usanze che vengono riscoperte e rivalorizzate ecco uno degli effetti positivi della crisi

La prima storia  è stata scelta     spronato  da  questo  commento    : << 
L'idea di nazioni legate a un popolo e a un territorio ha finito con l'essere prevalente nell'Ottocento. Gli stati nazionali dovevano, nella concezione liberale e massonica propria dell'epoca, costituire un insieme di forze che si sarebbero equilibrate e che avrebbero dato vita a stati affratellati da ideali comuni. Si è visto che cosa ha prodotto quel tragico errore di prospettiva: una serie di guerre intereuropee e due guerre mondiali. Naturalmente, i miti sono duri a morire e pertanto il mito della patria persiste, anche se in una nazione composita e relativamente recente come l'Italia non mi risulta particolarmente sentito. I limiti di quell'ideologia sono rivelati soprattutto dalla realizzazione parziale di un sistema di patrie che corrispondessero ai singoli popoli. Infatti molto spesso le aggregazioni nazionali sono state realizzate spesso a spese delle nazioni negate. Questo sin dalle origini: la Francia ha di fatto represso Aquitania e Provenza a Sud e Bretagna a Nord. Il Belgio ha unificato due popoli che stanno insieme a fatica. La Spagna ha messo insieme Castiglia e Catalogna, diverse per cultura, lingua e tradizioni, e ha tenuto ai margini il popolo basco. L'Inghilterra ha represso per anni l'Irlanda e ha cancellato la Scozia. L'Italia si è costituita reprimendo culture locali e lingue diverse: la Sardegna, il Friuli, i tedeschi del cosiddetto Alto Adige, lo stesso variopinto mondo del Sud. In Jugoslavia si è visto come è andata a finire, In Cecoslovacchia pure. Non è strano che si levino ogni tanto voci non esattamente entusiaste di questa realtà, anche se di una realtà si tratta e come realtà deve essere accettata, solo che l'entusiasmo non può essere obbligatorio. La stessa realtà mostra come le Nazioni cambino, mentre i popoli restano. Magari, fra cento anni, i nostri trisnipoti rideranno di un mondo in cui c'erano tanti stati, ognuno con una bandiera e un esercito pronto a sparare sugli eserciti degli altri, degli stranieri.  (  Diaktoros )  >>   nell'ultimo post  dell'amica  e utente  daniela


