un minuto di silenzio a ricordare l'accaduto e, oggi, un ridimensionamento di quanto programmato che si limiterà a messa e processione.Stridono, in questo contesto, le parole del sindaco che ha parlato sui social di «momento del silenzio, del rispetto del dolore altrui e della riflessione». Ma nella serata di ieri, mentre in molti piangevano la morte di un bimbo di appena dieci anni, a pochi metri risuonavano le note della festa. E a molti la giustificazione dei motivi «di ordine pubblico» non è andata giù: «Avrebbero dovuto annullare tutto, le persone avrebbero capito».Invece   Nonostante l’evento funesto, i festeggiamenti per la 131esima festa della “Beata Vergine del Rimedio” sono continuati e il concerto con protagonista Fedez si è svolto comunque, innescando un’ondata di indignazione tra i cittadini. La protesta è esplosa anche sui social dopo le decisioni prese da chi ha organizzato la festa. Cosa è successo? Per la morte del bimbo di 9 anni, nella serata di sabato 14 settembre, è stato stabilito solamente che venisse rispettato un minuto di silenzio a ricordare l’accaduto. Per i festeggiamenti di domenica 15 settembre, invece, si è optato per un ridimensionamento di quanto programmato: ci sarà solamente la processione.
Le parole del sindaco di Ozieri e le storie di Fedez
“Visto il gran flusso di persone, gli organi di pubblica sicurezza hanno ritenuto di non dover sospendere l’evento in programma per ragioni di ordine pubblico”, ha spiegato il sindaco di Ozieri Marco Peralta. “La perdita di una giovane vita è un dolore incommensurabile. Le parole servono a poco. È il momento del silenzio, del rispetto del dolore altrui e della riflessione. La nostra comunità è stata colpita da un’immane tragedia: un piccolo angelo non è più tra noi. Il pensiero va alla famiglia che, in questo momento, sta vivendo il dolore più grande che si possa provare: la perdita di un figlio. L’amministrazione comunale si stringe intorno alla famiglia, che non ha più il suo piccolo angelo”, ha concluso il primo cittadino.
Quanto dichiarato dal primo cittadino non è servito però a placare la rabbia di molti cittadini che anzi hanno protestato con ancor più piglio dopo l’intervento del sindaco: “È una vergogna, è morto un bambino e qui si festeggia. Avrebbero dovuto annullare tutto”, il pensiero di una persona condiviso da molte altre.
Tornando all’esibizione di Fedez, il concerto non è appunto stato annullato e si è svolto come da programma. Il rapper ha anche postato sul suo profilo Instagram diverse storie della serata, senza fare alcun accenno alla tragedia della morte del piccolo di 9 anni.
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secondo    caso



  Capisco , per  averlo provato con  il   mio  cane    ,  un pastore  fonense    di  15  ani ,  a  cui  a malincuore  abbiamo  dovuto    dargli l'eutanasia   era  troppo sofferente  .  Ma    arrivare      fino  a questo punto   è  da   infami   .


“Siamo stanchi di aspettare che muoia”, a 16 anni il cane Nasa viene abbandonato in un rifugio. Ma lui è più forte dell’indifferenza




 l cane Nasa è stato abbandonato dalla sua famiglia. Lasciato in un rifugio dopo 16 anni trascorsi insieme. Il motivo? “Siamo stanchi di aspettare che muoia”. Parole pesanti, piene di malvagità, vuote di qualunque tipo di sentimento. I volontari del Mac’s Mission sono rimasti così turbati da non aver avuto neanche le parole per commentare: hanno preso l’anziano Chihuahua e hanno deciso di prendersi cura di lui.
Per Nasa non sono stati giorni facili. Subito dopo l’abbandono ha avuto delle crisi epilettiche: separarsi dalla sua famiglia, in qualunque modo sia stato trattato, è stato qualcosa di troppo pesante da superare. Basta guardarlo negli occhi e leggere tutta la sua tristezza, tutta la sua delusione per essere stato abbandonato proprio nel periodo in cui probabilmente avrebbe avuto più bisogno non solo delle cure,
ma anche dell’amore di chi conosceva da una vita.
Superate le crisi della prime ore, Nasa ha iniziato a dare segnali di ripresa: mangia benissimo e ama essere coccolato quasi come se fosse un gatto che fa le fusa. Ha dei problemi di salute – è ipovedente e un po’ sordo –, ma nonostante questo e la sua età avanzata, si è dimostrato un cane ancora attivo: al mattino presto ama uscire in giardino e usare il suo tartufo per esplorare i vari angoli dello spazio che ha a disposizione.
La sua storia ha commosso centinaia di persone e alcune proposte di adozione sono già pervenute al rifugio, ora saranno i volontari a vagliare la soluzione migliore per lui. Tanti anche i commenti su questa storia: "La gente non smette mai di stupirmi con la sua stupidità. Sei in ottime mani, piccolo amico. Pregherò per te" ha scritto un utente, mentre un altro: "È una storia straziante! Grazie per aver aiutato questo povero cane. Grazie alla persona che si prende cura di questo prezioso piccoletto!". E ancora: "Non riesco a capirlo. Questo cane ha amato i suoi proprietari per 16 anni e loro lo abbandonano al rifugio perché non vuole morire. È assolutamente una situazione malata e disgustosa" .