Migrazioni, oltre i confini delle lingue

Ricercatrice cagliaritana coordina l'ambizioso progetto del Cnr

Martedì 11 gennaio 2011
 

CARLO FIGARI

ROMA In Italia vivono quasi cinque milioni di stranieri, un immigrato ogni dodici residenti. La maggior parte parla italiano e lo usa come lingua per comunicare tra diverse nazionalità. Molti vanno a scuola per impararlo, i bambini frequentano regolarmente tanto che non c'è più classe senza almeno un extracomunitario. Ma quali sono i loro livelli di apprendimento? Quali difficoltà incontrano per studiare una grammatica che mette in crisi gli stessi italiani? Quali tecnologie e programmi adotta ciascuna regione? I NUMERI Oggi, grazie alle statistiche di Istat e Caritas, alle indagini di Questure e Prefetture, conosciamo i numeri e l'entità della presenza straniera. Abbiamo la fotografia del grande cambiamento demografico e sociale in atto nel paese, ma ancora ci sfuggono aspetti fondamentali come l'alfabetizzazione e i livelli culturali dei nuovi "italiani". Sì, piaccia o no, l'Italia multietnica è una realtà in costante crescita e l'integrazione uno dei problemi più scottanti dell'attuale governo e di chi seguirà. Per questo il Centro nazionale delle ricerche, il massimo organo scientifico italiano, dal 2008 ha avviato il progetto "Migrazioni" con sessanta specialisti al lavoro in tutta Italia. Ieri nella sede romana ha presentato i primi risultati.
LO STUDIO L'imponente ricerca che coinvolge tredici istituti nazionali di varie discipline (c'è anche l'istituto di storia dell'Europa Mediterranea di Cagliari) si concluderà quest'anno e nel 2012 verrà resa pubblica. Solo allora avremo un quadro completo ed esauriente di un fenomeno sociale e culturale in continua evoluzione. «Ma non finirà con la chiusura della ricerca» anticipa Maria Eugenia Cadeddu, coordinatrice del progetto "Migrazioni": «Questo è un lavoro multidisciplinare e internazionale che mette insieme tanti studiosi italiani e stranieri. Rappresenta la base di partenza per future indagini perché si muove su numerosi filoni di ricerca che potranno continuare nel tempo». COORDINATRICE SARDA Maria Eugenia Cadeddu, cagliaritana, (  foto in alto  a  sinistra  ) fa parte dello staff dirigenziale guidato dal primo direttore del dipartimento "Identità culturale" Andrea Di Porto (ha insegnato anche a Sassari) e dal grande filosofo di etica moderna Tullio Gregory. Una pesante responsabilità per la ricercatrice sarda che proviene dal Cnr di Cagliari e da una scuola di giovani studiosi plasmati dallo storico medievista Francesco Cesare Casula. «Sì, la mia specializzazione è la storia medievale, poi mi hanno chiamato a Roma per partecipare a questa nuova esperienza interdisciplinare che nasce sulla scia della riforma del Cnr». Al progetto collabora un'altra cagliaritana, Cristina Marras, con esperienze di studio in Germania e in Israele e ora a Strasburgo per curare le relazioni internazionali.
Maria Eugenia Cadeddu a 46 anni non è più una giovane ricercatrice anche se l'età anagrafica oggi non corrisponde alla società e al mondo del lavoro. «È vero. I giovani del Cnr hanno tra i trenta e quarant'anni, ed anche oltre. Diciamo che siamo la giovane generazione di ricercatori perché sopra di noi c'è il fior fiore degli scienziati e studiosi italiani».
È ancora possibile fare ricerca per un giovane?
«Personalmente mi sento fortunata perché ho avuto questa opportunità alla sede centrale di Roma. Una nuova esperienza che mi mette in contatto con colleghi di campi diversissimi dal mio. Il progetto coinvolge sessanta esperti attraverso contratti e borse di studio. Quest'anno, dopo tanto tempo, è stato bandito un concorso per 500 posti al Cnr. Qualcosa finalmente si muove».
Ancora brucia la protesta contro la ministra Gelmini, accusata di voler colpire proprio la ricerca con pesanti tagli ai fondi e una chiusura di carriera per molti ricercatori. Che ne pensa?
«Le riforme dell'Università come del Cnr, al di là delle valutazioni di merito, lasciano aperto il problema della mancanza di investimenti nella ricerca. È come se questo paese non credesse nella potenzialità delle sue risorse intellettuali e scientifiche».
Inevitabile che i migliori se ne vadano.
«Si deve distinguere tra "fuga dei cervelli" e "circolazione dei cervelli" fenomeno assolutamente positivo e anzi auspicabile. Spostamenti ed esperienze diverse sono fondamentali per la carriera scientifica di un ricercatore».
All'estero la ricerca è più avanzata?
«No, anche in Italia si svolge ricerca di primissima qualità. Per questo i nostri specialisti che emigrano vengono molto apprezzati e si impongono subito. Di certo, restringendosi le opportunità, questo fenomeno della "fuga dei cervelli" potrebbe aumentare».
La Sardegna partecipa in qualche modo al progetto?
«Certo. L'istituto di Cagliari guidato dal professor Luca Codignola Bo, che è uno storico, si occupa del settore storiografico con l'analisi della bibliografia moderna e contemporanea riguardante le migrazioni tra Francia, Spagna, Portogallo e Italia. Una collega ligure, Francesca Dannino, invece si occupa di analizzare i dati forniti dalle scuole della Sardegna per conoscere gli strumenti informatici e i programmi utilizzati per favorire l'insegnamento della lingua agli stranieri».
Con quale obiettivo?
«Ogni regione adotta programmi e metodi diversi, mentre si dovrebbero pensare modelli validi per tutto il territorio nazionale. Dobbiamo capire quali siano le principali difficoltà che gli stranieri incontrano nell'apprendimento dell'italiano, verificare gli errori più comuni e frequenti, studiare metodologie didattiche e pedagogiche utilizzando le tecnologie dell'informatica. È una grande sfida scientifica mentre si discute tanto di integrazione, spesso senza tenere conto della realtà». 
ecco le  altre  due   sempre tratte  dall'unione sarda  del 10  1e  11  gennaio 2011

Gonnosfanadiga. 

Un giovane scopre il vecchio mestiere e un'antica forma di scambio

Il ragioniere che spazza i camini Diplomato ripropone «S'aggiudu torrau»: boom di richieste