Infatti    i  cani  (  e  i gatti    secondo la mia esperienza personale  )   purtroppo, i cani amano fedelmente, con tutto il cuore, con tutta l'anima e non sono in grado di capire che l'amore umano ( ovviamente  senza  generalizzare  )  di solito ha una data di scadenza... A volte dura un anno, a volte a causa di trasloco, malattia, vecchiaia...meritano persone migliori.  come  questo   qua  sotto  , perchè   a  volte  basta  un po'  d'affetto  per   tirarti  su   

Aveva 14 anni. La sua famiglia, che ha amato per tutta la vita, l'ha presa, con il suo libretto delle vaccinazioni, un guinzaglio, un collare e le sue cose e l'ha lasciata al rifugio Baldwin Park .
Hanno detto di essere stufi di vivere con un cane anziano.
Firmarono delle carte e se ne andarono, senza nemmeno guardarla...
Quando un volontario del rifugio la prese in braccio, lei si appoggiò su di lui, probabilmente desiderando che fosse tutto solo un brutto sogno.
Il momento è stato catturato dal fotografo John Hwang, che in quel momento si trovava nel rifugio.
Purtroppo, i cani amano fedelmente, con tutto il cuore, con tutta l'anima e non sono in grado di capire che l'amore umano di solito ha una data di scadenza... A volte dura un anno, a volte a causa di trasloco, malattia, vecchiaia...
I cani meritano persone migliori.
- Eyes of an Angel

«Il nostro grazie a chi ci ha donato una seconda vita» Carlo Garbarino e Carlo Cicalò ai mondiali di calcio per trapiantati

Anche se non è il tipo di trapianto che ho fatto io tali vicende vanno sempre raccontaste er sensibillare la gente a donare gli organi . Quando  leggo    e senmto tali storie  , parlo da trapiantato ( ho subito 32 anni fa per chi non lo sapesse ancora o non lo ricordasse il trapianto della cornea ) ,  mi  commuovo . Sono  eternamente  grato a quei familiari  (  se  sono ancora  in vità   visto che  sono  passati  quasi  40  anni    dal  mio trapianto )   mi pare  di Alghero o orto  torres    che  persero il filglio  in  un incidente   motociclistico   . Familiari    che  per imbarazzo  ,   timidezza   e paura   di come  avrebbero  reagito     non abbiamo avuto il coraggio di cercare la famiglia del donatore nonostante il nome cognome fosse pubblico non essendoci allora leggi sulla privacy e sul giornali si potevano pubblicare liberamente le generalità , mi commuovo   e  ripenso  a  come  sono stato fortunato  . Anche se poi , per la cornea s'era apena all'inizio , non andato benissimo , ma non ne faccio un dramma iun quantro in Sardegna e credo anche in italia s'era appena all'inizio di tali cure e poi non c'era ancora la perfezione che c'è oggi . Ma almeno ci vedo anche se con una fortissima miopia non operabile , almeno finchè non tolgono la cataratta , e l'altro occhio vede anche per l'altro .
 Ma  ora  basta  parlare  di me , altrimenti rischio di cadere  nella  nostalgia  e nella  tristezza  oltre  a rischiare  di piangermi addosso  .    E  veniamo    alla storia    di  Carlo G e  di Carlo  C . 