Lunedì 10 gennaio 2011
Ha iniziato 5 anni fa per caso snobbando il diploma di ragioniere. Lo chiamano in tutte le case, in cambio non vuole soldi ma baratta la pulizia con ciò che ciascuno può dare: «S'aggiudu torrau»
Valerio Lecca, 34 anni, di Gonnosfanadiga, (  foto a  destra  )  snobba il diploma di ragioniere e sogna di diventare spazzacamino. La gavetta è già cominciata. Dal 2006 pulisce gli impianti fumari ma non si fa pagare mettendo in pratica « S'aggiudu torrau» , una forma di baratto conosciuta dagli anziani.
«Per ora la lotta alla fuliggine è solo un hobby», spiega Valerio Lecca. «Ho rinverdito il concetto di " aiuto reciproco",concordato con le famiglie in base a quello che ciascuno può dare: vestiario, alimenti, legna, anche pezzi per la macchina che mi servono. Accetto anche un'offerta, ma non ho di certo un tariffario».         
Ma nel 2011 il baratto non è superato?
«In un momento di crisi così pesante penso che abbia senso tornare allo scambio di beni e servizi senza moneta. Per fronteggiare il crollo dei consumi bisogna mettere a disposizione saperi e risorse e darci una mano l'uno con l'altro. Anche per questo ho deciso di pulire camini»
Come ha cominciato?
«Quasi per caso. Ho acquistato gli attrezzi per pulire l'impianto fumario di casa. Sono salito sul tetto per scrostare la canna fumaria con l'ausilio di tubi flessibili e di uno scovolo. Poco tempo dopo ho pulito i camini delle case di anziani soli che me lo chiedevano perché non avevano nessuno che potesse farlo»
Ha mai avuto paura di salire sui tetti?
«No. Sono piuttosto agile, ma devo stare attento. Lo faccio solo quando il tempo è buono, altrimenti, con la pioggia rischierei di farmi male o danneggiare le tegole. Un problema che sto cercando di ovviare con l'acquisto del macchinario che mi permetterà di pulire il camino dal basso, all'interno dell'abitazione».
Non crede che lo spazzacamino sia un mestiere "fuori moda"?
E' una figura romantica e antica, ancora indispensabile nei tempi moderni grazie anche all'impiego di nuove tecnologie. Il mio obiettivo è acquistare macchinari più all'avanguardia e iscrivermi all'associazione nazionale fumisti per fare di un hobby un lavoro. Vorrei diventare fumista per realizzare impianti fumari efficienti e scongiurare conseguenze negative sull'ambiente, sulla sicurezza e sulla salute».
Non ha pensato che sarebbe stato più semplice fare l' impiegato?
«Preferisco vivere con entrate incerte per fare quello che voglio. Per avere il denaro che mi occorre per pagare le spese della macchina mi impegno anche in altri lavoretti».
Cosa la spinge a fare lo spazzacamino?
«Sentirmi utile. Arrivo nelle case piene di fumi e risolvo i problemi. Non saprei svolgere un lavoro nel quale non vedo subito i frutti».
Gli anziani non hanno paura di farla entrare in casa?
«Ispiro fiducia alle persone e poi mi conoscono tutti. Quando un anziano mi chiede di pulire il camino e non ha niente da regalarmi io lo faccio comunque volentieri, e se per sdebitarsi insiste per invitarmi a pranzo, accetto di fare l'ospite e di tenergli un po' di compagnia».
Cosa le hanno insegnato le persone di una certa età?
«Ad avere coraggio, a non fermarmi anche se il lavoro è pesante cercando le forze per continuare e arrivare lontano».
C'è una buona richiesta di questi servizi?
«Molti mi chiamano per il controllo del camino da anni. C'è un rapporto amichevole: appena arrivo stringo la mano e facciamo due chiacchiere. Di solito, quando vado da una famiglia il giorno dopo mi chiama qualcun altro al quale hanno fatto il mio nome».
STEFANIA PUSCEDDU
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Lunamatrona. 

Cittadini protagonisti del documentario del regista di Villanovaforru  L'uccisione del maiale diventa un filmTatti: l'opera punta a favorire il rispetto per le culture locali

Martedì 11 gennaio 2011
"Custu est su procu" dura 59 minuti ed è stato presentato a Lunamatrona. Tanti i cittadini che hanno assistito alla nuova fatica di Piero Tatti.
 Fno a qualche decennio fa era un rito per tante famiglie. Un cerimoniale che coinvolgeva un rione. Oggi l'uccisione del maiale è un lontano ricordo anche in Marmilla. 
Piero Tatti, di Villanovaforru, sposato a Lunamatrona, ha raccontato questo rito in un documentario con protagonisti gli abitanti del suo "secondo" paese. "Custu est su procu" dura 59 minuti ed è stato presentato nel "Tre Campane" di Lunamatrona. Tanti i cittadini che hanno assistito alla nuova fatica di Tatti, da anni impegnato nel racconto del territorio con filmati e cortometraggi.
IL MAIALE Già i nuragici si nutrivano della carne di maiale. Nel periodo romano e medioevale il suo allevamento rustico è stato esteso a tutta l'isola. Oggi in Sardegna ci sono 230 mila capi. «Fino a quarant'anni fa il maiale si allevava in casa con granaglie, fave, fichi d'india e ghiande», ha spiegato Tatti, «ad un mese dalla macellazione si aggiungevano ceci e piselli che arrossavano le carni ed aumentavano di spessore il grasso dell'animale».
IL LAVORO Il mese migliore per ucciderlo era dicembre. Tatti, sostenuto dal figlio Tomas, ha girato le fasi della macellazione a Lunamatrona nell'inverno 2007. Poi tre anni di lavoro per completare il documentario. Del maiale non si buttava via niente: lardo e strutto per i cibi, le ossa per il minestrone di ceci, la gerda per un pane speciale, il sangue per il sanguinaccio, le setole vendute al ciabattino. «Spero che questo lavoro stimoli i giovani alla ricerca e favorisca il rispetto per le culture locali», ha concluso Tatti.
PROTAGONISTI Ecco i cittadini protagonisti de sa boccimenta de su procu: Maria Mancosu, Maria Grazia Melis, Ercole Setzu, Fausto Matzeu, Alberto Orrù, Carlo Orrù, Luigi Orrù, Efisio Murru, Nuccio Garau, Ettore Setzu, Ottavio Setzu, Zeno Cancedda, Giancarlo Setzu, Giulio Mancosu, Mario Setzu e Paolo Lilliu. 

ANTONIO PINTORI
 
 

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