  Unione  sarda  15\9\2024
 

 Il loro campionato lo hanno vinto quando sono usciti dalla sala operatoria dopo il trapianto, di fegato in un caso e di rene nell’altro, riprendendo a vivere come tutti e facendo sport. Questo grazie al gesto,meraviglioso, di un donatore e della loro famiglia. Ma Carlo Garbarino, cagliaritano di 60 anni, autista del Ctm da due mesi in pensione, e Carlo Cicalò, 50enne di Cagliari ora residente con la famiglia a Elmas, hanno vissuto anche l’emozione di disputare, da protagonisti, un campionato del Mondo di calcio: a Formia, nella settimana che si è appena conclusa, si è giocata la prima edizione della competizione mondiale per trapiantati. Alla fine gli azzurri hanno chiuso al quinto posto. Ma il risultato passa in secondo piano rispetto al messaggio che hanno voluto lanciare: «Un’emozione unica poter vestire la maglia della nazionale per diffondere la cultura della donazione che permette a tante persone di rifarsi una seconda vita».Passione in comuneGarbarino, fresco di pensione, e Cicalò, impiegato in una grande azienda, hanno dunque indossato maglietta, pantaloncini e scarpette per difendere i colori dell’Italia e affrontare le altre nazionali: Cile (che alla fine ha vinto il campionato del Mondo), Spagna, Inghilterra, Francia, Irlanda, Australia, Galles, Usa, Irlanda del Nord e Romania. Oltre al trapianto, i due cagliaritani sono legati da un passione comune: quella per il calcio. Garbarino, ex giocatore, ha disputato tantissimi campionati di Interregionale, Eccellenza, Promozione con Selargius, Sirio, Pula, Assemini, Gialeto, Settimo, Sarroch e Villasimius vincendone più di 15, e provando anche la strada da allenatore. Cicalò da ragazzo non riusciva a staccarsi dal pallone ma a 17 anni sono arrivati i problemi ai reni. Per entrambi è arrivato lo stop forzato. Per poi ripartire.Gratitudine«Dopo la malattia ai reni e l’emodialisi, a 21 anni, ho dovuto lasciare l’attività agonistica», ricorda Cicalò. «Il trapianto, grazie a un donatore, mi ha ridato la vita. Ho ripreso così a giocare a calcio nel Sant’Avendrace, lavorare e farmi una famiglia. Dopo tredici anni però ho avuto un rigetto. E c’è stato il gesto meraviglioso, che ancora oggi mi commuove ed emoziona: mio fratello Alberto mi ha donato un rene, riportandomi ancora una volta in vita e permettendomi di riprendere con il calcio». Facendo parte da tanti anni dell’Associazione nazionale emodializzati, ha saputo che ci sarebbero stati i campionati del Mondo di calcio per trapiantati. «Mi sono candidato, ho fatto i raduni e sono stato selezionato. E ho potuto vivere questa meravigliosa esperienza, conoscendo tante splendide persone e le loro storie. E abbiamo ricordato, con grande riconoscenza, i nostri donatori e le loro famiglie: grazie a loro abbiamo avuto una seconda vita».La partita più importanteGarbarino si trova ad affrontare la sfida più difficle nel 2012, l’anno del trapianto: un anno prima, a seguito della cura per una calcolosi renale scopre – purtroppo tardi – un’allergia ai farmaci che compromette il funzionamento del fegato. Serve il trapianto. «Una domenica», ricorda Garbarino, «gioco la partita più importante della mia vita in una sala operatoria. Grazie a Gianmario Milia, il mio angelo morto in un incidente stradale, e alla sua famiglia che ha acconsentito alla donazione, ho avuto una seconda possibilità. Ho ripreso a lavorare, a correre e a giocare a calcio. E nel 2014 è nata mia figlia Dalia». Scendere in campo, per un ex calciatore come lui, con la nazionale trapiantati (vicendo anche i campionati Europei con l’Italia nel 2019) è quasi naturale: «Divulgare la cultura della donazione degli organi è la nostra missione. Per dimostrare che si può ritornare a vivere al massimo, grazie a un dono che moltiplica la vita e l’amore».